È quanto emerge dalla sentenza n. 13266 dello scorso 28 maggio della sezione Lavoro della Corte di Cassazione. Esclusa violazione art. 4 Statuto lavoratore quando l’illecito causa danno economico e d’immagine all’azienda
PALERMO – Il controllo datoriale attraverso un’indagine retrospettiva di carattere informatico sull’utilizzo del computer in dotazione al dipendente, da cui si era riscontrato un utilizzo del bene aziendale per finalità extra lavorative, non si pone in violazione della normativa sui controlli a distanza regolata dall’articolo 4 della Legge numero 300/190, il cosiddetto Statuto dei lavoratori.
Questo è quanto emerge dalla sentenza numero 13266 della sezione Lavoro della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 28 maggio.
Al centro della vicenda il ricorso presentato dai lavoratori di un’azienda, secondo cui risultava l’illegittimità dei controlli effettuati dalla società datrice utilizzando una password universale. Secondo i ricorrenti, questo sistema di controllo richiedeva un previo accordo sindacale o l’autorizzazione dell’ispettorato del lavoro. Nell’ambito delle presenti verifiche si erano evidenziate violazioni operate dal lavoratore che giocava al computer d’ufficio, arrecando danno economico e d’immagine alla società datrice.
Secondo la Cassazione, l’applicazione dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori è esclusa quando i comportamenti illeciti dei lavoratori riguardino l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela di beni estranei al rapporto stesso.
“Nel caso di specie deve essere pertanto esclusa la violazione delle garanzie previste dall’articolo 4 Legge 300/1970, avendo la Corte territoriale, con esatta applicazione dei principi di diritto regolanti la materia, accertato l’uso del controllo all’esclusivo fine di accertamento di mancanze specifiche del lavoratore nell’impiego del computer per finalità extralavorative, nelle quali era stato sorpreso dal direttore tecnico e con avvio mirato della verifica informatica ex post”.
Ad avviso della Corte, i dati raccolti in un’indagine sull’utilizzo del computer da parte del dipendente possono essere validamente posti a fondamento di un licenziamento disciplinare. La Cassazione, aderendo alle conclusioni raggiunte dalla corte territoriale, esclude che la raccolta dei dati sia avvenuta disattendendo l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, in quanto il monitoraggio non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro, bensì la tutela di beni estranei al contratto di lavoro in sé.
La Corte osserva che il giudice è chiamato ad un bilanciamento tra l’esigenza datoriale di proteggere gli interessi e i beni aziendali e le irrinunziabili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, comportando che l’uso degli strumenti di controllo intervenga sulla base di principi di ragionevolezza e proporzionalità, essenso richiesto che il lavoratore sia stato previamente informato dal datore del possibile controllo delle sue comunicazioni. In questo quadro, se i dati personali dei dipendenti relativi alla navigazione in internet, così come alla posta elettronica o alle utenze telefoniche da essi chiamate, sono estratti con lo scopo di tutelare beni estranei al rapporto di lavoro, tra cui rientrano il patrimonio e l’immagine aziendali, non si ricade nelle limitazioni statutarie e i dati acquisiti possono essere legittimamente utilizzati in funzione disciplinare contro il lavoratore.