La Presidente Ordine Psicologi Sicilia: “Figli di adulti fragili”. Franzò (Anp Sicilia): “Scuola sia perno azione educativa”.
Circa 243.159 adolescenti italiani, compresi fra gli 11 e i 17 anni, hanno partecipato almeno una volta a una social challenge, ossia le sfide – spesso pericolose – fra gli utenti della rete. Il dato è contenuto nello studio dal titolo “Dipendenze comportamentali nella Generazione Z”, realizzato dal Dipartimento Politiche antidroga della presidenza del Consiglio dei ministri e il Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità.
Nell’autunno del 2022 sono stati intervistati più di 8.700 studenti tra gli 11 e i 17 anni, 3.600 circa delle scuole secondarie di primo grado e 5.100 circa delle secondarie di secondo grado, su tutto il territorio nazionale. L’indagine – realizzata con Explora ricerca e analisi statistica – ha puntato l’attenzione anche sulle caratteristiche dei ragazzi con un profilo di rischio riguardante tratti di personalità, dimensione relazionale, contesto famigliare, scolastico e sociale, qualità del sonno e comportamenti legati all’utilizzo di internet, quali sfide social (social challenge), doxing, sexting e morphing.
Le challenge, che spesso vengono filmate per essere pubblicate sui social network per arraffare “like” e condivisioni, sono più diffuse fra i maschi e le fasce d’età più giovani.
Se da una parte un tale scenario e simili cifre, impongono già di per sé una riflessione da parte di famiglie, insegnanti, psicologi e medici; dall’altro un fatto, l’incidente stradale di Casal Palocco, in cui ha perso la vita il piccolo Manuel di cinque anni, sembra dire che dalla riflessione bisogna passare all’azione.
Un segnale sembra arrivare dal CdM del 27 giugno in cui è stato approvato il ddl con interventi in materia di sicurezza stradale e delega per la revisione del codice della strada, presentato dal ministro per le Infrastrutture, Matteo Salvini. L’obiettivo entro l’autunno sembra quello di dichiarare tolleranza zero a chi guida in stato di ebrezza o sotto l’effetto di stupefacenti – mettendo in campo strumenti quali l’ergastolo della patente per i recidivi e l’obbligo di montare sull’auto l’alcolock – e all’uso dello smartphone mentre si è al volante rischiando da sette a 20 giorni di stop per chi ha meno di 20 punti sulla patente. Vi è, inoltre, all’esame una distanza minima che i guidatori di auto dovranno tenere nel sorpassare i ciclisti. Ma non mancheranno le premialità, ossia punti aggiuntivi per i ragazzi che frequenteranno corsi extracurriculari di educazione stradale. Anche per i monopattini arriva la stretta: casco (non solo per i minorenni) e targa obbligatori con limiti di velocità e divieto di circolazione in aree extraurbane, oltre a multe per chi va in contromano e sui marciapiedi. Non ultimo, divieto per i neopatentati di guidare auto di grossa cilindrata.
Ma la partita sul rapporto dei giovani con le dinamiche social resta complessa e aperta; il QdS ha incontrato Gaetana D’Agostino, presidente dell’Ordine degli Psicologi di Sicilia e Maurizio Franzò, presidente regionale Anp (Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola) Sicilia per un approfondimento.
D’agostino: “Incertezze, delusioni e fallimenti: serve lavorare di più sulle emozioni”
Giovani e social media, una cosa è certa: mai demonizzare uno strumento.
Meno ovvio e scontato è come arrivare all’agognato “uso consapevole” di internet di cui tutti parlano ma che non sempre è facile declinare nella realtà quotidiana dei nostri ragazzi.
Che ruolo possono giocare gli psicologi nel recupero di questa generazione forse un po’ “perduta” nell’inconsistenza dei social? Lo abbiamo chiesto a Gaetana D’Agostino, Presidente Ordine degli Psicologi Sicilia.
Presidente D’Agostino, qual è il suo punto di vista?
“A mio avviso dovremmo partire da una prospettiva diversa e non parlare di generazione un po’ ‘perduta’ nell’inconsistenza dei social. I social possono essere tanto inconsistenti, ma possono anche diventare utili strumenti di conoscenza e crescita. Allora come ogni cosa sta l’uso che noi facciamo e qui assumono un ruolo decisivo gli adulti di riferimento che devono stimolare i giovani a sviluppare una relazione sana e consapevole con i social media, riconoscendo sia i benefici che le possibili trappole associate all’uso di queste piattaforme. Tutti noi, giovani e meno giovani, siamo immersi in quello che viene definito onlife, un concetto coniato da Luciano Floridi, per descrivere l’interazione e l’interconnessione tra il mondo online e offline, in cui la distinzione tra i due si fonde sempre di più. L’idea alla base dell’onlife è che la vita delle persone si sviluppa sempre più attraverso l’interazione con la tecnologia digitale, influenzando in modo significativo i modi in cui pensiamo, comunichiamo e ci relazioniamo con il mondo. In questa nuova dimensione quello che non deve mai cambiare è un buon rapporto con le proprie emozioni, riconoscerle, gestirle e viverle”.
Esiste un uso distorto dei social, ne sono esempi il cyberbullismo e non ultimo ne è prova il tragico fatto di cronaca che ha visto la morte del piccolo Manuel per via di una sfida lanciata da un gruppo di youtuber. Scuola, famiglia, esperti della comunicazione, influencer quale contributo possono dare per indirizzare verso un uso costruttivo dei social ma anche di svago, seppur all’insegna del rispetto?
