Ucraina, le conseguenze del conflitto. Le risorse garantite dopo l’invasione della Russia sono inutili allo sviluppo: il Paese è distrutto e il territorio martoriato
ROMA – Esplosioni e bombardamenti. Lo scenario è drammaticamente, simile a quello della corsa agli armamenti del 1914 ma in un contesto internazionale ben diverso: non siamo più alla vigilia della Grande Guerra, ma nel pieno della “Terza guerra mondiale a pezzi”. Un conflitto dietro l’altro, dall’invasione della Russia in Ucraina ai bombardamenti di Israele a Gaza, il mondo appare economicamente e geopoliticamente appeso a un filo e in uno stato di tensione perenne che vede un solo silenzioso vincitore: i “signori della guerra”.
L’impatto sull’economia della guerra in Ucraina
La guerra in Ucraina ha gradualmente lasciato il posto nelle breaking news all’escalation di violenza in Medio Oriente. Ma continua a costare e con l’incremento dei rischi geopolitici, il pericolo di un impatto a lungo termine sull’economia globale si fa concreto: secondo uno studio di Dario Caldara e Matteo Iacobello, il Geopolitical risk index (indice di rischio geopolitico) è aumentato sensibilmente da febbraio 2022, raggiungendo a tratti livelli pericolosamente vicini a quelli raggiunti dopo l’11 settembre o durante la guerra in Iraq. E soltanto nel periodo gennaio-aprile 2022, l’incremento dei rischi potrebbe aver contribuito a una riduzione del Pil mondiale dell’1,5% e a un aumento dell’inflazione di 1,3 punti percentuali. A ottobre 2023, poi, con gli attacchi di Hamas e la risposta di Israele a Gaza, il Gri si è alzato ancora.
Quanto è costata finora la guerra in Ucraina
Indicare quanto sia costata fino a ora la guerra in Ucraina, anche per i più esperti economisti, è complesso. Secondo le ultime stime del Kiel Institute for the World economy (aggiornati a luglio 2023), il Governo di Kiev avrebbe ricevuto circa 350 miliardi di dollari in aiuti (per lo più militari). E ci sono da aggiungere i fondi Ue per il piano Ukraine Facility, circa 50 miliardi di euro, quelli giunti da enti umanitari e anche i piani su più anni previsti da singoli Paesi come Germania o Regno Unito. Tra i donatori principali ci sono gli Stati Uniti (anche se la rinnovata tensione in Israele sembra aver fatto presto a spostare l’attenzione) e l’Unione Europea (con l’Italia al 15° posto al mondo, con un totale di poco più di 1,290 miliardi di euro).
Stabilire se la Russia abbia mobilitato una simile quantità di denaro, raddoppiando l’attuale costo della guerra per la comunità internazionale, è ipotizzabile ma molto complicato da dimostrare. A confermarlo è la professoressa Lucia Tajoli, docente di Politica economica al Politecnico di Milano ed esperta di geoeconomia, che commenta: “Sui fondi e gli aiuti ricevuti dalla Russia è difficile fare stime attendibili: non ci sono dati certi internazionali e quelli russi sono ritenuti poco affidabili. La Russia potrebbe aver ricevuto anche degli aiuti diretti esterni, ma sicuramente non in misura elevata”.
“Il grosso del costo dal punto di vista della Russia – ha aggiunto Tajoli – è aver deviato risorse da altri settori produttivi all’azione militare: il Paese ha richiamato molte persone per mandarle al fronte e ha utilizzato molte risorse per comprare armi”.
Le tanto discusse sanzioni
Parlando di Russia e costi della guerra in Ucraina, è impossibile non fare riferimento alle tanto discusse sanzioni. Sanzioni che hanno contribuito a creare uno shock energetico ma anche trasformato il commercio di materie prime energetiche a vantaggio di alcuni Paesi che non hanno applicato sanzioni (a prescindere dalla posizione sul conflitto), come i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). A tal proposito, la professoressa Tajoli ha spiegato: “Sicuramente ci sono stati Paesi come l’India e altri della zona asiatica che hanno acquistato materie prime a basso costo e hanno avuto un beneficio dalle sanzioni, da loro non applicate, alla Russia. Detto ciò, è anche vero che gli effetti di queste sanzioni sulla Russia si fanno sentire”.
Secondo l’esperta di geoeconomia, pur avendo avuto meno effetto rispetto a quanto atteso, le sanzioni hanno comunque prodotto delle conseguenze: “Il livello complessivo delle esportazioni è sceso. Non tanto quanto ci si sarebbe aspettato, ma è sceso. L’obiettivo fondamentale delle sanzioni era quello di tagliare alcune forniture tecnologiche e di rifornimenti che la Russia riceve in buona parte dai cosiddetti Paesi occidentali. E quel taglio di rifornimenti c’è stato e continua a esserci”.
Ma, come detto, le conseguenze sono state certamente meno forti del previsto. “L’economia russa – ha evidenziato Tajoli – sta tenendo più di quanto ci si aspettasse, anche perché le sanzioni non le stanno applicando tutti. L’impatto è complesso da stimare: non ci sono dati internazionali ritenuti attendibili su come stia andando l’economia, però tanti settori più tecnologicamente avanzati che si approvvigionavano dai mercati occidentali stanno soffrendo”.
