Servizi per l’infanzia, un abisso tra Nord e Sud. Sicilia in fondo, non è una regione per genitori - QdS

Servizi per l’infanzia, un abisso tra Nord e Sud. Sicilia in fondo, non è una regione per genitori

Servizi per l’infanzia, un abisso tra Nord e Sud. Sicilia in fondo, non è una regione per genitori

venerdì 11 Settembre 2020

Istat: neanche il 10% dei bambini siciliani sotto i 3 anni trova posto negli asili nido, oltre 20 punti meno del 33% fissato dall’Ue. E solo l’8% degli istituti offre la mensa, al Nord il 60%. Regione senza strategia, i Comuni spendono in media 364 € a bimbo contro i 2.235 di Trento

PALERMO – Anche nell’Isola riaprono le scuole, principali alleate dei genitori nella gestione dei figli, ma – al di là delle restrizioni dettate dall’esigenza di contenere la diffusione del coronavirus – per quanto riguarda i servizi offerti e il numero di posti disponibili c’è un abisso tra le regioni del Nord e quelle del Mezzogiorno.
La sproporzione emerge impietosa dagli ultimi rapporti di Istat, Openpolis-Con i bambini e Tuttoscuola. La Sicilia è una delle regioni dalle performance peggiori e la mancanza di un piano complessivo strategico da parte degli assessorati regionali, in particolare quelli dell’Istruzione e della Famiglia, non lascia ben sperare nemmeno per il prossimo futuro.

Nel lontano 2002, durante il Consiglio europeo di Barcellona, gli Stati membri si sono posti l’obiettivo comune di garantire entro il 2010 l’accesso a strutture formali di custodia a tempo pieno dell’infanzia ad almeno il 90% dei bambini in età compresa tra i 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico, e ad almeno il 33% dei bambini al di sotto dei 3 anni. A distanza di ben 18 anni da tale impegno, l’Italia continua a registrare numeri ridicoli che penalizzano i più piccoli, le loro madri, le loro famiglie

“Le situazioni più svantaggiate – scrive l’Istat – si riscontrano in Calabria, in Campania e in Sicilia, dove meno del 10% dei bambini sotto i 3 anni hanno un posto disponibile nei servizi socio-educativi per la prima infanzia”. Nell’Isola, in particolare, c’è spazio solo per circa 9 richiedenti su 100 (e per la metà si tratta di strutture private, non accessibili a tutte le tasche). Fa peggio soltanto la Campania, che accoglie l’8,6% delle richieste. Anche l’accesso ai “bonus nido” risulta ridotto a causa della carenza dell’offerta di servizi pubblici.

Una situazione inaccettabile per i genitori e i bambini. “Bisogna che le istituzioni lavorino in maniera sinergica per raggiungere l’obiettivo complessivo – dichiara Mimma Calabrò, segretario generale regionale di Fisascat Cisl – senza più fare il gioco del rimpallo o della palla avvelenata, al fine di compiere scelte ragionate in assoluta sicurezza. Soprattutto in una situazione così delicata come quella attuale, offrire servizi alla cittadinanza e garantire i posti di lavoro – tenendo presenti i requisiti di sicurezza – risulta di fondamentale importanza”. 

ASILI NIDO
Secondo i rapporti di Openpolis-Con i bambini, elaborati sui dati forniti dall’Istat, l’Italia riesce a garantire complessivamente poco più di 24 posti in un asilo nido ogni 100 richieste. Inoltre, le strutture sembrano concentrarsi nelle città principali e lasciare scoperte le aree interne: in alcune aree del Paese più del 50% dei Comuni è completamente sprovvisto di tale servizio. Il lieve incremento rispetto ai numeri degli anni precedenti risulta il semplice effetto della riduzione delle nascite e non la conseguenza di politiche mirate. Un deficit di bambini (nel 2019 il numero di nascite in Italia ha toccato il nuovo minimo di 435mila) che potrebbe essere causata proprio dalla difficoltà di conciliare lavoro e famiglia: l’Ispettorato nazionale del Lavoro fa sapere che nel 2019 oltre 25 mila genitori (soprattutto madri) con figli fino a 3 anni di età si sono licenziati.

