Acqua, voto inutile: l’Ue ci impone le gare - QdS

Acqua, voto inutile: l’Ue ci impone le gare

Rosario Battiato

Acqua, voto inutile: l’Ue ci impone le gare

venerdì 17 Giugno 2011

Referendum. Cosa cambia dopo la vittoria dei “Sì”.
Gestione servizi idrici. Rete siciliana a gestione pubblica vetusta ed inefficiente. Le gare sono necessarie per affermare il principio di concorrenza, sancito dall’Ue, nei servizi pubblici.
Il giudice. Grazie alla sentenza della Corte Costituzionale n. 23/2011 era già stata restituita al giudice la facoltà di valutare la fondatezza del legittimo impedimento di volta in volta.

ROMA – A bocce ferme si può, forse, tornare a parlare del senso degli ultimi quesiti referendari. La vittoria dei ‘sì’ ha lasciato sul tavolo una serie di criticità che adesso la demagogia dell’‘acqua pubblica senza se e senza ma’ non basterà a risolvere.
I punti più caldi sono due: la scelta del popolo sovrano va a contraddire l’art. 106 del Trattato Ue, che fissa il rispetto delle regole di concorrenza per le imprese che gestiscono servizi di interesse economico generale, mentre gli investimenti, attualmente indispensabili per la rete idrica siciliana, difficilmente potranno essere sostenuti dall’ente pubblico. Pertanto i referendum risultano perfettamente inutili, a meno che, provocatoriamente, non si voglia votare per uscire dall’Unione Europea, e servono solo a ritardare una pratica che qualunque governo – il Pd ha deciso di saltare su un carro sicuramente lanciato verso la vittoria – si troverà ad affrontare. Intanto le infrastrutture resteranno ancora in una situazione di stallo con il rischio di far lievitare i costi per la distribuzione dell’acqua.
L’idea che il voto referendario abbia rispecchiato, da una parte, l’umore del Paese nei confronti del Governo, e, dall’altra, una sostanziale scelta di ‘pancia’ dettata dalla campagna ideologica dei comitati referendari, non è del tutto peregrina. Anzi, a ben studiare gli effetti che questi referendum avranno sulla vita quotidiana degli italiani, sembra sia l’unica via percorribile per tentare un’analisi del risultato. Fuor di ideologia il decreto Ronchi non privatizzava alcunché ma, nonostante fosse abbastanza confuso su alcuni punti, permetteva tuttavia la liberalizzazione dei servizi idrici per permettere gare pubbliche che concedessero il servizio al miglior offerente. Certo, le norme erano decisamente orientate nella limitazione del pubblico, visto che prevedevano la gestione ad un soggetto privato o ad una società a capitale misto dove la componente privata, scelta sempre attraverso gara, avesse almeno il 40%.
 
Si annulla così l’idea che l’acqua possa essere gestita dal miglior offerente, e non esclusivamente dal pubblico, lasciando invece campo libero a quello stesso sistema che in cinquant’anni ha praticamente lasciato morire un sistema idrico isolano che attualmente mantiene un livello di perdite tra i più alti d’Italia. Il voto è stato il miglior viatico per rinforzare le vecchie modalità di gestione della cosa pubblica. Adesso le controllate dagli enti pubblici, realtà di sfogo per le necessità dei partiti e dei loro affiliati, continueranno a dominare incontrastate il campo, in barba al principio di concorrenza nei servizi pubblici. Tutto ciò a causa del furore ideologico delle ultime settimane che ha fomentato l’idea di una tremenda invasione di avvoltoi privati, pronti a mettere le mani sull’acqua del nostro rubinetto.
Però lo stato dell’arte, figlio della gestione che si vuole assolutamente mantenere, è sotto gli occhi di tutti. Nel comune di Palermo, dove l’Amap che gestisce la distribuzione chiede investimenti urgenti, il servizio di erogazione dell’acqua, a causa di una rete vetusta lasciata morire da anni di gestione pubblica, avviene a giorni alterni in diversi quartieri: Boccadifalco, Brancaccio, Resuttana, San Lorenzo, Cruillas, corso Calatafimi Alta, Corso dei Mille. Anche in termini di costi l’Isola non scherza affatto piazzando ad Agrigento una tariffa di 400 euro annui, mentre, a  parità di consumo, le bollette sono alleggerite a Roma e Milano, dove si spendono, rispettivamente, 220 euro e 106 euro. Proprio nel centro agrigentino la Girgenti Acque, sotto accusa per la crescita delle tariffe (nel capoluogo sono applicati i corrispettivi stabiliti nel 2007 con una determinazione del sindaco dell’epoca), è privata solo di nome, visto che privati sono gli azionisti di minoranza, ma è controllata al 56,5% dalla Acoset spa, società dei Comuni catanesi e dalla Voltano spa, di proprietà dei Comuni agrigentini.
La storia di Girgenti Acque, al di là delle sfumature pubbliche o private della società, è comunque abbastanza esplicativa su come la gestione dell’acqua senza precise garanzie contrattuali non possa funzionare. La necessità di una Authority che vigili attentamente sulla gestione dell’acqua e che faccia rispettare quanto concordato in gare dove il servizio viene affidato al miglior offerente diventa pertanto imprescindibile, perché non è il pubblico o il privato a farà la differenza, ma la liberalizzazione del servizio, che conceda l’appalto al miglior offerente, il quale dovrà agire secondo criteridi efficienza e non di speculazione o di parentele politiche.
Allo stato dei fatti 5 Ato su 9 in Sicilia hanno affidato in gestione il servizio idrico integrato. Il privato, però, stenta a decollare in un sistema ancora incancrenito da anni di malaffare pubblico Nessuno mette in dubbio che altrove la gestione pubblica abbia prodotto risultati di livello, ma la Sicilia non può dirsi un’area modello. Bisogna inoltre capire se senza le privatizzazioni il Paese possa riprendersi. In Sicilia, ad esempio, gli investimenti nelle infrastrutture idriche appaiono inevitabili. Il settore delle dighe resta quello più delicato. Degli invasi attuali quasi nessuno può vantare una capacità pari a quella inizialmente progettata. Per alcuni sono stati investiti centinaia di miliardi di lire senza essere mai stati finiti, come il tristemente noto invaso del Blufi, per il cui completamento sono ancora necessari circa 150 milioni di euro, dopo 500 miliardi di lire già spese.
Il Governo Lombardo ha tentato di dare una sferzata a questo sistema che oscilla tra politica, criminalità e imprenditoria deviata. Pier Carmelo Russo, durante la sua carica di assessore all’Energia per il Lombardo Ter, aveva chiaramente manifestato il legame tra politica e malaffare nella gestione dell’acqua. Lo stesso aveva fatto poco tempo dopo Raffaele Lombardo secondo cui “nel settore dell’acqua – aveva chiarito il governatore in un’audizione alla camera del 27 gennaio 2010 – ad esempio in ordine e attorno alla costruzione delle dighe in Sicilia si trovano prove concrete dell’interesse mafioso”. Adesso sarà tutto più difficile.
 

