Malpractice, cresce la sfiducia nei confronti del settore sanitario - QdS

Malpractice, cresce la sfiducia nei confronti del settore sanitario

Antonio Leo

Malpractice, cresce la sfiducia nei confronti del settore sanitario

giovedì 04 Aprile 2013

Il rapporto “La crisi sociale del Mezzogorno”, divulgato da Censis: 1 siciliano su 3 insoddisfatto. La dissaffezione dei cittadini del Sud verso il sistema salute cresce fino al 62,2%

PALERMO – C’era una volta il “welfare state”, o forse non c’è mai stato. Almeno in una parte considerevole di un Paese atavicamente a due velocità. Il termometro della solitudine dei “numeri ultimi” è celebrato dai recenti rapporti in termini di fiducia nel sistema sanitario nazionale, bocciato senza appello al Sud e al di qua dello Stretto. Il 17,1% dei residenti meridionali, secondo un rapporto stilato dal Censis, negli ultimi cinque anni, si è spostato in un’altra regione per farsi curare. Troppo rischioso per un cittadino del Sud su cinque fidarsi della qualità e della professionalità dei propri medici.
Meglio un viaggio della speranza, che sia in Veneto o in Lombardia, ma certo lontano da casa e dagli affetti. È doppia la solitudine dei numeri ultimi, dei meridionali in fondo a tutte le classifiche (dalla qualità della vita fino alle infrastrutture, statistiche talmente note che sarebbe banale elencare). Il rapporto “La crisi sociale del Mezzogiorno” dà la misura di un deterioramento preoccupante anche per quanto riguarda il giudizio dei cittadini sui servizi loro offerti: negativo per il 7,5% al Nord-ovest, l’8,7% al Nord-est, il 25,6% al Centro e addirittura il 32,1% al Sud.
Un meridionale su tre boccia la sanità di casa propria.Negli stessi giorni della presentazione del Rapporto Censis, inoltre, è stato reso noto un altro studio che tratteggia un quadro di sfiducia ancora più marcato. Secondo la Relazione “Oasi 2012” dell’Università Bocconi, intitolata indicativamente “I frutti dell’austerity sanitaria: più tasse e meno servizi”, la disaffezione dei meridionali verso la sanità sarebbe addirittura al 62,2% contro una media italiana del 43,9%. E il trend è del tutto negativo, come mostra quel 31,7% di assistiti che giudica peggiorati i servizi sanitari della propria regione. Perché l’austerity se da un lato sta provando a rimettere i conti a posto, con risultati dubbi, dall’altro penalizza i pazienti che si ritrovano con servizi sempre più scadenti, specie al Sud.
“La tanto sbandierata politica di ‘razionalizzazione della spesa’ – valutano gli esperti della Bocconi – più che ridurre gli sprechi avrebbe finito per tartassare ancor più i contribuenti. Che, indossati i panni di assistiti, hanno anche scoperto di dover pagare sempre più i servizi sanitari. Certo, se andiamo a vedere la classifica degli anni di vita attesa in buona salute l’Italia si classifica al secondo posto con oltre 67 anni sia per gli uomini che per le donne, dietro solo alla Svezia. Ma che qualcosa da noi cominci a non andare per il verso giusto sono per primi gli assistiti a segnalarlo. Soprattutto coloro che vivono nelle 8 regioni alle prese con un piano di rientro del deficit sanitario: il 57,8% di chi vive in Campania, Lazio, Abruzzo, Molise, Piemonte, Calabria, Puglia e Sicilia si è dichiarato insoddisfatto contro un più modesto 23,3% di ‘scontenti’ delle altre regioni”.
Una fenomeno radicato e destinato a crescere. Nel Mezzogiorno, infatti, è previsto un forte incremento (del 35% entro il 2030) delle persone anziane, le quali agli “odiati” camici bianchi dovranno rivolgersi sempre più spesso.
 

Triste primato. Il più alto tasso di decessi in sala operatoria
 
Chiedete a quell’uomo di Sciacca, che perse moglie e figlia in una giornata di mezza estate a causa dell’imperizia dei medici. Chiedete ad Andrea T., invalido al 100% dalla nascita, a cui un milione di euro non basteranno mai per risarcire il sogno di una vita infranta. Chiedete a quella casalinga di Palermo, a cui iniettarono un antibiotico che le fu letale. Chiedetelo a loro se si fidano ancora del sistema sanitario regionale. In fondo, a chi segue le cronache siciliane, i dati diffusi dal Censis e dalla Bocconi non è sorprendono più di tanto. Lo abbiamo scritto più volte dalle colonne di questo giornale che la Sicilia è la regione con il più alto tasso di decessi in sala operatoria. Lo ha rivelato la relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario presieduta da Antonio Palagiano. Su 570 casi di malpractice, verificatisi tra l’aprile del 2009 e dicembre 2012, ben 117 sono avvenuti nell’Isola. Praticamente un errore su cinque avviene negli ospedali siculi. I decessi sono stati 84, cioè mediamente quasi 30 all’anno nel periodo di tempo considerato. Non sempre l’errore è da imputare ai medici, ma spesso è causato da disservizi, carenze, strutture inadeguate, e l’elenco potrebbe continuare ancora per molto. Invece ci fermiamo qui, anche perché il problema è legato a doppio filo con gli sprechi del settore che impediscono di investire in strutture e qualità. Se è vero che i cittadini pagano balzelli draconiani come nel resto del Paese (la pressione fiscale supera il 50% ad Agrigento come a Como), l’uso che si fa dei quattrini non è lo stesso. Basta ricordare, come più volte denunciato dal QdS, che il sistema sanitario regionale paga alle assicurazioni dei premi salatissimi a fronte di un numero ridicolo di risarcimenti. E così i cittadini siciliani pagano la sanità due volte, con le loro tasche e la loro pelle.

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