“Certo che esiste un uso distorto dei social, dove tutto viene amplificato. La natura immersiva del mondo virtuale può comportare alcuni rischi, specialmente quando non viene posta una chiara enfasi sul senso del limite e questo è proprio quello che è successo con i recenti fatti di cronaca. Le famiglie, le agenzie educative ma anche il gruppo di pari, possono giocare un ruolo determinante per una sana gestione dei social. Non si tratta tanto di rendere consapevoli i giovani sul rischio, o meglio non solo quello, ma si deve fare un lavoro precoce sulle emozioni. Bisogna fornire le competenze emotive necessarie e creare un ambiente di supporto, questo può contribuire a prevenire e ridurre il cyberbullismo, oltre a promuovere relazioni sane e rispettose online”.
Dal mondo della politica arriva la proposta di legge di Calenda per vietare i social ai minori di 13 anni. Una regolamentazione è dovuta. Ma dal suo punto di vista è meglio parlare di “divieti” o di educazione ad un uso ragionato di questi strumenti?
“La questione di vietare l’accesso ai social media ai minori di 13 anni o adottare un approccio basato sull’educazione è un dibattito complesso e sfaccettato. Si vedono spesso adulti che utilizzano il telefono per calmare il bambino o per farlo mangiare. I profili social dei genitori sono pieni di foto dei loro bambini, fin dalla sala parto e attraversano tutte le tappe di crescita del proprio figlio. Quel mezzo diventa per i bambini, anche piccolissimi, un oggetto familiare. E come se facciamo vivere i bambini immersi in questa realtà fin da quando nascono e poi ci accorgiamo che diventa un problema solo quando sono adolescenti. Quindi il divieto in sé non avrà alcun effetto, ma parla più che altro di una fragilità adulta che non riesce a gestire le emozioni e vissuti dei loro ragazzi. Spesso, si è più concentrati sulla ricerca di formule o soluzioni rapide per essere considerati genitori/insegnanti/adulti ‘perfetti’, senza dedicare abbastanza attenzione alle vere esigenze emotive dei ragazzi che crescono. In questo contesto, il divieto del telefono, se considerato come unico strumento di gestione delle situazioni difficili, non è sicuramente la soluzione. Allora occorre creare un contesto nel quale i ragazzi riescano a parlare delle loro incertezze, delle loro delusioni e dei fallimenti. In una società sempre più iperformante bisogna legittimare la propria fragilità. Dunque sviluppare la consapevolezza emotiva, sia negli adulti che nei ragazzi, è essenziale per promuovere un uso sano ed equilibrato dei social media. Quando stiamo in contatto profondo con le nostre emozioni, siamo in grado di riconoscerle, comprenderle e gestirle in modo appropriato, sia nella realtà online che offline”.
La parola a Maurizio Franzò, Presidente Anp Sicilia
Il tragico fatto di cronaca che ha visto la morte del piccolo Manuel, nel bel mezzo di una sfida lanciata da un gruppo di giovani youtuber, impone una riflessione. Dal mondo della politica arriva la proposta di legge di Calenda per vietare i social ai minori di 13 anni. Una regolamentazione è dovuta: quale ruolo può svolgere la scuola? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Franzò, Presidente regionale Anp (Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità).
Presidente Franzò, è meglio parlare di “divieti” o di educazione ad un uso consapevole e ragionato di questi strumenti?
“La politica ha il dovere di intervenire purtuttavia i divieti non penso che possano essere risolutivi del problema. è necessaria un’azione congiunta che deve avere come perno una intensificazione delle attività educative rivolta ai più giovani. La scuola può e deve essere il perno centrale per rappresentare i pericoli che le azioni poste in essere e, successivamente, divulgate sui social possono determinare. Il gravissimo fatto accaduto è la punta di un iceberg ed è giunto il momento di una seria riflessione sulle dinamiche che vedono coinvolti i giovani”.
Social, due facce della stessa medaglia: da strumento didattico a mezzo per veicolare situazioni classificabili come cyberbullismo o di autolesionismo via social. Il passo può essere breve. Quali sono i campanellini d’allarme da cogliere all’interno della generazione Z, e arrivare per tempo…?
“Ormai temo che l’allarme sia scoccato da parecchio tempo. Uno strumento di condivisione viene spesso utilizzato in modo distorsivo sia per un mancato senso di civismo che per incapacità di comprendere gli effetti che un utilizzo distorto può determinare alle persone. Per questo credo che debba essere costantemente presente in modo organizzato e sistematico un’azione educativa nelle scuole. Non deve scandalizzare se tale azione inizia con i più piccoli visto che spesso sono vittima di tali abusi”.
Si prevede una formazione volta a far conoscere ai docenti gli strumenti per confrontarsi con queste dinamiche?
“Le scuole lavorano da anni con azioni volte alla lotta del Cyberbullismo ed il personale docente è adeguatamente formato ed attento a coglierne i segnali. Purtuttavia a volte alcuni segnali, per essere adeguatamente colti, necessitano di figure professionali che in questo momento non sono presenti nelle scuole in forma sistematica, mi riferisco alla figura dello Psicologo che ritengo debba essere organicamente inserito nelle scuole per fornire un supporto sia agli alunni che alle famiglie, oltre al personale scolastico”.