Quando fu sospeso lo studio sperimentale con il nuovo anticorpo aducanumab
Il ragioniere ormai non ragionava più… Dopo decenni di attentissima elaborazione dei conti di migliaia di preoccupati contributori che avevano reso il suo studio commercialistico uno dei più ricercati della città, il Rag. (omissis) negli ultimi 2-3 anni trovava sempre più difficoltà a completare dichiarazioni dei redditi, scaricare Iva e verificare l’esattezza di versamenti. Ultimamente anche le parole cominciavano ad eluderlo e perfino i nomi dei suoi figli, commercialisti come lui, non gli tornavano alla mente. Le indagini mediche effettuate non lasciavano dubbi: un consistente accumulo di proteine amiloide nel suo cervello determinava il declino cognitivo noto come malattia di Alzheimer.
I figli, informati della situazione, avevano progressivamente alleggerito gli impegni del padre e, quando si presentò l’occasione di partecipare ad uno studio sperimentale in cui il nuovo anticorpo aducanumab avrebbe provato a “sciogliere” quelle proteine tossiche, non ebbero alcuna esitazione: il tentativo di guarire o, almeno, di rallentare il lento e drammatico dissolvimento della memoria e della stessa personalità del capofamiglia andava affrontato. Il ragioniere si rivelò il più determinato e puntuale tra tutti i pazienti reclutati presso il centro. Un giorno di giugno dell’anno scorso, tuttavia, un avviso dalla sede statunitense dello studio allertò il primario che la Rmn encefalica del ragioniere rivelava una anomala risposta infiammatoria secondaria alla distruzione della proteina patologica: un’encefalite potenzialmente pericolosa e occorreva verificare le sue condizioni.
Il paziente si presentò accompagnato dai suoi figli e il medico, dedicandosi alla cartella elettronica, distrattamente gli chiese: “e allora, come va?”. “E come volete che vada: che giorno è oggi?” rispose il ragioniere con voce tra l’urtato e l’inquisitivo. Il medico spiazzato dovette ricorrere al calendario dietro le sue spalle per rispondere “il 20 giugno…”; “e che giorno è il 20 giugno?!?” incalzò l’inviperito ragioniere: “mancano 10 giorni alla dichiarazione dei redditi! In questi giorni sto compilando 500 pratiche, tutte a penna e, le debbo confessare, sono un po’ stanco anche perché i miei figli non mi stanno collaborando come dovrebbero!!!”. Incredulo, il medico uscì dalla stanza e chiese ai figli se il padre fosse normale. “Normale? E’ tornato perfetto, le dichiarazioni le sta veramente facendo tutte lui, ha ripreso a badare alle nostre campagne e non si stanca mai, come se dovesse recuperare il tempo perduto!!!”
In questi ultimi 2 anni tutta la comunità medica che assisteva a casi analoghi nelle varie cliniche sparse nel mondo non ha aspettato altro che la conclusione dello studio per poter finalmente utilizzare il primo farmaco che curava l’Alzheimer, nella sola Italia circa 1.000.000 di pazienti.
Quando… nel marzo di quest’anno arriva lo tsunami: l’azienda sospende improvvisamente e definitivamente la sperimentazione perché un’analisi interna aveva rilevato l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi di efficacia previsti dallo studio.
Le conseguenze? Enormi: l’azienda ha visto in un giorno perdere il valore del proprio titolo su Wall street del 30% (pari a miliardi di dollari), interi sistemi sanitari dei paesi più avanzati hanno rivisto le strategie di gestione per questi pazienti, i medici hanno smesso di tranquillizzare i loro anziani pazienti perché da li a poco sarebbero stati curati, e il nostro ragioniere da quel giorno continua a chiedersi perché è stato prima esposto e poi scippato di un farmaco che lo aveva resuscitato.
Conclusioni: lo sviluppo della medicina e delle medicine è complesso, ma vicende come quella dell’aducanumab lasciano un retrogusto amaro e dubbi sulla possibilità che fattori diversi da quelli medici guidino la ricerca del benessere per alcuni settori dell’umanità (magari a favore di altri più potenti…). Ma di questo riparleremo…