Troppo arsenico in acqua e suolo a Gela - QdS

Troppo arsenico in acqua e suolo a Gela

Giuseppe Solarino

Troppo arsenico in acqua e suolo a Gela

venerdì 23 Gennaio 2015

Concentrazioni fino a 25mila volte il limite normativo nelle falde e fino a 1,5 volte la soglia nei terreni. Pubblicati di recente i dati del progetto Sepias, monitorato campione di 282 soggetti

AUGUSTA – L’arsenico, simbolo chimico As, è un metalloide utilizzato in molti prodotti e processi industriali e viene immesso nell’ambiente (aria, acqua e suolo) tramite rifiuti ed emissioni. L’Iarc (International agency research on cancer) già dal 1980 valutava l’arsenico ed i composti arsenicali cancerogeni per l’uomo e, dal 2004, li classifica cancerogeni certi di classe 1 e li pone in diretta correlazione con molte patologie oncologiche ed in particolare con il tumore al polmone, alla vescica, al rene, al fegato, al colon ed alla pelle.
 
L’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) raccomanda, nelle acque potabili, un valore massimo di arsenico di 10 μg/l e considera i rischi sanitari, associati all’esposizione a concentrazioni superiori a 10 μg/l e inferiori a 50 o 100 μg/l, di considerevole interesse in campo di sanità pubblica. Sembra infatti che per l’arsenico, presente in valori di concentrazioni comprese all’interno di detto intervallo, si comincino ad evidenziare diverse patologie non tumorali come malattie cardiovascolari, diabete e disordini neurologici.
L’As, prima conosciuto per il suo potere venefico, attualmente è più temuto per i problemi ambientali che genera, visto che essi sono notevolmente aumentati dall’impiego energetico di combustibili di derivazione fossile nelle raffinerie, negli stabilimenti petrolchimici, nelle centrali elettriche, nei cementifici, nel traffico veicolare e nell’incenerimento dei rifiuti. Attività, a cui vanno aggiunti gli sversamenti illegali di rifiuti tossici e la contaminazione dei corpi idrici determinata dal percolato proveniente da discariche di rifiuti, anche tossici, generalmente non a norma o del tutto abusive, che possono incrementare la presenza di Arsenico nell’aria, nei terreni e nelle falde acquifere e, di fatto, alterare gli ecosistemi e contaminare la catena alimentare.
Di recente sono stati pubblicati i risultati del progetto Sepias (Sorveglianza epidemiologica in aree interessate da inquinamento ambientale da arsenico) relativi ad uno studio effettuato in quattro aree italiane Monte Amiata, Viterbo, Taranto e Gela; le prime due interessate da inquinamenti naturali e le altre da inquinamenti antropici, prevalentemente industriali. Lo studio è stato realizzato dall’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr, e fa parte del programma Ccm (Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie) finanziato dal ministero della Salute.
Lo studio ha interessato 282 soggetti di età compresa fra i 20 ed i 44 anni: praticamente si è trattato di un biomonitoraggio umano su campioni di urina e sangue. Nell’area di Gela, definita dalla Regione siciliana, insieme ai Comuni di Butera e Niscemi, “area ad elevato rischio di crisi ambientale”, è stato riscontrato l’As in concentrazioni superiori ai limiti normativi nelle acque di falda (fino a 25.000 volte il limite normativo) e nel suolo un livello massimo di 34,24 mg/Kg (fino 1,5 volte la concentrazione soglia di contaminazione che è pari a 20 mg/Kg), mentre nell’aria sono stati riscontrati valori medi di As inferiori al valore soglia di 6 ng/m3. Nel 2010 la raffineria di Gela ha emesso in atmosfera 32 kg di arsenico e 1,52 tonnellate nelle acque (fonte registro Eprtr – European pollutant release and transfer register, in attuazione del regolamento Ce n.166/06).
Alla luce di monitoraggi mirati all’As, sia nelle acque destinate all’alimentazione che negli alimenti consumati, nei numerosi comuni italiani che avevano superato il valore raccomandato, sono stati realizzati interventi per garantire l’adeguamento al livello di concentrazione di 10 μg/l, mentre sono state concesse, fino alla fine del 2012, deroghe per l’adeguamento. Ovviamente questo non si è potuto verificare dove i monitoraggi non sono stati effettuati, e non riusciamo a comprendere come si sia pensato di monitorare solo l’area Sin Gela-Butera-Niscemi, dimenticando la non meno importante area Sin siracusana, anch’essa dichiarata “area ad elevato rischio di crisi ambientale”.

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