La tendenza è chiara per i prossimi vent’anni. Migrazione interna (verso la periferia del grande Centro urbano) e calo delle nascite. E' necessario che la politica si adoperi a fare scelte coraggiose
Nei giorni scorsi si è celebrata la Giornata Internazionale della Montagna (IMD). Dal 1992, l’11 dicembre, si festeggia la giornata del “giganti” del Mondo. Da 29 anni si ripete l’occasione per riflettere sulla relazione tra sviluppo rurale e urbano, sul futuro e sul presente delle giovani generazioni.
Sulle risorse da destinare alla montagna, finalizzate a migliorare la qualità della vita di chi, fin dalla notte dei tempi, è chiamato a custodire luoghi che riforniscono d’acqua il 50% della popolazione mondiale, a titolo di esempio.
Una sorta di festival delle parole e dei buoni propositi che svanisce allo spegnimento delle luci nei saloni delle feste ove viene rievocata. Montagne e residenti vengono sistematicamente trascurati per i successivi 364 giorni, in nome della resilienza che, più che rafforzare per far fronte alla desolazione della miseria, tiene prigionieri il 12 % della popolazione mondiale.
In Sicilia
Nell’infinitamente piccolo della Sicilia, da non confondere con il più volte richiamato sud/meridione, i “giganti” sono stati declinati – di recente – in Terre alte. Le Terre alte, più comunemente aree “ignote” alla politica, si trovano sospese in una realtà territoriale di confine, oltre al quale c’è la specialità dell’insularità, su cui l’Europa e l’Italia filosofeggiano da anni. Rappresentano – in Sicilia – un’ulteriore condizione di fragilità, dove la democrazia delle pari opportunità, con la fascia costiera, precostiera, con il meridione e il resto dell’Italia, non ha ancora trovato né casa né pace.
Ci sarebbe da scrivere anche un intero trattato sulla perequazione fiscale, tra le aree ignote siciliane e il resto del Paese. Un panificatore di Gangi (1011 mt slm), per esempio, paga la stessa tariffa energetica del collega milanese, contributi previdenziali compresi, per sé stesso e per i dipendenti.
Siamo arrivati al punto che annoia leggere perfino dei Livelli Essenziali delle Prestazioni e dei Servizi (Lep), che dovrebbero essere garantiti in maniera uniforme in tutto lo stivale, Isole comprese. Sanità, viabilità e digitalizzazione sono argomenti declinati in lingua aramaica, solo i cavilli della burocrazia sono abilmente scritti in lingua italiana, lo scoramento deve prevalere con lucidità. Potremmo riportare testimonianze ed esempi poco virtuosi per migliaia di battute.
L’unico servizio che ancora tiene è l’istruzione. Il maestro resiste in ogni Comune, almeno fino a quando si riusciranno a formare le pluriclassi. Insomma, nelle aree ignote è tutto a esaurimento. La domanda che ci poniamo è legata a chi lo ha deciso e in quale luogo, in quanto niente accade per caso e il fenomeno dello spopolamento non può essere addebbitato solo alla politica che, indiscutibilmente, non ha dimostrato di essere all’altezza di contrastare la decisione di concentrare le popolazioni nelle aree metropolitane.
Non dare opportunità alle giovani generazioni e ai meno giovani è come chiedere di emigrare alla ricerca della dignità, in quanto nessuno nel tempo si è posto il problema, sollevato dal presidente Mattarella in occasione della IMD, di “una ambiziosa riprogettazione che, accanto alle spinte alla rigenerazione urbana nelle grandi città, assuma la questione del riabitare alcune zone d’Italia”.
I dati
Ma la Sicilia è dotata di una classe politica e intellettuale all’altezza di affrontare la sfida epocale di fermare l’inarrestabile fenomeno di desertificazione umana e imprenditoriale che sta interessando queste realtà oltre confine?
A leggere i numeri che restituisce l’Istat quella che si presenta davanti è una sfida impari e che dovrebbe togliere il sonno a tutti coloro che governano o che aspirano a una candidatura (preferibilmente sicura) alle prossime consultazioni elettorali.
Al primo gennaio 2021 la popolazione residente, iscritta all’anagrafe dei Comuni siciliani era di 4.833.705, di cui 545.557 (11%) residenti nei 158 Comuni individuati nella Delibera di Giunta regionale n. 405 del 21 settembre 2021.
In questo atto il Governo della Regione ha segnato il perimetro delle Terre alte di Sicilia. Il potenziale quadro di crisi, evidenziato dall’Istituto di statistica, appare più preoccupante tra vent’anni. L’uno gennaio 2042 in Sicilia risiederanno 4.403.636 persone, circa 430 mila persone in meno; nel 2070, in Sicilia ogni giorno si sveglierebbero 3.738.618 abitanti, secondo le proiezioni elaborate dall’Istat! I saldi si presenteranno negativi anche per le nascite, che non compenseranno i futuri decessi.
L’Istituto evidenza, tra l’altro, cosa accadrà nei prossimi dieci anni nei Comuni (incastonati nelle c.d. aree interne) che si contraddistinguono per la distanza fisica dalle aree metropolitane, ove si concentrano i servizi essenziali. La percentuale dei Comuni con un saldo negativo della popolazione entro il 2030 salirà di circa il 95%, potrebbe andare peggio nel periodo che abbiamo preso in considerazione (2021-2041). La tendenza è chiara per i prossimi vent’anni. Migrazione interna (verso la periferia del grande Centro urbano) e calo delle nascite.
A questo punto, senza scomodare la statistica, piuttosto la retorica: chi pagherà il conto più alto dello spopolamento in Sicilia? Nella chiosa finale del film “Un paese quasi perfetto”, di Massimo Gaudioso, Silvio Orlando auspica di “tornare a vivere come una volta, a testa alta e con la voglia di sognare ancora”. Per avere motivo di esistere un paese quasi perfetto delle Terre alte di Sicilia ha bisogno che la politica si adoperi, oggi stesso, a fare scelte coraggiose e inedite, (ahinoi, la pandemia darebbe questa possibilità) a mettere da parte gli equilibrismi – esercitando solo campagne rattoppi, dalla viabilità a tutto il resto – e a rompere con chi ha deciso di ridurre a riserva indiana i giganteschi paesaggi “alti” della Terra di Sicilia.
Vincenzo Lapunzina