Zes unica al Sud, Ponte sullo Stretto di Messina, Pnrr: ecco a che punto siamo. “Incentivi sì ma serve una qualità complessiva del territorio: dalla forza lavoro alle infrastrutture”
La questione meridionale non esiste come fatto locale. Esiste una questione nazionale, irrisolta, ma che riguarda il Paese intero. La politica nordista schiacciata sul sostentamento del Sud – inteso come zavorra – ci ha spesso rappresentato come ultima ruota del carro, complice anche una classe dirigente meridionale non all’altezza della situazione. Abbiamo affrontato alcuni dei temi più caldi che legano a doppio filo Italia, Sud e Sicilia, con l’economista e scrittore Gianfranco Viesti che è professore di Economia applicata all’Università di Bari.
Pnrr al Sud, a che punto siamo?
“C’è una cosa buona e una cattiva. La buona è che il governo Draghi ha destinato il 40% di risorse al Sud; la cattiva è che l’attuazione delle specifiche misure è molto diversificata al Sud. Non c’è attenzione sufficiente alle dinamiche interne al Mezzogiorno: il 40% è complessivo, non è per tutti i comuni o regioni. Il Dipartimento delle politiche di coesione ogni sei mesi deve fare una relazione al Parlamento sul tema e notiamo preoccupati che l’ultimo rapporto non è stato pubblicato. Di fatto, gli stanziamenti di tutti i ministeri hanno rispettato la proporzione con eccezione importante, però, per quello delle Imprese e del Made in Italy: invece del 40% si registra un 24%, cifra troppo inferiore. Il sospetto è che abbiano investito di più sui territori in cui le imprese sono già forti. Poi, un altro tema: mentre una parte delle misure è stata attuata proporzionalmente – lavoro e sanità – su un’altra parte ci sono stati bandi competitivi aperti ai soggetti. Questo metodo può produrre delle differenze: il quadro è ancora in via di costruzione però distinguiamo alcuni punti. In Sicilia è molto evidente che nel campo dell’istruzione le risorse ottenute sono largamente insufficienti: è il caso degli asili nido per i quali il numero di progetti presentato dai comuni siciliani è assai insufficiente rispetto ad altre regioni del Sud con la conseguenza che la Sicilia riceverà meno fondi rispetto a quelli che ad essa erano destinati, per la carenza di domanda; è anche il caso delle scuole dove le mense e le palestre al Sud che hanno maggiore difficoltà non sono quelle che hanno ottenuto i fondi. Invece, nel campo energetico, la Sicilia ha dei dati piuttosto positivi. Per noi, poi, è molto significativa la proposta del governo di rimodulazione presentata alla Commissione europea, che cancella talune misure e ne inserisce altre: ne saltano alcune molto intense per il Sud ed in altre la quota Sud è più bassa. Un esempio è quello della riduzione del numero di case di comunità e di ospedali di comunità che il governo ha deciso di operare su scala nazionale, ma non sappiamo in quali regioni. Inoltre, il governo ha definanziato una serie di interventi per le aree metropolitane che per la Sicilia erano rilevanti – Messina, Palermo e Catania – che avrebbero significato riqualificazione delle periferie. Dobbiamo lavorare su queste differenze interne e seguire con attenzione la fase successiva agli stanziamenti, cioè quella di appalti e realizzazioni: siamo agli inizi e la certezza delle opere ancora non c’è, anche se non abbiamo motivo di pensare che non verranno realizzate. In sintesi, il quadro è soddisfacente perché diversi interventi del piano vanno avanti ma c’è preoccupazione per quelle parti in cui la quota Sud si abbassa.
Ponte sullo Stretto: siamo sulla strada giusta?
“Il tema rilevantissimo per la Sicilia è l’attraversamento dello Stretto: rendere più agevole lo spostamento per automobili e treni. Una delle ipotesi è quella di costruire il ponte. L’ultimo documento proposto sul tema è quello del governo Draghi: su quello lavoriamo. Perché bisogna lavorare sulle carte. In base a quello, non è chiaro se sia più fattibile e conveniente una soluzione a campata unica o a tre campate per la realizzazione del ponte, inoltre non è assolutamente definito se sia meglio un ponte stabile o un potenziamento dei traghettamenti soprattutto per i treni più moderni e rapidi, evitando la procedura di separazione del treno. L’enfasi attuale sul ponte mi sembra molto problematica perché non abbiamo un progetto ufficiale che ci dica se il ponte si può fare da un punto di vista tecnico – ingegneristico e che ci convinca che i costi e i tempi per la costruzione siano meglio del potenziamento di viabilità per mare. La mia posizione è che io sono a favore dei siciliani: che abbiano diritto ad un attraversamento in auto e treno molto migliore dell’attuale e per questo vorrei che sul difficile tema si confrontassero, da un punto di vista ingegneristico e finanziario, soluzioni ben definite. Il costo dell’opera a campata unica, sulla quale girano alcune voci che la quotano a 13 miliardi di euro attualmente non disponibili, va paragonato ai suoi vantaggi ai costi e ai tempi da confrontare seriamente – se non vogliamo solo fare propaganda – a quelli di altre soluzioni di attraversamento. Nel caso della campata unica ha, per esempio, un pregio evidente che è quello di avere una circolazione molto più rapida ferroviaria perché il treno passerebbe sopra agevolmente ma ha il grande difetto che non collegherebbe Messina a Reggio Calabria per l’altezza troppo elevata dell’opera. Bisogna ragionare dati alla mano: quei 13 miliardi vanno paragonati allo stato complessivo dell’infrastruttura trasporti siciliana che oggi è ferma all’800. L’intera rete può migliorare la vita degli abitanti ma non da sola la singola opera ed in questo sono completamente in disaccordo con l’attuale ministro: un abitante di Trapani quanto sarebbe favorito da questa spesa così grande di 13 miliardi per il ponte? E un abitante di Agrigento?
Zes unica al Sud, cosa ne pensa, è una buona soluzione in chiave di investimenti e sviluppo?
“No, perché torniamo a illuderci che si possa avere un aumento degli investimenti delle imprese semplicemente riducendo il costo dell’investimento, un cosa molto anni ‘70. Gli investimenti delle imprese sono collegati alla qualità complessiva dei territori in cui si localizzano, le qualità della forza di lavoro, la qualità delle infrastrutture e dei collegamenti, non è tanto con uno sgravio fiscale forte che noi convinciamo le imprese a fare chissà quali investimenti aggiuntivi. Una politica di incentivazione può essere una componente della politica di sviluppo però non è la componente più importante. Naturalmente una forte politica di incentivazione si giustifica in termini politici perché sollecita il consenso. Sostenere gli investimenti va benissimo, però non basta perché il tema è avere nuove imprese e non soltanto sostenere le imprese che già ci sono. è una scelta molto politico-comunicativa ma insufficiente”.
Gianfranco Viesti
Professore ordinario di Economia applicata, Università di Bari