Riforma fiscalità locale, sulla Sicilia tutto tace - QdS

Riforma fiscalità locale, sulla Sicilia tutto tace

Salvatore Forastieri

Riforma fiscalità locale, sulla Sicilia tutto tace

giovedì 07 Settembre 2023

Gli artt. 13 e 14 della legge delega 111/’23 introducono novità che riguarderanno solo le Regioni a statuto ordinario. Tributi erariali, inapplicato l’articolo 37 dello Statuto siciliano

ROMA – Anche con riferimento agli enti locali, la legge delega n. 111 del 9 agosto 2023 prevede principi e criteri direttivi affinchè il Governo, con i decreti legislativi da realizzare in due anni, provveda a realizzare anche la revisione del sistema fiscale dei citati enti territoriali.
In particolare, agli articoli 13 e 14 della citata legge 111/23, è stabilito che, ai fini della piena attuazione del federalismo fiscale regionale il Governo deve realizzare una revisione del sistema fiscale degli enti locali consolidandone l’autonomia finanziaria, anche attraverso meccanismi di compartecipazione a tributi erariali nonché attraverso una razionalizzazione dei tributi attualmente vigenti, semplificando gli adempimenti dei contribuenti, anche in materia di riscossione, e modernizzando contemporaneamente il sistema informatico volto ad evitare l’evasione.

Dovranno altresì essere razionalizzati i singoli tributi locali, specialmente con riguardo ai soggetti passivi, alla base imponibile, al numero delle aliquote ed alle esenzioni ed alle agevolazioni fiscali, estendendo la possibilità della compensazione e con possibilità di introdurre sistemi di collaborazione che favoriscano l’adempimento spontaneo, anche concedendo sistemi premiali coma la riduzione delle sanzioni.

Fra i tributi locali attualmente vigenti ricordiamo i principali come l’Imu, la tassa sui rifiuti (Tari), l’addizionale comunale all’Irpef, e l’imposta di soggiorno.
Dovrà essere pure razionalizzato il sistema sanzionatorio dei tributi locali, anche migliorando il sistema della loro proporzionalità rispetto alla violazione commessa.
Alle Province ed alle Città metropolitane, allo scopo di assicurare lo svolgimento delle funzioni fondamentali, saranno destinati tributi propri e una compartecipazione a un tributo erariale di carattere generale.
È esclusa, in ogni caso, la doppia imposizione tra Stato ed enti locali, con eccezione per le addizionali degli enti sui tributi statali;
È prevista pure l’attribuzione alle regioni a statuto ordinario di somme a titolo di compartecipazione regionale all’Iva sulla base di specifici criteri (compresa l’imposta recuperata attraverso gli accertamenti) che assicurino l’attuazione del principio di territorialità delle entrate.

Nulla si dice in merito alle regioni, come la nostra Sicilia, a statuto speciale, quelle previste dall’articolo 116 della nostra Costituzione e dal nostro Statuto R.D.L. 15 maggio 1946 n. 455, e segnatamente gli articoli 36, 37 e 38 della cennato Statuto avente rango costituzionale.
Più in particolare, come è ben noto, l’art. 36 prevede che “1. Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione e a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima. 2. Sono però riservate allo Stato le imposte di produzione e le entrate dei tabacchi e del lotto”.

L’articolo 37, invece, stabilisce che: “1. Per le imprese industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi. 2. L’imposta, relativa a detta quota, compete alla Regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima”.

L’articolo 38, infine, stabilisce che: “1. Lo Stato verserà annualmente alla Regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nella esecuzione di lavori pubblici. 2. Questa somma tenderà a bilanciare il minore ammontare dei redditi di lavoro nella Regione in confronto della media nazionale. 3. Si procederà ad una revisione quinquennale della detta assegnazione con riferimento alle variazioni dei dati assunti per il precedente computo”.
Insomma, una serie di norme che, proprio grazie allo Statuto Speciale, servirebbero a bilanciare quello che è stato riconosciuto un gap economico della nostra regione rispetto alla media delle altre. Norme, comunque, spesso male adoperate e spesso anche trascurate anche in ambito legislativo, che tante volte hanno determinato più danni che vantaggi.

Dobbiamo pensare, quindi, che la legge delega sulla riforma tributaria, nella parte riguardante i tributi locali, non abbia voluto deliberatamente prendere in considerazione la cennata “compartecipazione” prevista per le altre parti d’Italia, proprio ritenendo che sia proprio la Costituzione (lo Statuto) che lo impedisca, lasciando così la nostra regione nella situazione, non so se privilegiata o no, attuale.

Come è ben noto, infatti, lo Statuto della Regione Sicilia del ’46 all’art. art.36 stabilisce che vengono attribuiti alla Sicilia i propri redditi patrimoniali, nonchè i tributi dalla stessa deliberati.

Con le disposizioni contenute negli articoli 37 e 38, poi, il Legislatore del ’46, riconoscendo alla Sicilia il gap economico che la nostra isola soffre rispetto alle regioni del nord, ha previsto, in maniera stabile, una forma di fiscalità di vantaggio che si concretizza in due modi:
a) attraverso la disposizione dell’art.37, la quale stabilisce che per le imprese industriali e commerciali che hanno la sede fuori del territorio della regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi, sottolineando che l’imposta relativa a questa quota competete alla Sicilia ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima.
b) attraverso la disposizione dell’art.38, la quale stabilisce che lo Stato deve versare alla regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nella esecuzione di lavori pubblici.
Tale somma serve a bilanciare il minore ammontare dei redditi di lavoro nella regione in confronto alla media nazionale ed è soggetta a revisione quinquennale.

