Il Governo teme il debito ristrutturato - QdS

Il Governo teme il debito ristrutturato

Carlo Alberto Tregua

Il Governo teme il debito ristrutturato

venerdì 12 Giugno 2020

Nel momento in cui si avvicina la fatidica data del 23 giugno, in cui si riunirà il Consiglio europeo per cominciare a discutere il Recovery Fund, nonché le condizioni del Mes e l’importo da stanziare, è incominciata la fibrillazione nella maggioranza di governo perché sa come sia estremamente difficile che il Consiglio ceda alle pressioni italiche.
Su 27 membri ve ne sono già almeno 12 che intendono ridimensionare la cifra a 500 miliardi e non a 750, inoltre intendono anche mettere dei paletti per quanto riguarda le condizioni e precisamente il tempo di restituzione del prestito per farlo rientrare nello stesso periodo del prossimo bilancio 2021/2027.
Il che, se così fosse, ridurrebbe anche il tempo del rimborso e conseguentemente il maggior onere finanziario che ricadrebbe su alcuni Paesi europei tra cui Italia, Grecia e Spagna.
Si continua a dire da più parti che i prestiti e gli importi a fondo perduto debbano essere erogati senza condizioni: si tratta di una colossale stupidata, perché la condizione è che essi debbano essere indirizzati esclusivamente a investimenti e mai alla spesa corrente.

I governi italiani che si sono alternati negli ultimi decenni sono stati abituati, invece, ad allargare il perimetro della spesa corrente, il numero e il valore dei sussidi, l’area dei pensionati e così via, continuando a tagliare le somme da destinare agli investimenti produttivi, alle infrastrutture e simili.
La conseguenza di questa dissennata politica è stato l’aumento macroscopico del debito pubblico che ha continuamente sforato, di anno in anno, il pareggio di bilancio, obbligatoriamente prescritto dall’art. 81 della Costituzione.
Sono stati lanciati anatemi di tutti i tipi nei confronti di Mario Monti, che è stato l’unico presidente del Consiglio serio, il quale con tutto il Governo ha cominciato a rimettere ordine nei conti pubblici.
Vi è una strana concezione della gestione delle risorse pubbliche da parte di una classe politica incompetente e perciò debole mentalmente, cioè che bisogna accontentare tutti quanti distribuendo a risorse a mani larghe.
Questa politica clientelare è stata disastrosa anche se è servita alla classe politica per attirare consenso, scambiandolo con le provvidenze erogate senza criteri selettivi. La conseguenza ulteriore è che si è rallentata la ruota economica, per cui pian piano, l’Italia è arrivata alla soglia della recessione già nell’ultimo trimestre del 2019, cioè in epoca anteriore all’epidemia virale.
In un certo senso, nonostante le lacrime, sotto sotto, il Governo ha accolto con favore il disastroso evento che ha colpito i cittadini, perché in questo modo ha potuto mascherare sia l’andamento recessivo dell’economia, che l’erogazione ulteriore di spesa corrente in sussidi e provvidenze.
Ha nascosto nei meandri delle due manovre varate, di 25 e 55 miliardi, l’eliminazione dei vincoli per l’Iva, con la conseguenza che dalla legge di Bilancio 2021 verranno tolti i relativi 20 miliardi previsti.
Nonostante la riapertura, la ruota economica stenta a ripartire perché la gente, dopo mesi di paura, non ricomincia a vivere normalmente.

La conseguenza di quanto precede è che inevitabilmente, forse già dal 2022, l’Ue chiederà al governo in carica in quell’epoca di ristrutturare il debito che già viaggia verso il 150% del Pil.
Il balzo di questa differenza è conseguenza di due cause: la prima è il netto calo del Pil 2020, forse di 150 miliardi, la seconda riguarda il forte indebitamento relativo all’epidemia.
Quando l’Europa presenterà il conto e chiederà come il governo dell’epoca intenderà ristrutturare il debito, vi sarà il redde rationem, perché bisognerà procedere a tagliare la spesa corrente mentre non vi saranno risorse per alimentare quella per investimenti.
Per cui, si potrebbe verificare il fenomeno di recessione con maggiori oneri per interessi di spesa corrente. A quel punto l’Italia correrà veramente il rischio di un crollo finanziario, anche se può contare su due pilastri: il forte risparmio privato, stimato in 1.500 miliardi e il forte patrimonio immobiliare pubblico, stimato in 500 miliardi.
Così le salite diventeranno di sesto grado.

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