L’ambizione di cambiare la Giustizia senza fare i conti con la realtà. Il viaggio del QdS nei distretti siciliani tra dubbi e perplessità degli addetti ai lavori
Processi troppo lunghi, vittime inascoltate, tribunali oberati che non riescono ad assolvere il proprio compito. Per uscirne solo due vie: il potenziamento delle risorse e delle strutture dedicate allo scopo o il rifiuto di ciò che non è ritenuto prioritario. La riforma Cartabia sembra aver scelto la seconda strada, mettendo nero su bianco la rinuncia dello Stato nel tutelare chi, pur essendo vittima di gravi reati, non si rivolge alle istituzioni per paura, anche quando le istituzioni ne sono al corrente. E le aspirazioni del ministro alla Giustizia Carlo Nordio, a proposito di intercettazioni, potrebbero allargarne gli effetti. “Fiat iustitia et perat mundus”, sosteneva Ferdinado I d’Asburgo riprendendo le parole di Gaio Cassio Longino, uno degli assassini di Giulio Cesare. Ma tale principio rischia oggi il suo paradossale rovesciamento. A spiegarlo in un’intervista è l’avvocato penalista Gaetano Rizzo, presidente dell’Associazione Nazionale Forense di Catania.
Quali sono le maggiori difficoltà che quotidianamente l’avvocatura incontra nell’assolvere i suoi compiti?
“La principale difficoltà in ambito penalistico, per quanto incredibile possa sembrare, riguarda l’attività di cancelleria. L’accesso risulta tutt’oggi limitato dal decreto legge del marzo 2020 introdotto per le esigenze emergenziali pandemiche. Occorre dunque prenotare un appuntamento con largo anticipo e non sempre, viste le urgenze, è possibile farlo. Talvolta, nonostante l’appuntamento, i funzionari si ritrovano sprovvisti dei fascicoli a causa della disorganizzazione dei tribunali; così gli avvocati devono tornare più volte in cancelleria per visionare o estrarre le copie necessarie all’attività di difesa”.
A seguito delle novità introdotte dalla riforma Cartabia, per alcuni reati – come le lesioni personali, il sequestro di persona, la violenza privata, la violazione di domicilio – si potrà procedere soltanto dopo querela. Non ritiene che questo possa di fatto ridurre le tutele destinate ai più deboli, magari spaventati dalle violenze subite e restii a denunciarle?
“Ritengo che sia necessaria la volontà punitiva che distingue la querela dalla denuncia. Ciononostante la mancata querela della vittima potrebbe essere indotta dalla paura: non va sottovalutata questa eventualità! Lo sapremo meglio fra qualche mese, quando avremo a disposizioni dati statistici rilevanti”.
Il ministro Nordio ha espresso la necessità di limitare le intercettazioni giudiziarie, chieste dal pm al gip, alle indagini per mafia e terrorismo. Per effetto della riforma Cartabia, qualora nel corso delle intercettazioni si facesse luce su ulteriori reati perseguibili soltanto a seguito di querela, i responsabili resterebbero impuniti. Come uscire dall’impasse?
“La querela richiede la volontà punitiva. Nel caso in cui, a seguito di intercettazioni, si accerti che sia stato consumato un reato procedibile a querela, nulla potrebbe fare un terzo come lo Stato; è solo l’interessato che dovrebbe agire affinché venga tutelato un suo diritto. Di contro, nel caso in cui vi siano delle intercettazioni di un altro procedimento attestanti che sia stato consumato un reato procedibile a querela e la persona offesa la presentasse, si dovrebbe mettere a disposizione il materiale di indagine”.
Un altro problema delle intercettazioni giudiziarie è quello della gogna mediatica, perché accade spesso che il loro contenuto, ancor prima della condanna o dell’assoluzione dell’imputato, finisca sui giornali danneggiando la reputazione di chi poi magari si rivela innocente. E’ possibile impedire che questo accada, con gli strumenti che si hanno a disposizione, senza ulteriori riforme?
“No, occorre una norma ad hoc”.
“L’agognata semplificazione non c’è, su valutazione giudici fare di più”
La parola a Dario Greco, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo
L’entrata in vigore della “Riforma Cartabia”, prevista per il 30 giugno 2023, è stata anticipata al 28 febbraio. Gli addetti ai lavori, però, esprimono preoccupazione nei confronti di un intervento normativo che difficilmente consentirà di raggiungere gli obiettivi prefissati e che rischia di rivelarsi pregiudizievole per la tutela dei diritti dei cittadini e per la competitività delle imprese sul mercato.