 
Rinunciamo al nucleare ma ci teniamo il petrolio
 
PALERMO – Il nucleare è stato battuto ancora una volta dall’emotività. Fukushima ha avuto sui cittadini italiani lo stesso effetto che nel 1987 ebbe l’impatto della tragedia di Chernobyl, accaduta appena un anno prima. In realtà quel voto fu, se possibile, ancora più pesante perché bloccò sul nascere il progetto nucleare per l’Italia. E così ad ogni rinvio il nucleare continuerà a costare sempre di più in termini di tempo, per avviare una centrale ci vogliono in media 10 anni, e di denaro, visto il costo che l’Italia sborsa ogni anno per importare energia dall’estero.
Sul fronte del nucleare in realtà non cambia niente. Anche il Governo, sull’onda della tragedia giapponese, aveva cominciato a fare timidi passi indietro cercando di affossare il quesito referendario in extremis, sapendo che sarebbe stato di sicuro impatto sulla votazione e di riflesso come ritorsione politica. In questo modo, ancora una volta, una delle possibili soluzioni al problema energetico – le rinnovabili per quanto rappresentino certamente il futuro incidono ancora pochissimo nel bilancio energetico dello Stato – è stata bypassata.
Di fatto, in assoluto, non esiste energia sicura al 100%. Basti pensare agli effetti del petrolio: 8 mila morti all’anno solo in Italia per malattie correlate all’apparato respiratorio, principalmente a causa delle polveri sottili.
In Sicilia la presenza di mezzo secolo di industria chimica ha causato danni irreparabili all’ambiente e ai cittadini. Una centrale nucleare, valutando chiaramente siti idonei e sicuri in termini di rischio sismico, non avrebbe prodotto lo scempio dei Sin (Siti di interesse nazionale), cioè le zone particolarmente attenzionate dallo Stato per l’urgenza di bonifiche dato l’elevato tasso di inquinamento del suolo e delle falde acquifere che hanno prodotto. In Sicilia, ad esempio, possiamo vantare tre Sin (Siti d’importanza nazionale) figli della chimica: Milazzo, Priolo e Gela.
 


Legittimo impedimento già abolito dalla Consulta
 
Con il sì all’abrogazione della legge sul legittimo impedimento in realtà nulla cambia. A differenza di quanti hanno ritenuto che il premier e i suoi ministri, senza quel sì, avrebbero potuto non presentarsi ai processi secondo loro arbitrio, anche prima del referendum non era così. Questo grazie alla sentenza n. 23/2011 della Corte Costituzionale in base alla quale doveva essere il giudice a valutare di volta in volta l’ammissibilità della giustificazione del premier o dei ministri in caso di assenza dalle aule giudiziarie nei processi in cui questi fossero coinvolti.
Lo stesso presidente del Consiglio, dopo la sentenza della Consulta, rispetto ai processi che lo chiamano in causa dinanzi al Tribunale di Milano, aveva già da tempo individuato di comune accordo – mediato dai suoi avvocati con i giudici – un calendario nel nome della “leale collaborazione”.
In ogni caso gli italiani non si erano bene informati ed hanno ritenuto utile rafforzare il baluardo opposto al libero arbitrio già dalla Consulta, con un 95,1 per cento di voti favorevoli all’abrogazione. Il quorum per questo quesito è stato assicurato dalla partecipazione del 56,99 per cento di elettori.
Vedremo come reagirà il Governo a questa chiara posizione della popolazione che praticamente ha voluto esprimersi contro le leggi ad personam. Una domanda che si pone anche a livello politico è quella sulla riforma della giustizia, ovvero come sarà indirizzata? Riterrà il Governo di portarla avanti o meglio di metterla da parte aspettando che si calmino le acque?
In effetti una norma sul processo breve sarebbe inutile, perchè, come abbiamo scritto più volte, già il nostro ordinamento prevede una durata limitata nel tempo dei processi altrimenti scatta il diritto al risarcimento del danno per l’irragionevole durata (vedi legge Pinto).
Staremo a vedere e soprattutto, cercheremo di chiarire bene ai nostri lettori le caratteristiche delle norme in vigore e delle eventuali riforme che si prospetteranno.

Lucia Russo

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