Girato tra Procida e Salina, un film-manifesto che racconta un’epoca ormai lontana. Raramente si è assistito a una luminosità calorosa come quella emanata dall’attore campano
Cos’hanno in comune Il Postino e Leòn, di Luc Besson? Entrambi i film, nel 2024, compiono trent’anni. Due titoli europei che sono entrati nella “memoria collettiva” (sic!), una maniera schematica e grossolana per definire la percezione culturale, ovvero: libri/film/dischi che qualcuno ha effettivamente consumato su media tradizionali, prima che l’ossessione per il digitale ci travolgesse.
La differenza con il film di Besson e quello di Radford, entrambi profondamente connessi ai personaggi delle opere e alle loro azioni, è che il primo un regista “riconosciuto”, al di là dei gusti personali di ciascuno, ce l’ha, ed è appunto l’autore de Il quinto elemento, ora sbertucciato, ora osannato, ora chissà. Il Postino, invece, digerisce una sovrapposizione di nomi, di storie e di carriere che ne fa un prodotto culturale quantomeno anomalo, nella sua strutturazione intellettuale e produttiva.
Leòn è chiaramente un film francese ambientato negli Stati Uniti; ma Il Postino, invece, cos’è? E soprattutto: se Leòn appartiene alla grandeur urbana e sbruffona di Besson, Il Postino di chi è? Sarebbe folle non riconoscere il mestiere a un artigiano del cinema come il bravissimo Michael Radford, che nel 1994 aveva già diretto titoli importanti come Orwell 1984 e Misfatto bianco. Lasciando in pace Besson, e rimanendo in casa nostra, per molti Il Postino è uno di quei titoli che rappresentano il nostro Paese nel mondo, sia per incassi che per – vedi sopra – percepito intellettuale: diversi passaggi in televisione, successo in home video (leggi: le vhs), assenza all’epoca della pluralità di media e di cellulari con Internet, un mercato meno saturo.
Il tema reale è che al suo legittimo regista, il film lo ha sottratto Massimo Troisi: per vicende prettamente biografiche (non sapere che sia morto a fine lavorazione è come vivere sulla Luna con occhi e orecchie foderate di prosciutti), perché i diritti del romanzo Il Postino di Neruda di Antonio Skármeta li ha comprati lui e, ultimo ma non ultimo, poiché raramente si è assistito a uno spettacolo della natura, a una luminosità così calorosa come quella emanata dall’attore campano.
Troisi è quel film, nonostante Radford, che avrebbe dovuto comunque co-dirigere l’opera con Troisi se non fossero peggiorati i già noti problemi al cuore, nonostante la bravura di Philippe Noiret, nonostante Pablo Neruda, nonostante Cecchi Gori, nonostante il carisma di Maria Grazia Cucinotta – uno di quei casi di interpreti legati per sempre a una pellicola, e non importa che l’attrice messinese non abbia mai vinto un Oscar: meglio un solo ruolo memorabile che una sfilza di apparizioni mai notate.
In pochi, pochissimi ricordano scene o sequenze de Il Postino, non perché non sia stato visto o apprezzato (numeri e percepito, ancora una volta, parlano chiaro): è più semplice ricordare come il dolore e la luce degli occhi di Troisi si sia mangiato tutto il resto, Procida e Salina incluse, tranne forse la bicicletta.
Se di film assimilabili per apprezzamenti, premi, epoca e simili come Nuovo Cinema Paradiso, Mediterraneo o La vita è bella si ricordano dettagli tipo la sequenza dei baci proiettati in sala, la partita di pallone o l’addio alla vita di Benigni, Il Postino è al 1000% Massimo Troisi. Nemmeno “di”: è proprio lui, e poco importa che alcuni titoli firmati esclusivamente dall’attore gli siano superiori – non ha nulla da invidiargli, per esempio, il perfetto Pensavo fosse amore… invece era un calesse, scritto tra l’altro con Anna Pavignano, che insieme a Troisi, Radford e agli Scarpelli ha sceneggiato anche Il Postino.
In quella baraonda estrema che mescola arte, vita e morte come fossero amalgama, Il Postino arraffa gli occhi di Troisi, la dolenza del suo corpo e dei suoi fiati, e racchiude tutta l’indiscreta mania degli anni Novanta di produrre film testimoni di quell’epoca e solo di quell’epoca lì – inclusi i titoli sopra citati.
Se Pensavo fosse amore… invece era un calesse o Ricomincio da tre sono opere antecedenti ma che possono essere fruite nel 2024 con maggiore agilità, senza troppi complessi o compiaciuti ricorsi alla nostalgia, film come Il Postino restano cristallizzati nel ricordo, mai generativi, indimenticati, certo, ma apprezzati perché irreplicabili, simbolo di una decade – i Novanta – che interessa poco attualizzare ma molto amare con malinconia.
Forse perché, in quegli anni lì, eravamo di meno. O forse perché, troppo impegnati a lambiccarci il cervello sull’eredità degli anni Ottanta, dal decennio dopo ci siamo presi tutto quello che potevamo senza interrogarci troppo su come ereditarne al meglio le impalcature. L’isola di Salina dal 14 al 16 giugno ospita la XIII edizione di Marefestival Salina Premio Troisi: la madrina sarà proprio Maria Grazia Cucinotta.