Grazie alla misura più entrate per lo Stato, un milione di posti di lavoro e taglio CO2. I costi alti? Nessuna trattativa tra imprese e committenti. Fresta (Ance Catania): "Aziende corrette"
ROMA – Sul Superbonus si è detto tutto il contrario di tutto e sembra che ormai il livello della discussione si sia ridotto a una disputa muscolare tra contrari (la maggioranza di Governo, con qualche distinguo) e favorevoli (le opposizioni, con diversi livelli di aggressività). Il requiem all’incentivo lo ha suonato direttamente Giorgia Meloni: “Il superbonus continua a generare 3 miliardi di crediti al mese: se lo lasciassimo fino a fine anno, non avremmo i soldi per fare la finanziaria”. La premier ha ripetuto il ragionamento del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che, ad appena un paio di mesi dal taglio dell’agevolazione dal 110 al 90% (e guardacaso subito dopo la tornata elettorale delle amministrative), ha deciso di affossare di fatto la misura con il Decreto legge “Blocca cessioni” dello scorso 16 febbraio, che ha chiuso la porta alle cessione dei crediti e allo sconto in fattura per i lavori successivi a tale data, due modalità che avevano consentito anche alle fasce più deboli della popolazione di usufruire dell’agevolazione per riqualificare energeticamente la propria abitazione.
In pratica, il bonus resterà “super” ma soltanto per i ricchi, cioè coloro che avranno, anzitutto, la liquidità per anticipare il costo dei lavori (in media 175 mila euro per le unità singole secondo Nomisma Energia, cifre che superano anche il milione per i condomini) e, in secondo luogo, la “capienza” fiscale, la capacità del contribuente di ridurre l’imposta sul reddito tramite detrazioni Irpef entro quattro anni. Non è difficile comprendere come saranno veramente pochissimi i nuclei familiari che potranno accedere alla misura poiché privi della capienza fiscale necessaria a sostenere le spese previste. Si tratta di ratei annuali pari, in media, a 31.307 mila euro per edifici unifamiliari. Cifre insostenibili per le famiglie con un reddito “ordinario” che, stando alle ultime rilevazioni del Mef, in Italia ammonta a circa 21.570 euro.
“Con le nuove disposizioni – ha sottolineato al QdS Rosario Fresta, presidente dell’Ance Catania – ci troviamo di fronte a una situazione in cui il superbonus verrà fruito solo da una bassissima percentuale di cittadini che posseggono un cassetto fiscale sufficiente a compensare le spese previste. A questo si aggiunge la già annosa questione dei crediti incagliati per i lavori già avviati, per cui le aziende del comparto sono seriamente in difficoltà e a farne le spese sono anche i cittadini che dovrebbero fruire dell’agevolazione”.
Superbonus e superballe
Quanto è costato realmente il superbonus? Meloni ha parlato di 105 miliardi di euro, ma è scorretto in quanto si mettono sotto l’ombrello del 110% tutti gli altri incentivi (Bonus facciate, ristrutturazioni, ecobonus ordinario ecc.). Se restiamo alle cifre ufficiali, quelle fornite dall’Enea, il superbonus ha generato al 31 dicembre 2022 detrazioni per 62,4 miliardi di euro. Ma questo senza considerare, dall’altro lato, le maggiori entrate per la casse dello Stato, grazie anzitutto all’emersione del lavoro nero.
Secondo i calcoli di Nomisma Energia, il superbonus ha comportato un investimento di fondi pubblici pari a 71,8 miliardi. Per ogni euro investito, di fatto, lo Stato ha attivato 3 euro di investimento con un impatto che può essere quantificato in circa 195,2 miliardi, tra impatti diretti (87,7 miliardi), indiretti (39,6) e indotto (67,8). Stando così i fatti, l’erario potrà recuperare tutto ciò che ha investito in circa 4-5 anni. Un bilancio tutt’altro che in negativo se si considera che, come sottolineato sempre da Nomisma, sono stati creati circa un milione di posti di lavoro, sono state ridotte del 50% le emissioni di CO2 degli edifici e le bollette delle famiglie hanno visto un risparmio variabile stimato tra il 31 e il 46%.
Il nodo dei prezzi
Tra i problemi legati al superbonus c’è, invece, certamente quello dei prezzi. Che, nonostante l’aumento (vero, anzi verissimo) dei costi energetici e di quelli per le materie prime, sono cresciuti in virtù del meccanismo insito nel 110%.
Anzitutto è mancata la classica trattiva tra imprese e committenti (singoli proprietari di villette o condomìni). Se “tanto paga tutto Pantalone”, pressocché nessuno si è posto il problema di andare a verificare il costo delle singole voci dell’intervento. Che, attenzione, non potevano essere determinate ad libitum. Il Governo ha fissato infatti un listino prezzi (il celeberrimo allegato 1 del decreto Mise 6 agosto 2020, ritoccato da un altro provvedimento del Mite lo scorso 15 aprile 2020 con un aumento del 20% resosi necessario per lo scoppio della guerra e l’esplosione dell’inflazione) che però prevedeva una “spesa massima ammissibile” per ogni tipologia di intervento, rimandando poi per le voci non previste ai listini predisposti da Regioni e Province autonome.