Sono ora in molti a sostenere che molto difficilmente alla Sicilia potranno non essere riconosciute le condizioni di minore sviluppo dell’isola rispetto alle altre regioni, condizioni che hanno spinto il legislatore del ’46 a concederle, come si diceva prima “stabilmente” (la devoluzione all’isola dei tributi relativi a tutti i redditi prodotti in Sicilia di cui all’art.37, nonché l’attribuzione delle somme a titolo di “solidarietà nazionale” previste dall’art.38).
In verità, per quel che riguarda l’articolo 38 dello Statuto, non pare che si siano registrati i benefici previsti, in quanto in assenza di criteri precisi, le valutazioni sono state effettuate solo in base alle determinazioni del governo nazionale.

Da qualche anno, comunque, probabilmente a causa del dibattito che per anni ha impegnato politici e giuristi siciliani sul federalismo, dopo un lunghissimo silenzio, è tornata alla ribalta la vecchia questione dell’art.37.
Come detto in precedenza, tale disposizione, di rango costituzionale, impone l’elaborazione di un apposito criterio al fine di stabilire la quota dei redditi prodotti dagli stabilimenti ed impianti esistenti in Sicilia ma dipendenti da imprese commerciali ed industriali con sede fuori dall’isola, al fine di fare affluire alla casse regionali i relativi tributi. Una disposizione di importanza fondamentale per la nostra isola, che tuttavia, di fatto, non ha mai trovato concreta applicazione.

Il problema, comunque, sta nel fatto che, dopo ben 77 anni ci troviamo ancora in un regime il quale, dopo un lunghissimo e colpevole silenzio, è ancora transitorio.
Per la verità, con l’articolo 11 del decreto legge 8 aprile 2013, n. n.35 (convertito con modificazioni dalla L. 6 giugno 2013, n. 64), in attesa della compiuta definizione dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione. In particolare, la disposizione in parola, è stata quantificato in 49 milioni di euro per il 2013, in 50,2 milioni di euro per il 2014 e in 52,8 milioni di euro per il 2015, il maggior gettito da attribuire alla Regione Siciliana in attuazione della norma statutaria di cui all’articolo 37.

Poi, stante la disposizione che prevede la neutralità finanziaria per il bilancio statale che dovrebbe caratterizzare l’applicazione delle norme di attuazione del 2005, la copertura finanziaria per il triennio 2013-2015 è stata posta a carico di risorse già destinate, ad altro titolo, alla Regione per il corrispondente periodo, ossia mediante la riduzione delle somme che sarebbero dovute affluire alla Sicilia in attuazione dell’articolo 38 dello Statuto.

Ed ancora, lungi dal definire, attraverso il previsto accordo Stato Regione (ministro delle Finanze ed Assessore alle Finanze Regionale), la suddetta norma dell’articolo 37, l’Accordo Stato Regione del 16 dicembre 2021, al punto 7, ha solo confermato l’impegno alla revisione delle predette norme finanziarie entro il 30 giugno 2022, con effetti a partire dal 2023.
C’è da dire peraltro che lo “schema di nuove norme di attuazione dello Statuto in materia finanziaria” approvato con la delibera di Giunta n. 197 del 15 maggio 2018, rimasto privo di seguito, all’articolo 4, lettera g) contemplava tra le entrate spettanti alla Regione siciliana “la quota dell’Ires relativa al reddito prodotto nell’ambito del territorio regionale dalla persone giuridiche aventi domicilio fiscale fuori dal territorio regionale ma che in esso hanno stabilimenti, impianti e attività imprenditoriali o che spostano la sede legale nel territorio regionale” in attuazione della previsione statutaria di cui all’articolo 37.

Ma, come è noto, con le norme di attuazione di cui al decreto legislativo 11 dicembre 2016, n. 251 che hanno modificato l’ordinamento finanziario della regione (Dpr 1074/1965), ed in base a quanto disposto dall’articolo 2, comma 1, lettera a) del Dpr 1074/1965, a decorrere dal 2018 sono attribuiti alla regione i 7/10 dell’Irpef afferente al territorio regionale, compresa quella affluita ad uffici situati fuori del territorio regionale. Inoltre, l’Accordo Stato-Regione del 12 luglio 2017 e il decreto legislativo 25 gennaio 2018, n. 16 hanno determinato la compartecipazione della Regione all’Iva nella misura dei 3,64 decimi del gettito dell’Iva afferente al territorio regionale stabilendo che le spettanze regionali, come per la compartecipazione all’Irpef, sono calcolate sulla base del maturato (in luogo del riscosso).

Insomma, ancora quel benedetto articolo 37 continua ad essere assolutamente disatteso e non sappiamo nemmeno cosa possa accadere dopo che saranno emanati i decreti legislativi “delegati” in materie di riforma tributaria, in generale, ed in materia di fiscalità locale, più in particolare.
Questo è un primo contributo al quale ne seguiranno certamente altri che riguarderanno la specificità dello Statuto della Regione Siciliana in un contesto legislativo dinamico, un dinamismo che è anche conseguenza dell’autonomia regionale differenziata.
Chissà, per la Sicilia i due progetti legislativi (la riforma fiscale ed il regionalismo differenziato) potrebbero costituire l’ennesima occasione per realizzare la chiarezza e certezza del diritto tanto auspicate. Mentre in atto regna sovrana la confusione legislativa con leggi (per citare le più note) la 825 del 1971 e la 42 del 2009, disposizioni che non si è voluto mai coordinare con l’impianto statutario della Regione Siciliana.

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