Analizzando i dati a livello regionale, si nota che la Valle d’Aosta è prima per incremento della copertura di posti nelle strutture pubbliche e private rispetto ai residenti della fascia 0-2 anni, passando dal 31,5% della copertura nel 2013 al 47,1% nel 2017 (+15,6 %). Al secondo posto troviamo il Trentino-Alto Adige, che passa dal 23,6% al 32% (+8,4). Significativo anche l’incremento del Friuli-Venezia Giulia, che passa dal 25,1% al 31% (+5,9). La Sicilia, invece, registra la performance peggiore in assoluto: diminuisce addirittura la copertura del -1,3%.

A raggiungere o superare la soglia del 33% stabilita dal Consiglio di Barcellona sono solo quattro regioni: Valle d’Aosta (47,10%); Umbria (41,10%); Emilia Romagna (38,10%); Toscana (35%). In Calabria, in Campania e in Sicilia, come detto, meno del 10% dei bambini al di sotto dei 3 anni trovano un posto nei servizi socio-educativi.

A livello regionale la spesa media dei Comuni per asili nido e servizi integrativi è anch’essa disomogenea: la Provincia Autonoma di Trento investe ben 2.235 euro l’anno per ogni bambino residente, la Sicilia 364, la Calabria soltanto 116.

SERVIZI PER L’INFANZIA, UN LUSSO PER POCHI
In Sicilia le strutture educative per i bambini dai 3 ai 5 anni sono per il 77% pubbliche – si legge nell’ultimo rapporto di Istat elaborato con l’Università Ca’ Foscari di Venezia e con il Mipa – il loro costo è dunque limitato al servizio di mensa e alle attività extrascolastiche. Nel caso delle scuole private, invece, occorre considerare in aggiunta rette mensili più o meno salate e iscrizione annuale.

Ma laddove il pubblico non offre nemmeno i servizi minimi, resta una massa enorme di bambini esclusi: quelli che fanno parte di famiglie monoparentali, figli di immigrati e di disoccupati. “Particolarmente rilevante – scrive l’Istat – risulta la differenza di iscritti per famiglie che si trovano in situazione di vulnerabilità: i nuclei a rischio di povertà o esclusione sociale presentano percentuali di bambini iscritti in strutture educative inferiori di ben undici punti percentuali rispetto alle famiglie che non vivono le stesse difficoltà, mentre tale differenza si attenua leggermente se si considerano i soli problemi legati al sovraffollamento abitativo (9 punti percentuali)”.

A proposito di pari opportunità, Openpolis evidenzia come in media vi sia soltanto il 26,4% di edifici scolastici provvisti di mensa. Al Nord la copertura arriverebbe mediamente al 60% – nonostante eccellenze come la Valle d’Aosta arrivino addirittura al 70% -, mentre al Sud soltanto al 20%. La Sicilia è anche in questo caso la realtà con la peggiore performance: solo l’8,2% degli istituti scolastici offre la possibilità ai più piccoli di consumare il pasto in loco. .

“Alle criticità strutturali che penalizzano soprattutto il Sud, se ne aggiungono altre, legate ai trasporti, alle possibilità del tempo pieno, all’insufficienza di asili nido e di altri importanti servizi, alle difficoltà economiche e sociali delle famiglie. In altri termini legate alla povertà educativa minorile. Se, pensando allo sviluppo del Sud e del Paese, si ripartisse mettendo al centro i bambini e i ragazzi, colmando i divari fondamentali – spiega Marco Imperiale, direttore di Con i bambini – il Mezzogiorno e l’Italia avrebbero una grande opportunità di sviluppo e di ripresa”.