In ogni caso, i costi della guerra tra Russia e Ucraina sono molto alti. Questo è evidente. Ed è anche evidente come qualcuno ci guadagni più di altri: si parla, naturalmente, di chi vende armi. E la domanda sorge spontanea: sono questi interessi a mandare avanti la guerra in Ucraina? Secondo la professoressa Tajoli, la ragione va oltre il puro “business”: “È chiaro che chi produce armi da guerra ha interesse che la guerra continui. È una guerra lunga e costosa e non c’è dubbio che agli armaioli questo stato di cose convenga. Dire però che il conflitto non finisca soltanto per questa ragione è riduttivo”.
“Vi sono – ha aggiunto – senza dubbio degli interessi, anche tra i Paesi occidentali che vendono armi, ma il problema è che ancora non si vede una vera via d’uscita dal conflitto russo-ucraino. Se dopo quasi due anni siamo ancora qui a parlarne è perché l’Ucraina continua a resistere e le cose dal punto di vista russo non stanno andando come previsto. Inoltre, se si finisse adesso, probabilmente la soluzione non sarebbe soddisfacente per nessuno dei due Paesi. Più che gli interessi in gioco, credo sia questo il problema: non si trova una soluzione che vada bene alle due parti”.
L’ambiente: quella vittima silenziosa che non si riprenderà tanto facilmente
ROMA – La guerra non è fatta soltanto di armi. Ci sono costi diversi da quelli economici, ma non meno importanti: si parla della conta dei costi umanitari (tra rifugiati e vittime, oltre diecimila secondo le ultime stime delle Nazioni Unite), ma anche di costi ambientali. Armi, terreni devastati e tanto altro: tutti mali che avranno effetti a breve e a lungo termine, e non solo per l’Ucraina. Alle atrocità subìte dai civili e alle minacce del nucleare, si aggiungono danni inestimabili al patrimonio ambientale.
La mappa dei danni ambientali causati dalla guerra nel primo anno, divulgata da Greenpeace e rielaborata con l’associazione ucraina Ecoaction, parla chiaro: il 20% di aree naturali ucraine danneggiate, 3 milioni di ettari di foresta distrutti da bombardamenti e armi, ben 450 mila ettari di terreno interessati dai combattimenti. E tutto in meno di 365 giorni. Le stime, a novembre 2023, saranno di certo peggiori.
Acqua, terra e aria: tutto inquinato dalle continue esplosioni, dagli incendi, dai bombardamenti. Eventi che rilasciano nell’atmosfera, come si legge nel report di Greenpeace “un cocktail di composti chimici” tale da contribuire in maniera significativa al cambiamento climatico: si pensi all’inquinamento atmosferico, al fenomeno delle piogge acide e al rilascio di sostanze tossiche sul suolo e perfino nell’acqua. Un mix letale per la salute degli ecosistemi, ma anche degli esseri umani di tutta la regione dell’Est Europa e non soltanto per l’Ucraina.
C’è poi l’importante questione delle conseguenze sanitarie del blocco del grano ucraino. L’Ocratossina A può essere prodotta anche durante lo stoccaggio dei prodotti alimentari, “forzato” nel caso del grano bloccato in Ucraina. Un recente rapporto del Dipartimento di Sicurezza alimentare, Nutrizione e Sanità pubblica veterinaria (pubblicato dall’Iss) ha confermato che “il blocco delle esportazioni dall’Ucraina, a causa del conflitto in corso, e i lunghi tempi di stoccaggio hanno sollevato interrogativi sulle ricadute per l’approvvigionamento e la sicurezza sanitaria del grano”. E anche se “la percentuale di grano ucraino e russo che l’Italia importa è poco rilevante e l’Unione europea ha un sistema di controllo ufficiale per la verifica sia della presenza che della gestione di questi contaminanti”, il dibattito prosegue e preoccupa le autorità sanitarie mondiali.
Nel confronto sul futuro dell’Ucraina, viene ancora sottolineato nel report di Greenpeace sui danni ambientali della guerra “il ripristino ambientale deve avere un posto centrale”. Il messaggio sottinteso è chiaro: i fondi non dovrebbero andare all’acquisto di armi ma alla graduale rinascita di un Paese devastato dalla guerra, che passa necessariamente da aiuti ambientali ingenti.
Come accennato, l’idea che tutto ciò riguardi solo l’Ucraina è fuori discussione. Lo conferma anche il report World economic outlook 2023, in cui si sottolinea senza mezzi termini come l’instabilità internazionale da una parte e gli shock climatici e ambientali dall’altra siano alla base del rallentamento sempre più evidente dell’economia globale e concausa dei dati allarmanti sulla povertà mondiale (+95 milioni di persone in povertà estrema rispetto al periodo pre-pandemico). Dati che fanno presagire che il nuovo ordine mondiale dopo i conflitti in Ucraina e Israele non sarà esclusivamente geopolitico, con la creazione di un mondo multipolare ma con due blocchi principali (Usa-Ue e alleati da un lato e il duo Russia-Cina e affiliati dall’altro) ma anche economico e ambientale. Un disastro ancora reversibile, forse, ma solo con una rapida inversione di rotta totale.