La potestà genitoriale ci lascia, sostituita dalla responsabilità - QdS

La potestà genitoriale ci lascia, sostituita dalla responsabilità

Serena Giovanna Grasso

La potestà genitoriale ci lascia, sostituita dalla responsabilità

mercoledì 13 Novembre 2013

La norma istituisce lo status giuridico unico di figlio senza distinzione tra nati fuori o dentro il matrimonio. La legge 219/12 pone l’accento sui diritti e allarga le possibilità di riconoscimento

PALERMO – Spesso abbiamo sentito parlare di cambiamenti nell’orizzonte della potestà genitoriale, specie nell’ultimo periodo. La legge 219/2012, già parzialmente in vigore, pone l’accento in maniera preminente sulla responsabilità, mettendo in second’ordine, se non addirittura oltre, la componente che attiene alla potestà. Il passaggio dalla potestà genitoriale in senso stretto alla responsabilità genitoriale è stato graduale, composto da un susseguirsi di riforme, ma allo stesso tempo netto. La responsabilità genitoriale, tra l’altro, è l’istituto di protezione del figlio minorenne.
Il termine potestà fa riferimento a un’altra epoca, del tutto lontana rispetto a quella odierna; un’epoca in cui i figli dovevano rispettare pedissequamente le disposizioni dei genitori senza possibilità di appello. Oggi, al contrario, la responsabilità del genitore è un dovere nei confronti del figlio.
Le novità apportate dalla legge 219/2012 sono state l’istituzione dello status giuridico unico di figlio senza distinzione tra figli nati nel matrimonio o fuori del matrimonio e l’inserimento esplicito della responsabilità genitoriale nella sfera di competenza della potestà genitoriale.
È evidente come la responsabilità dei genitori vada messa in relazione con i diritti dei figli. Ogni figlio ha diritto a essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori. Inoltre, il bambino deve essere sempre ascoltato nelle procedure che lo riguardano se ha 12 anni o anche meno, in particolar modo nelle situazioni di disaccordo tra i genitori che sfociano inevitabilmente nel ricorso al giudice.
L’obiettivo della legge 219/2012 è quello di promuovere l’ampliamento delle possibilità di riconoscimento. Infatti, è stata estesa la presunzione di paternità per i figli nati durante il matrimonio, ma concepiti prima.
A tal proposito, i minori che abbiano compiuto 14 anni e siano stati riconosciuti da un solo genitore, qualora l’altro genitore sia disposto al riconoscimento, hanno facoltà di scelta in merito all’accettazione del riconoscimento o mancata tale. Questo è quanto prevede la nuova formulazione dell’articolo 250 del Codice civile in vigore dal primo gennaio 2013.
Naturalmente esistono anche dei limiti all’esercizio della responsabilità genitoriale. I casi più frequenti riguardano l’affidamento esclusivo a un solo genitore, l’affidamento giuridico al Comune di residenza che disporrà sul collocamento fisico del minore e la dichiarazione di decadimento di un genitore il quale dovrà comunque continuare a contribuire al mantenimento del figlio. I genitori gravemente inadempienti rischiano di vedere i propri figli sottratti al nucleo familiare e sottoposti all’affidamento; nei casi estremi, addirittura, verrà dichiarato lo stato di abbandono e i minori potranno essere adottati.
Le novità significative introdotte dalla legge 219/2012 afferiscono al nuovo articolo 448-bis del Codice civile, secondo cui il figlio non è tenuto a prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza della potestà, in più ha la possibilità di escluderlo dalla successione.
L’idea principe che si vuol trasmettere è quella che la potestà, anzi la responsabilità genitoriale sia condivisa. Si tende a massimizzare la condivisione estendendola anche ai genitori non affidatari di figli nati da coppie non unite in matrimonio. L’estensione di cui parliamo si riferisce all’art. 4 della legge 54/2006 secondo cui il genitore non affidatario ha il diritto, ma anche il dovere, di vigilare sull’istruzione del minore, in particolar modo in merito alle decisioni di maggiore interesse. Dunque, emerge la contitolarità di entrambi i genitori all’esercizio della potestà genitoriale.
Naturalmente è imprescindibile la presa in considerazione delle inclinazioni e degli interessi del minore. Ad esempio, immaginiamo il caso in cui il figlio di una coppia non unita in matrimonio venga affidato in via esclusiva alla madre e questa decida di battezzarlo in nome di una religione che non appartiene al padre. In questa situazione, la madre non può decidere per suo conto, ma deve consultare il padre e nel caso di mancato accordo sarà il giudice ad esprimersi in merito. Questo esempio dimostra l’importanza, nonché la necessarietà, della cooperazione tra i genitori.
Ma non è tutto, la responsabilità genitoriale può protrarsi oltre il conseguimento della maggiore età. Infatti, nei casi in cui il figlio presenti delle disabilità, a seconda della gravità di esse, il giudice può decidere se nominare un amministratore di sostegno che in via preferenziale è costituito da uno dei due genitori. Cosicchè il genitore continua ad esercitare la propria responsabilità genitoriale sul figlio.

