Lo scrittore Philip Schultz illumina la strada, utile per molti, per sfuggire alla presa mortale di questo disturbo: la dislessia
Per Philip Schultz, ebreo di origine russe, cittadino statunitense e vincitore, nel 2008, del premio Pulitzer, gli anni della fanciullezza furono irti di tante e tante asperità. L’ostacolo più grande da superare, non si presentò, certamente, quando due ragazzi, di poco più grandi di lui, gli dissero che, se voleva continuare a frequentare la scuola, avrebbe dovuto, ogni giorno, consegnargli i soldi che riceveva a casa per pagarsi il pranzo. Quei teppistelli non avrebbero mai immaginato che un ossuto ragazzetto ebreo, che sembrava più piccolo della sua età, appena arrivato a scuola, si sarebbe ribellato alla loro volontà predatoria. Non immaginavano che la loro vittima designata, si sentisse un ragazzo di strada, posto da cui aveva appreso regole e tratto autostima, e come tale si sarebbe comportato; e quindi si sarebbe ribellato sino a suonargliele di santa ragione. Ma gli attacchi peggiori per chi come lui riteneva di avere un etica “da strada”, erano quelli di provenienza da un membro della parentela, persone dalle quali non ci si può difendere venendo alle mani. E fu solo per questo, che, durante una solennissima cena di Pesach (Pasqua ebraica), in famiglia, presso la casa della zia paterna, il cugino esperto nell’arte del bullismo, che aveva praticato in privato, con grande soddisfazione su Philp, scoperto che la sua vittima non era in grado di leggere in ebraico la prima parte di lettura del racconto bibblico della liberazione dalla schiavitù del faraone, a lui spettante in quanto più giovane tra i commensali, trasse, a gran voce, la conclusione che era per questo che a scuola lo avevano collocato nella “Classe dei Cretini”.
Così a scuola i bambini avevano definito la classe in cui finivano gli scolari con difficoltà nell’apprendimento e per questo, mortificato ed impacciato, senza neanche prendere il cappotto, si diede alla fuga, abbandonando i festosi commensali. Saltò fuori da casa, senza neanche pensarci, nella notte di bufera, per una improbabile fuga. Ma in strada, ogni passo che faceva, il piede sprofondava nella neve sino alle ginocchia. Philp non era, certamente, né un pavido, né un cretino come dimostrerà e gli sarà riconosciuto dai traguardi raggiunti nel corso della sua vita da adulto. Quando lui stesso si sentirà gratificato da un ricordo che spesso gli tornerà alla mente, di un sincero apprezzamento e si soffermerà a pensare: ”Una volta il grande poeta israeliano Yehuda Amichai mi ha detto che la mia anima era più antica e più ebraica della sua, ma che non aveva mai incontrato nessuno che conoscesse così poco la Bibbia e fosse anche ebreo”. In realtà, Philp era solo un ragazzo che come tanti era rimasto ingabbiato nella sua dislessia, che non è una malattia, ma semplicemente una insidiosa disfunzione cognitiva, che lo aveva reso un pessimo studente e per anni emarginato dalla vita. Questo suo personalissimo modo di essere, gli appariva un ostacolo che gli avrebbe impedito di far parte del mondo dei normali.
Per questo Schultz all’età di undici anni, decide di insorgere, ad un tratto, al cospetto dell’ennesimo atteggiamento poco riguardoso nei suoi confronti del maestro che rideva delle sue difficoltà nel leggere. Il ragazzo ebbe una impennata, a quel punto dichiarò di voler diventare uno scrittore, scelta audace che risulterà vincente per combattere la sua difficoltà di comprendere rapidamente, apprendere, usare le parole giuste nel parlare ed affrontare la vita, giacché non è possibile far parte del mondo degli adulti se non si distingue la destra dalla sinistra o non si sa leggere l’ora.
Philip Schultz, nel libro “La mia dislessia” Ed. Donzelli, illumina la strada, utile per molti, per sfuggire alla presa mortale di questo disturbo, che solo da non molti anni viene riconosciuto come tale dagli educatori, che ora, grazie a tale consapevolezza, hanno cominciato a riconoscere ed affrontare con i giusti modi e le più opportune tecniche. Philip Schultz conoscerà il nome del suo nemico, solo da adulto, da padre, quando il disturbo verrà diagnosticato al suo figlio maggiore. Un nemico rimasto per tutti gli anni della sua gioventù senza un nome contro cui inveire, ma contro cui non aveva smesso di lottare strenuamente, inventandosi da solo un rimedio semplice ed efficace: la scrittura, che da quel momento sarà ossessione e salvezza della sua vita.