CHE FATICA ESSERE MADRI AL SUD
Nel suo ultimo rapporto Save the children le ha definite “equilibriste”: si tratta delle madri italiane che fanno ancora oggi un’enorme fatica a conciliare vita professionale e familiare. Ma quelle siciliane camminano su un filo addirittura più precario come risulta dal “mother index”, un indice che l’organizzazione internazionale realizza in collaborazione con l’Istat e che vede l’Isola all’ultimo posto proprio per l’offerta di servizi per l’infanzia. Una carenza che costringe le donne spesso a rinunciare alla carriera (tra i 25 e i 54 anni solo il al 57% delle madri risulta occupata, percentuale che scende al 36% nelle regioni del Mezzogiorno).

Per la posizione lavorativa non ci sono differenze significative tra le quote di frequentanti strutture educative che abbiano una madre che occupa posizioni apicali (dirigenti, libere professioniste), rispetto ai figli di impiegate e operaie (circa 95% in entrambi i casi). Continua invece a persistere una più bassa frequenza per i bambini i cui padri risultano essere impiegati/operai (87%), rispetto a quelli i cui padri sono dirigenti o liberi professionisti (95%). Tale dato conferma quanto la condizione di madre lavoratrice, a prescindere dalla posizione occupata, incida in modo maggiore rispetto a quella del padre”.

REGIONE, MANCA UNA STRATEGIA
La mancanza di omogeneità dei servizi educativi per l’infanzia in Italia dipende anche dalle norme regionali. In Sicilia, all’interno di una programmazione che riguarda i bambini di età compresa tra zero e sei anni, gli assessori Roberto Lagalla e Antonio Scavone hanno annunciato, più di un anno fa (era l’agosto 2019), la destinazione di oltre 20 milioni di euro per aumentare di mille unità i posti gratuiti nei nidi, per ampliare l’accesso al bonus nido nazionale, implementare l’orario di accoglienza destinato alla prima infanzia e l’assistenza ai disabili.

Per la scuola materna, invece, si è voluto abbattere i costi a carico dei Comuni per le mense scolastiche, accogliere (soltanto) due bambini per ogni scuola dell’infanzia in condizioni di disabilità o di disagiate condizioni economiche per un totale di (soli) 2.386 alunni su tutto il territorio regionale.

Con un’ulteriore riprogrammazione dei fondi di sviluppo e coesione – come si legge in un comunicato stampa dei giorni scorsi – l’assessorato alla Famiglia ha destinato 17 milioni di euro per implementare i servizi della prima infanzia, ovvero asili nido, micro nido ma anche spazi per il gioco e centri per bambini e famiglie. “Sono stati concessi contributi – spiega l’assessore regionale alla Famiglia, Antonio Scavone – sia per l’adeguamento di strutture pubbliche esistenti con interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia, sia per l’acquisto di immobili o la realizzazione di nuove costruzioni”.

Un’altra iniziativa dell’assessorato all’Istruzione, invece, è la sperimentazione di un anno che ha coinvolto 15 istituti regionali valutati dall’Usr come ad alto rischio di dispersione scolastica.

Si tratta di piccole misure che non possono bastare per colmare l’enorme gap con le regioni del Nord. Serve una strategia di più ampio respiro e un lavoro sinergico tra gli assessorati e i Comuni che gestiscon i nidi, ricevendo i finanziamenti anche dalla Regione. Occore partire dai numeri sui posti attualmente disponibili, dalle domande del territorio, dai target di riferimento. Non c’è un censimento generale e siamo riusciti ad ottenere solo un dato parziale comunicato dall’assessorato alla Famiglia (che ha competenza per la fascia 0-3 anni): nell’Isola risulterebbero “182 asili nido, per un totale di 6.500 posti”. Considerando che al di qua dello Stretto ci sono 390 Comuni, è facile tirare le conclusioni.

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