Un “tetto” che, però – come ci confermano alcuni professionisti da noi ascoltati – di fatto è stato il prezzo “standard” praticato, rispetto al quale – ovviamente – non veniva mossa alcuna obiezione (nessuno insomma chiedeva il classico sconticino). Così come non si è battuto ciglio sulle parcelle degli stessi professionisti anche in questo caso sovente spinte al massimo.
Prezzi comunque legittimi e per nulla “gonfiati” secondo le associazioni di categoria. “Le imprese che hanno lavorato in maniera corretta – ha sottolineato Fresta – hanno fatto letteralmente riferimento al prezziario disposto dalla Regione e ai massimali di spesa in esso indicati. Naturalmente se parliamo di unità familiare si parlava di interventi che arrivavano a 160-170 mila euro, nel caso di condomini, a seconda del numero di appartamenti, si poteva arrivare a 1 milione e 600 mila euro. Non possiamo dire che i prezzi siano stati in alcun modo gonfiati anche perché con il decreto antitruffa sono stati inseriti dei rigidi controlli da parte dello Stato in ogni singola parte del processo. Ciò che possiamo dire è che il bonus facciate è stato inizialmente mal regolamentato sin dall’inizio. Per porre rimedio al rischio di truffe, il Governo ha però introdotto nel 2021 l’asseverazione di congruità delle spese anche per questa misura. Non dobbiamo dimenticare che, in generale, il superbonus ha imposto un’importantissima frenata anche a tutto il mondo del nero, con notevoli benefici per l’erario nazionale”.
Imprese all’improvviso
“Il vero problema che abbiamo sollevato come Associazione anche a livello nazionale, sin dall’avvio della misura – ha continuato – riguarda la qualificazione delle imprese atte a svolgere i lavori. Trattandosi di fondi erogati dallo Stato, è necessario che le aziende esecutrici posseggano la qualificazione Soa necessaria anche per accedere agli appalti pubblici. Questo avrebbe sicuramente evitato numerose truffe, senza considerare il fatto che negli ultimi 10 anni sono nate circa 13 mila nuove aziende nel settore che non hanno aderito pienamente a queste indicazioni, lasciando eccessivamente libero il mercato e facendo spazio a numerose speculazioni. Tante piccole attività che prima fatturavano 200 mila euro l’anno, spinte dall’entusiasmo del momento e dalla facilità di cessioni e pagamenti, hanno accettato lavori per milioni di euro ma adesso si trovano in difficoltà, perché la norma glielo consentiva. Forse andava messo precedentemente qualche paletto in più”.
Un guazzabuglio normativo
Se qualche paletto in più poteva servire, anche qualche decreto in meno sarebbe stato auspicabile. In circa due anni e mezzo di entrata in vigore, infatti, gli articoli 119 e 121 del Dl 34/2020 hanno subito ben 33 modifiche, “vale a dire circa due modifiche al mese” ha evidenziato il numero uno di Ance Catania. Alla confusione generale, poi, si aggiunge l’annosa questione dei crediti incagliati che già da diversi mesi. “Sono tantissime – denuncia Fresta – le imprese che rischiano di saltare. Va trovata quanto prima una soluzione per uscire da questo limbo. Senza dimenticare che l’Europa ci chiede tassativamente di raggiungere gli obiettivi green in termini di riqualificazione energetica e sismica. Come è possibile pensare di raggiungere questi obiettivi allo stato attuale, considerate anche le ultime disposizioni del Governo che rischia di paralizzare totalmente la misura?”.
Si parla, in particolare, della Direttiva Ue sulle cosiddette “Case green”, già approvata dalla Commissione europea, in base alla quale gli edifici residenziali dovranno raggiungere la classe energetica “E” entro il 2030 e la “D” entro il 2033. Un obiettivo piuttosto ambizioso se si considera che, stando ai dati dell’Enea, quasi il 60% degli immobili italiani si trova nelle classi peggiori, “F” e “G”. Il Governo è dunque chiamato a salvare “capre e cavoli”, individuando e promuovendo un incentivo che sia economicamente sostenibile per le tasche di cittadini e Stato e, allo stesso tempo, ci permetta di rispondere in tempi brevi a quanto richiesto dall’Europa, evitando l’ennesima procedura d’infrazione. In questo senso la riduzione dell’agevolazione al 90% sembrava un buon compromesso per contenere i costi grazie a quella già citata “trattativa di mercato” tra imprese e committenti venuta meno con il 110. Ma ora, senza cessione del credito e sconto in fattura, la strada della riqualificazione energetica resterà, di fatto, riservata solo a pochi.