Il QdS ne ha parlato con l’avvocato Dario Greco, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo.
Si tratta della decima modifica nel corso degli ultimi quindici anni…
“Purtroppo sì. Le precedenti modifiche, pur stravolgendo il sistema processuale civile in Italia, non hanno dato benefici concreti. La maggior parte dei Ministri della Giustizia che si sono succeduti negli anni è stato preso dalla smania di modificare il Codice di Procedura Civile, ritenendo che le modifiche potessero determinare l’accelerazione dei tempi, il miglioramento della qualità della funzione giudiziaria italiana ma, in realtà, in presenza delle carenze di organico sia nella magistratura togata sia in quella onoraria, se non s’interviene sulla tecnologia, non si può approdare a nulla. L’unica vera innovazione negli ultimi dieci anni riguarda il processo telematico, che ha determinato un miglioramento della qualità della funzione giudiziaria ma è datata 2013 e le strutture informatiche disponibili sono oramai vetuste perché non è stato fatto, da allora, un adeguamento tecnologico”.
Dove sarebbe necessario intervenire, quindi?
“Innanzitutto sulle carenze di organico della magistratura, sull’innovazione tecnologica, sulle infrastrutture giudiziarie, sui criteri di valutazione dei magistrati. Oggi la stragrande maggioranza dei magistrati fa il proprio lavoro con coscienza e precisione ma, anche se sono pochissimi, alcuni non lo fanno e purtroppo, se non sei ‘bravo’, resti al tuo posto. Non basta il meccanismo premiale ma dovrebbe essere previsto un meccanismo non premiale per chi non fa il proprio lavoro. Nel caso della riforma Cartabia, inoltre, i vuoti che sono rimasti, le incomprensioni e la scarsa chiarezza determineranno contestazioni ma anche ritardi a seguito di aspetti che saranno da approfondire. La stessa redazione della riforma contiene ‘strafalcioni’. Pensi che nell’articolo 473 bis 65 di procedura civile si fa riferimento alle preture, abolite nel 1998”.
I presupposti erano semplificazione, speditezza e razionalizzazione del rito: obiettivi raggiunti dalla riforma?
“Negli ultimi due mesi ho partecipato a decine di convegni con avvocati, docenti universitari e magistrati e in realtà brancoliamo tutti nel buio. Semplificazione non c’è. La comunità dei giuristi, in Italia, sta impazzendo per interpretare queste nuove norme. Speditezza nemmeno, perché gli organici della magistratura sono rimasti identici. Come si può pensare che un giudice che non riusciva a smaltire il suo ruolo con le vecchie norme lo possa fare solo perché è cambiato un termine processuale, perché una “memoria” è chiamata in maniera diversa? Per quanto riguarda invece la razionalizzazione del rito, è del 2010 un decreto legislativo di semplificazione dei riti. Lo era già, razionale. Di fatto se prima avevamo un’udienza a 90 giorni dall’atto di citazione, oggi la abbiamo a 120 giorni. Inoltre siamo alle soglie di una stagione fatta di dubbi interpretativi e incertezze che porteranno a discutere, nei processi, non su chi abbia ragione e chi torto, ma su questo”.
Daniela Galazzi: “Strutture e uffici restano inadeguati”
TRAPANI – Con l’entrata in vigore della riforma Cartabia, avvenuta lo scorso 1 marzo, cambiano le regole e, soprattutto, le aspettative nei confronti della Giustizia. Il QdS ne ha parlato con Daniela Galazzi, in magistratura dal 1993, dal 2017 Presidente di Sezione civile al Tribunale di Trapani.
Riforma Cartabia: eravate pronti?
“È stata anticipata quasi a tradimento. Questo ha fatto sì che tutto il lavoro di preparazione e riorganizzazione ha dovuto essere accelerato e anticipato”.
Che rapporto c’è tra i fondi del Pnrr e la riforma Cartabia?
“Noi magistrati dobbiamo vincere la sfida del Pnrr. Come oramai tutti sanno, dopo l’elargizione dei fondi, l’Italia si è dichiarata disponibile a eliminare i tempi lunghi della Giustizia, anche se negli ultimi anni le cose avevano già cominciato a migliorare. L’impegno preso con l’Europa è di eliminare il 90% dell’arretrato entro il 2026”.
Tempi dei processi, obiettivo velocità?
