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R come Risentimento

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Fabio Gabrielli  |
venerdì 27 Ottobre 2023

Il risentimento è un “morso avvelenato” sul volto della vita

di Fabio Gabrielli
Filosofo

“Il risentimento”, pubblicato nel 1912, è un piccolo saggio di Max Scheler, uno dei pensatori più intensi e lucidi del primo Novecento. Il saggio, nell’edizione italiana di Chiarelettere, con l’eccellente introduzione di Laura Boella, conferma a tutto tondo la certosina attenzione di Scheler all’ordine dei valori, delle emozioni, dei sentimenti.

Il risentimento costella l’esperienza umana, sempre complessa e drammatica, il suo farsi quotidianità, pratica di vita, carne del mondo. Esso può essere catalogato tra quelli che il filosofo inglese Peter Strawson definisce “atteggiamenti reattivi personali” (reactive attitudes), che sgorgano cioè dalla relazione con altri esseri dai quali ci aspettiamo qualcosa in termini di riconoscimento o rifiuto.

Il risentimento una reazione rancorosa, sdegnata, di rivalsa

Nel caso del risentimento, l’accento è posto su una reazione rancorosa, sdegnata, di rivalsa rispetto a persone e situazioni di ingiustizia o, più in generale, di mancato riconoscimento nei nostri confronti. In questo senso, il risentimento, un sentire particolarmente accentuato, reattivo, come attesta il prefisso ri, ha anche un valore morale, è una sorta di reazione morale a un danno antropologico, vero o presunto, subito nell’ambito delle relazioni, quindi delle nostre aspettative, dei nostri desideri. Al netto di queste brevi considerazioni, il tracciato proposto da Scheler, a mio avviso, spicca per lucidità argomentativa e puntualità concettuale.

Il risentimento un vero cancro dell’anima

Per ragioni di spazio non è possibile ricostruire e riprodurre tutta l’analisi scheleriana, in questa sede mi limito a qualche breve riflessione. Scheler coglie nel sentire un modo privilegiato e originario di accostamento al mondo, ivi comprese, naturalmente, le forme infeconde, perverse di relazione con esso. In particolare, il risentimento, vero cancro dell’anima e diffusa perversione moderna contro tutto ciò che promuove la vita, il fiorire dei progetti, le pratiche creatrici. Sentimenti mortiferi come odio, invidia, vendetta, perfidia accompagnano il risentimento che, tuttavia, non si lascia identificare con essi.

Carattere precipuo del risentimento è, infatti, la sua strutturale impotenza: il risentito reprime, differisce, sposta, frena i suoi sentimenti rancorosi, non li mette in scena, li trattiene senza sfogarli nell’atto concreto (dall’insulto alla vera e propria violenza fisica).

Scrive Scheler: “Sentimento di vendetta, invidia, malignità, perfidia, gusto di nuocere e cattiveria entrano nella formazione del risentimento soltanto quando non siano seguiti né da un superamento morale (ad esempio, da un autentico perdono nel caso della vendetta), né da un’azione, ossia da un’adeguata espressione dell’emozione in manifestazioni esterne, ad esempio, ingiuriare, mostrare il pugno, in particolare quando l’azione o espressione venga frenata da una ancora più esplicita consapevolezza della propria impotenza”.

Insomma, il risentimento è un “morso avvelenato” sul volto della vita, tipico dei “servi e dominati”, incapaci di tradurre in atto anche le loro emozioni, i loro sentimenti più malvagi e violenti.

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