La legislazione garantisce l’ascolto del figlio minore. Intervista a Tommaso Auletta, ordinario di diritto di famiglia

Per chiarimenti in merito alla questione “potestà-responsabilità genitoriale”, il QdS ha intervistato Tommaso Auletta, professore di diritto privato e di famiglia.
La legislazione, secondo lei, garantisce la piena tutela dei diritti dei figli nell’esercizio della potestà genitoriale?
“Bisogna vedere cosa si intende per diritti dei figli. Nell’esercizio della potestà, la legge prescrive ai genitori di tener conto degli interessi dei figli. Quel che la legge 219/2012 ha rimarcato è l’ascolto. Le tecniche che usa il legislatore per tenere in considerazione l’interesse dei figli differiscono a seconda dei casi. Ad esempio, nel caso di affidamento il minore va sentito, deve esprimere i motivi per cui preferisce un genitore piuttosto che un altro. Ad ogni modo, il giudice deciderà autonomamente e non sarà vincolato dal giudizio del minore”.

La legislazione ha compiuto passi in avanti rispetto al passato? Ha tenuto conto dell’esclusione dalle dinamiche sociali e familiari?
“Sì, in alcuni casi la legge si è adeguata. Qualora non si fosse adeguata la legge, si è adeguata l’interpretazione delle norme. Mentre la legge continua a dire che è il genitore ad esercitare la potestà e a decidere, la giurisprudenza tiene in considerazione il desiderio del minore capace di esprimere la propria volontà. Oggi, in determinate circostanze il figlio ha autonomia di decisione, poichè la potestà è un insieme di poteri che acquisisce il genitore nel momento in cui il minore non è in grado di provvedere da sè. Ogni aspetto della vita del minore è cambiato, pur non essendo di molto cambiato il tenore delle norme. I giudici non ritengono appropriato l’esercizio della potestà condotto con autoritarismo ferreo. Il giudice deve valutare se l’esercizio della potestà è rivolto all’interesse del minore o a quello personale”.
Inoltre, è possibile sottrarre, in virtù della nuova legislazione, i figli minorenni al nucleo familiare nel caso in cui i genitori dimostrino inadempienza economica a causa della perdita del lavoro?
“No, questa condizione non può portare alla situazione di abbandono. è vero che la mancanza di risorse nel soddisfacimento dei bisogni fondamentali gravemente pregiudizievole per la salute potrebbe essere una ragione per dichiarare lo stato di abbandono. Però, in questi casi i genitori possono chiedere l’assistenza degli enti locali previa presenza di risorse. Ma l’idea della legge è che il minore non venga sottratto al nucleo familiare, salvo che il minore sia in stato di abbandono perché i genitori non utilizzano queste forme di sostegno o le utilizzano per altri fini”.

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