Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, nacque il 6 maggio 1856 a Freiberg, in Moravia, all’epoca, regione dell’Impero austro-ungarico, da una famiglia ebrea povera. Suo padre Jacob era un commerciante di lana e al momento delle nozze aveva già due figli adulti, nati da un precedente matrimonio.
Nella famiglia Freud si viveva un ebraismo senza religione, in cui l’unica osservanza era riservata alle feste solenni. Come gran parte degli ebrei, anche i Freud cercavano una completa assimilazione nel tessuto sociale di Vienna, dove si erano definitivamente trasferiti nel 1859, insediandosi nel quartiere ebraico di Leopoldstadt, alla ricerca di opportunità per migliorare la loro condizione. Malgrado questa ambizione Jacob, non rinnegò mai la propria appartenenza all’ebraismo, continuando a leggere, per tutta la vita, la Bibbia scritta in ebraico. Questo ambiente familiare, inevitabilmente, lasciò su Sigmund Freud un’impronta indelebile, condizionandolo sia nelle scelte di vita che nei suoi studi e, soprattutto, nelle sue intuizioni scientifiche.
Nel 1868 il giovane Freud frequentava il prestigioso Sperl Gymnasium, dove studiò con ottimo profitto, distinguendosi, per poi iscriversi alla facoltà di Medicina dell’Università di Vienna. In questi ambienti, ebbe a conoscere ben presto l’amarezza dell’emarginazione da parte dei suoi compagni di studi, a causa della sua identità raziale. Discriminazione di cui, in precedenza, aveva avuto solo notizia dai racconti delle esperienze di vita del padre.
Ma il giovane Freud trovò in sé la grande capacità di trasformare questo condizionamento negativo, che gli veniva imposto, in un’opportunità, rappresentata dalla mancanza di un’esigenza di conferma del proprio operato, restando così, prima negli studi e soprattutto poi nelle sue ricerche, una voce fuori dal coro.
Proprio partendo da questo punto di vista alternativo e originale indirizzò le sue ricerche sugli aspetti dell’inconsueto, presente in ogni vita umana, percorrendo la via delle fobie, delle dimenticanze, dei lapsus e soprattutto dei sogni, alla ricerca dell’inconscio, per scoprire il predominio da esso esercitato sull’identità razionale, su cui tanto pesano anche i ricordi sepolti e volutamente dimenticati.
Nel 1882 intraprese la frequentazione di Martha Bernays, una ragazza che proveniva da una famiglia ebrea ortodossa e osservante (che quattro anni dopo avrebbe sposato e in seguito avrebbe smesso di seguire le regole della religione ebraica). Del resto, in quel tempo era del tutto normale che la moglie si uniformasse, in ogni cosa, alla condotta del marito. Freud si dichiarava materialista e ateo, ma la sua personalità, e soprattutto la psicanalisi, erano profondamente influenzate e ispirate dall’ebraismo.
Al cospetto di questa contraddizione, è normale interrogarsi sulla definitività della frattura tra Sigmud Freud e le sue origini. L’interrogativo è destinato a restare senza una risposta chiara e definitiva, ma a ingenerarne ulteriori. Comunque, l’iter che si dovrebbe percorrere alla ricerca di una risposta non può che muovere dalle sue origini, di cui l’inventore della nuova scienza psicoanalitica avrebbe portato per sempre il segno evidente sia negli atti dell’anagrafe, sia sulle sue carni.
Il suo vero nome era Shlomo Sigmund Freud e il primo nome che gli era stato imposto ha la evidente medesima radice di shalom, che vuol dire pace e si riferisce alla pace dello spirito. Sigmund era stato ritualmente circonciso e ciò suggellava, sul suo corpo, il segno indelebile dell’adesione all’ebraismo, che resisteva a ogni tentativo di dissimulazione. Già questi due elementi non lasciano immaginare fughe in aree lontane. Se ciò non bastasse, a evidenziare il saldo ancoraggio alle origini, si ricorda che Sigmund da ragazzo aveva eletto a suo modello, per reagire alle angherie che vedeva consumare in danno degli ebrei, Annibale, il condottiero semita che aveva sfidato Roma.
Poi, quando nel 1899 Freud ebbe a completare il suo libro “La interpretazione dei Sogni” apparì chiaro fin da subito il riferimento a un’arte del tutto ebraica, che si ricollega al racconto biblico della Genesi di Giuseppe venduto dai fratelli. Il giovane ebreo che avvalendosi di questa capacità di interpretazione aveva risollevato le proprie, compromesse, sorti sino a divenire un alto dignitario della corte del faraone, al quale fornì la liberatoria spiegazione del sogno ossessivo delle sette vacche grasse e delle sette vacche magre che si avvicendavano.
Tantissimo si potrebbe scrutare, ancora, della sua vita e dei suoi scritti, per tentare di cogliere nel segno il problema, ma lo si continuerebbe, soltanto, a sfiorare. Forse può essere di una qualche utilità ricordare il pensiero di Franz Kafka, espresso in merito alla scienza psicoanalitica, ma che tanto bene calza al suo inventore: “Commento scritto e dolorante di una generazione che con le zampe posteriori aderiva ancora al giudaismo del padre, ma con quelle anteriori non trovava ancora il terreno”.