I siciliani scelgono sempre più la via del divorzio: ecco i dati

Addio matrimonio, in Sicilia sempre più coppie si separano: ecco le strade scelte

Filippo Calascibetta

Addio matrimonio, in Sicilia sempre più coppie si separano: ecco le strade scelte

Michele Giuliano  |
domenica 18 Giugno 2023

I divorzi continuano a crescere in Italia, anche tra i siciliani aumentano i numeri delle separazioni

Le coppie si rompono, ma sono tante le possibilità per proseguire la propria vita dopo la chiusura di un matrimonio. I siciliani hanno scelto prevalentemente due strade, secondo quanto è stato comunicato nel report dedicato compilato dall’Istat: da una parte le separazioni consensuali, con negoziazioni assistite da avvocati. La quota di questi accordi nel quadro complessivo della fine dei matrimoni, i cosiddetti “ex articolo 6”, raggiunge il suo valore massimo nel Lazio (17,8%), ma la Sicilia si trova subito dietro, con il 12,3%, insieme alla Campania, al 12,2%. Dall’altra parte purtroppo rimangono ancora alti i divorzi giudiziali, il numero più alto nei tribunali della Sardegna (44,4%), Sicilia e Calabria (entrambe 39,1%). Comunque i divorzi consensuali presso i tribunali si mantengono quasi sulla stessa percentuale di quelli giudiziali. In totale, i divorzi in Sicilia si attestano a 300 su 100 mila coniugati, dato che pone la regione nella parte bassa della classifica italiana.

Divorzi, andamento in crescendo dal 1970

La propensione a ricorrere agli accordi extragiudiziali di divorzio è diffusa in tutto il Paese ma soprattutto tra i residenti nel Nord d’Italia. Anche la preferenza verso la procedura ex articolo 12, che definisce i divorzi consensuali presso lo Stato Civile, è rilevabile soprattutto presso le regioni del Settentrione: quelle in cui è più utilizzato sono la Valle d’Aosta (33,3%), la provincia autonoma di Bolzano (30,9%) e l’Emilia-Romagna (29,3%). Sul versante dei divorzi consensuali conclusi in tribunale, le regioni in cui trovano maggiore diffusione sono la provincia autonoma di Bolzano (50,9% sul totale dei divorzi), quella di Trento (49,6%) e le Marche (48,8%). L’andamento dei divorzi è stato sempre crescente dal 1970 (anno di introduzione del divorzio nell’ordinamento italiano) fino al 2015, anno in cui il numero di divorzi ha subito una forte impennata (+57,5% in un solo anno).

Cosa è cambiato con l’ingresso delle nuove norme

Tale aumento è da mettere in relazione all’entrata in vigore di due importanti leggi che hanno rinnovato le modalità di approccio al divorzio: il decreto-legge 132/2014, che ha introdotto le procedure consensuali extragiudiziali, e soprattutto la legge 55/2015, il cosiddetto “divorzio breve”. Un nuovo cambiamento nei numeri ha riguardato il 2021: a causa della pandemia, infatti, molte procedure hanno subito un rallentamento, per cui, nel caso dei provvedimenti presso i tribunali, la conclusione dei procedimenti del 2020 e del 2021 ha riguardato separazioni e divorzi iniziati negli anni precedenti. Il rapporto tra separazioni/divorzi consensuali e giudiziali a livello nazionale nel 2021 risulta pressoché invariato rispetto all’anno precedente: l’85,5% delle separazioni si è concluso consensualmente, dato rimasto più o meno stabile nell’ultimo decennio. Più contenuta è la quota di divorzi consensuali (70,9%), ma sostanzialmente in linea con l’anno precedente (71,7%).

Le preferenze degli italiani

Nel complesso dei provvedimenti consensuali (sia extragiudiziali che non), più di una separazione consensuale su quattro e più di quattro divorzi consensuali su dieci avviene al di fuori del tribunale. I percorsi consensuali extragiudiziali riguardano rispettivamente il 23,8% di tutte le separazioni e il 29,7% dei divorzi. Negli accordi extragiudiziali per separarsi o divorziare le quote delle negoziazioni assistite da avvocati (ex art. 6) sono, rispettivamente: il 41,8% e il 29,4%; mentre la componente più consistente è quella degli accordi extragiudiziali direttamente presso gli uffici di stato civile (ex art. 12): si tratta del 13,8% di tutte le separazioni e del 21,0% di tutti i divorzi, con quote leggermente inferiori a quelle dei due anni precedenti.

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