“In realtà non credo, ma questa è la mia opinione personale che condivido con molti colleghi, che questo obiettivo potrà essere raggiunto perché il processo civile è, di per sé, complicato in quanto vede una serie di norme, anche costituzionali come il diritto al giusto processo e al contraddittorio, da rispettare e non tutti i processi possono essere svolti e chiusi velocemente. Questo potrebbe, anzi, essere il segnale che ci sia l’idea di sottrarre la gestione del processo civile al magistrato, forse pensando che la lunghezza del processo civile dipenda molto dal magistrato, magari un po’ infingardo, senza voglia di lavorare, cosa che non è. Bisogna inoltre tenere conto che, proprio perché si tratta di una riforma che modifica molto il processo civile, ha bisogna di essere rodata, anche a causa possibili di discrasie con altre norme, problemi e nodi interpretativi da risolvere. Come in tutte le altre riforme del passato, anche in questo caso la giurisprudenza dovrà assestarsi. Questo, ovviamente, allunga i tempi, non li contrae”.
Ci sono altre soluzioni?
“A mio giudizio si sarebbe potuto ottenere un buon risultato adottando, in via generica, il ‘rito del lavoro’, un rito diverso e più semplice che però funziona da decenni e i cui nodi interpretativi sono stati già affrontati e risolti”.
C’è anche il problema relativo al “rito famiglia”…
È stato stravolto. Queste norme sono, peraltro, entrate in vigore prima del ‘Tribunale Unico’, che assommerà a sé sia il Tribunale dei Minorenni sia quello che si occupa delle separazioni/divorzi. Seppur ritengo che l’idea di creare un giudice specializzato che si occupi solo della materia ‘famiglia’ sia ottima, non posso non rimarcare che, fino a quando non sarà creato, ci saranno giudici che continueranno a svolgere un doppio mestiere”.
Com’è la situazione a Trapani, proprio su questo punto?
“A Trapani, noi siamo un piccolo tribunale, abbiamo una sezione civile in cui tutti fanno tutto. È evidente che il rito pensato per rendere più veloci le procedure deve tenere conto che oggi è trattato da un giudice che si occupa anche di altre materie”.
Qual è la situazione del vostro sistema informatico?
“Dal punto di vista delle apparecchiature abbiamo raggiunto, anche grazie all’adeguamento costante del ministero, un buon livello tecnologico e un buon livello di assistenza tecnica. In realtà ci sono alcune problematiche che oggi rappresentano un collo di bottiglia. L’introduzione del Pct (Processo Civile Telematico, ndr) è stata una riforma fondamentale e ritengo che nessun giudice civile tornerebbe ‘alla carta’. Si tratta di un sistema utilizzato da migliaia di utenti che deve essere costantemente implementato e aggiornato. Questo crea un disservizio, anche perché alla ripresa ci troviamo tutto il lavoro, compresa la ricezione degli atti da parte degli avvocati, che è diventato arretrato.
A proposito di edilizia?
“Questo ritengo che sia problema che non possa passare inosservato. Oggi le strutture degli uffici giudiziari sono inadeguate. Nel nostro distretto, all’arrivo dei componenti dell’Ufficio per il processo, non avevamo gli spazi da dedicargli”.
Parliamo adesso delle carenze di organico…
“Si sono sbloccati i concorsi e il nuovo personale sta arrivando. Vorrei evidenziare che le carenze relative al personale amministrativo non devono essere sottovalutate. Anche il magistrato più efficiente, senza quel supporto della Cancelleria, non manda a compimento il suo lavoro. Un piccolo aiuto arriva dall’Ufficio dei processi, ma non può essere risolutivo. Nel nostro distretto, per quanto riguarda i magistrati, manca una sola unità ma il posto di Dirigente Amministrativo della Cancelleria è vacante da moltissimi anni”.
Arretrati?
“Siamo sostanzialmente in pari, parliamo circa del 2-3% nella ultra triennalità. Nella stima realizzata nel 2021-2022 eravamo tra i primi 25 tribunali d’Italia come capacità di eliminazione dell’arretrato”.
In chiusura, cosa consiglierebbe al Ministro della Giustizia?
“Trasformerei i contratti dei membri dell’Ufficio dei processi in contratti a tempo indeterminato. Aumenterei i concorsi, sempre rigorosi, per l’accesso in magistratura. Migliorerei il percorso universitario. Per quanto riguarda il rito, estenderei il ‘rito del lavoro’ al contenzioso ordinario. Investirei risorse economiche su organi che per noi sono fondamentali, penso a consultori, servizi sociali che sono in prima linea e affrontano le problematiche che riguardano minori e soggetti deboli e spesso lavorano sotto organico”.(rg)