Ritardare la pensione e riequilibrare l’Inps - QdS

Ritardare la pensione e riequilibrare l’Inps

Carlo Alberto Tregua

Ritardare la pensione e riequilibrare l’Inps

venerdì 17 Novembre 2023

Nel 2050, un Paese di anziani

Secondo le previsioni statistiche, nel 2050 la popolazione nel nostro Paese scenderà a cinquantacinque milioni. Questo non sarà un male; male sarà che di essa vi sarà una sproporzionata quantità di anziani e anziane e quindi di pensionati/e, col ché il bilancio dell’Inps salterà per l’impossibilità di ricevere dallo Stato un’ulteriore integrazione finanziaria. Come è noto, infatti, i contributi dei e delle lavoratori/trici attivi/e coprono gli otto decimi delle pensioni erogate dall’Inps, con la conseguenza che il bilancio annuale dello Stato deve integrare la differenza versandola.

In atto vi sono circa ventitré milioni di lavoratori/trici attivi/e e tredici milioni di pensionati/e passivi/e. La dissennata politica dei governi degli ultimi decenni ha continuato ad alimentare il versante dei/delle pensionati/e passivi/e, che è diventato sempre più pesante finanziariamente, rendendo insufficienti i contributi incassati, anche se il numero dei/delle lavoratori/trici attivi/e è aumentato e in atto i/le disoccupati/e sono intorno al sette per cento.

Dei/delle disoccupati/e, però, bisogna fare ampia distinzione perché sono compresi tanti/e giovani che non vogliono né lavorare né studiare (Neet), ma anche tante altre persone che non hanno capacità lavorative perché non si sono preoccupate di formarsi o di aggiornare la loro formazione in base alle nuove esigenze del mercato.

Dobbiamo ricordare che la digitalizzazione dei servizi pubblici e privati ha comportato la necessità di personale con le adeguate e relative competenze. Molti si sono affrettati a recepirle, ma tanti/e altri/e non hanno provveduto, cosicché sono andati/e a ingrossare la massa di percettori/trici del Reddito di Cittadinanza, anche per la loro cattiva volontà.

Dunque, vi è una miscela di bisogni fra mercato del lavoro (domanda e offerta) e pensioni.
Scellerati rappresentanti di partiti politici hanno alimentato lo squilibrio fra contributi e assegni pensionistici. Come? Inserendo meccanismi che hanno mandato in pensione decine e decine di migliaia di persone prima del momento in cui ne avevano diritto o al limite dei sessantasette anni di età.
Questa azione demagogica serviva a chi l’ha proposta per acquisire facili consensi, ottenuti dando ciò che veniva chiesto.

Ma chi si è inoltrato per questa via, ha dimenticato che un responsabile delle istituzioni non deve accontentare questa o quella parte di popolazione, bensì deve avere lo sguardo lungo, guardando a dieci o quindici anni per calibrare le azioni dell’oggi con le esigenze del domani.

La questione è molto delicata e influenza pesantemente il debito pubblico, che va tenuto sempre presente in ogni atto di governo, avendo raggiunto ormai una dimensione insopportabile non solo per quello che dovranno pagare i/le giovani fra venti o trent’anni, ma anche per il peso enorme degli interessi, che viaggiano rapidamente verso i cento miliardi l’anno.
Ovviamente il rapporto fra lavoro attivo e pensioni passive va tenuto in conto, ma in un quadro generale che dovrebbe portare il Governo in carica e quelli successivi – di questa o della futura legislatura – a operare in modo assennato e prudente per rientrare in parametri ragionevoli e compatibili con la realtà di questo Paese.

Abbiamo più volte suggerito – non solo noi – di vendere il patrimonio immobiliare pubblico, stimato intorno a cinquecento miliardi, il cui importo andrebbe ad abbattere il monumentale debito ormai prossimo ai tremila miliardi.
La seconda urgente manovra sarebbe quella di revisionare le spese inutili dello Stato, anch’esse stimate da più parti intorno a cinquanta miliardi, che abbatterebbero il debito annuale. Fra queste spese vi sono quelle, in migliaia di casi, dei cosiddetti posti di sottogoverno, che costano miliardi.

La questione che proponiamo in rassegna oggi è vecchia, ma si incancrenisce sempre di più. Il Governo Meloni ha dimostrato prudenza nel varare il ddl di bilancio del 2024, ma non ha provveduto a effettuare i tagli delle spese inutili, quei cinquanta miliardi cui prima si accennava, forse perché il clientelismo partitocratico è difficile da sradicare dalle abitudini italiane. Un clientelismo molto presente a Roma, ma anche nelle capitali delle venti regioni e nelle due province a statuto speciale.

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