L'intervista a Elena Alonzo, direttrice del Servizio igiene alimenti e nutrizione (Sian) dell'Asp di Catania
“Ci sono alcuni aspetti che differenziano questo nuovo fungo dalla comune Mazza di tamburo ma parliamo di dettagli che soltanto gli esperti possono notare”. È con queste parole che Elena Alonzo, direttrice del Servizio igiene alimenti e nutrizione (Sian) dell’Asp di Catania, spiega come non sia il caso di approfondire il confronto tra uno dei funghi tradizionalmente più legati al territorio etneo e quella che invece è una novità pericolosa, specialmente per la rapida diffusione registrata negli ultimi anni: la Chlorophyllum molybdites. “Bisogna evitare che gli appassionati, per quanto esperti raccoglitori, confidino nelle proprie capacità per distinguere i funghi commestibili da quelli tossici – spiega Alonzo al QdS.it – Il rischio di sbagliare, infatti, è molto alto”.
Effetto dei cambiamenti climatici
Originaria dei Paesi tropicali di Africa e Sudamerica, la Chlorophyllum molybdite è apparsa in Sicilia negli anni 2000, ma di recente è solo di recente che è diventato un problema concreto. “I primi esemplari sono stati classificati diversi anni fa da alcune associazioni micologiche attive nell’isola – prosegue la direttrice del Sian – Ma è stato soltanto nel 2021 che, come Ispettorato micologico, abbiamo appurato i primi casi di intossicazione. Un fatto che abbiamo segnalato immediatamente al ministero della Salute, che da allora ha avviato un monitoraggio in tutte le regioni, specialmente quelle del Sud, considerato che l’arrivo di questo fungo in Italia è da collegare al cambiamento climatico”.
Elevato grado di tossicità, quali sono i sintomi
L’invito alla precauzione da parte dell’Azienda sanitaria provinciale deriva dalla consapevolezza di trovarsi di fronte un tipo di fungo che causa pesanti disturbi fisici. “Dà una serie di gravi manifestazioni gastroenteriche, che compaiono tra i trenta minuti e un paio di ore dalla consumazione – continua Alonzo – In genere si tratta di diarrea, vomito, crampi addominali e spesso si finisce al Pronto soccorso. A ciò, in alcuni casi, si aggiungono problemi di natura neurologica come forte sudarazione, difficoltà della percezione e disturbi della vista”. Un quadro clinico che porta al monito della direttrice, anche a fronte dei nove casi di intossicazione già diagnosticati dall’Asp in pochi giorni: “Non va consumato, bisogna accettare il fatto che non vale più ciò che si è sempre fatto in passato quando ci si trovava di fronte a un esemplare di mazza di tamburo – sottolinea – Oggi trovarne uno deve portarci a innalzare il livello di attenzione e a rivolgerci agli sportelli micologici”.
L’importanza delle certificazioni
I dati dicono che la pressoché totalità dei casi di intossicazione – sia per quanto riguarda la Chlorophyllum molybdites che gli altri funghi tossici – derivano dal consumo di esemplari trovati da raccoglitori occasionali. “Il consumo di funghi nei ristoranti è da ritenersi sicuro in quanto ormai da tanti anni lavoriamo sul fronte dei controlli”, spiega Alonzo. La direttrice del Sian si sofferma sulla necessità di verificare il tagliando di certificazione dell’Asp anche quando si comprano dei funghi da consumare a casa. “Sul tagliano troviamo informazioni importanti, a partire dal nome per finire con la data e l’ora entro la quale il prodotto può essere consumato. Infatti – va avanti Alonzo – è sempre bene ricordare che i funghi sono un alimento facilmente deperibile, mangiarne uno vecchio può comunque comportare disturbi gastroenterici”.
Un nuovo laboratorio di ricerca
Accanto ai sei sportelli micologici di Catania, San Gregorio, Bronte, Caltagirone, Mascalucia e Paternò – a cui a partire da ottobre si aggiungeranno nei fine settimana quelli di Zafferana e Pedara – che saranno aperti fino a fine novembre, il sistema della prevenzione quest’anno si arricchisce di un laboratorio per le ricerche delle amanitine, i composti organici velenosi che sono all’origine della pericolosità dei funghi. “Sarà allestito nel laboratorio di sanità pubblica dell’Asp di Catania e garantirà esami specifici. Si tratta di una novità nel panorama siciliano e anche dalla Calabria si farà riferimento a noi”, conclude Alonzo.
Una legge per il fungo del carrubo
Per un fungo nuovo che preoccupa, un altro per il quale si cerca il riconoscimento. Si tratta del fungo del carrubo, diffuso in particolar modo nel Ragusano ma con presenze anche in provincia di Siracusa e nel Calatino. A portarlo all’attenzione dell’Assemblea regionale siciliana sono stati i deputati di Fratelli d’Italia Giorgio Assenza, Marco Intravaia e Giusi Savarino, firmatari, poco dopo lo scorso Natale, di un disegno di legge per disporre l’introduzione del fungo all’interno dell’elenco di quelli commestibile a sua volta contenuto in un deecreto del Presidente della Repubblica del 1995. “Il fungo di carrubo è una meravigliosa rarità – si legge nella relazione che accompagna il ddl – Chiamato funciara carrua, è tanto buono quanto raro e cresce solo su alcuni alberi di carrubo, spesso nei pressi delle radici o dentro tronchi cavi, magari malandati”.
Dalle dimensioni cospicue – arriva a pesare anche oltre un chilo – il fungo del carrubo è di colore rosa latteo con venature giallognole. I deputati firmatari del disegno di legge sottolineano che, sulla scorta di uno studio firmato da un docente dell’Università di Palermo, il fungo è commestibile “se proviene da piante di Carrubo Ceratonia siliqua o da coltivazioni derivante da isolati raccolti di piante di carrubo” e aggiungono che “alcune aziende hanno da tempo avviato un’ottima qualità” che potrebbe contribuire alla crescita del fatturato delle imprese agricole interessate. Per il momento, tuttavia, bisogna attendere: il disegno di legge si trova fermo nella commissione Attività produttive.