Intervista a Nunzio Crimi, ordinario di malattie dell’apparato respiratorio all’Università di Catania
CATANIA – Nunzio Crimi, ordinario di malattie dell’apparato respiratorio di Unict, è tra i primi in Sicilia ad avere avviato una indagine sugli anticorpi del Covid-19 nel sangue grazie allo screening ematico, un metodo già testato in Cina. L’ha avviato nel laboratorio del plesso “Rodolico” del “Policlinico” dell’Università di Catania. Si occupa dei test sierologici insomma, argomento che con lui abbiamo approfondito.
Cos’è un test sierologico e che qualità deve avere per essere valido?
“Come ogni test di laboratorio deve avere: sensibilità, specificità e riproducibilità. Riproducibile significa che il test mi dà lo stesso risultato a distanza di tempo. Inoltre più alte sono specificità e sensibilità, e più sarà accurato. Dobbiamo però dire che in ogni test ci sono dei limiti di accuratezza e la sensibilità non è mai del 100 per cento. Si possono fare con due metodi. Uno è il cosiddetto test rapido che, in circa 20 minuti, come il test della gravidanza, dà un risultato positivo o negativo. Quello quantitativo, invece, dosa e quantizza il numero di anticorpi di tipo IgG (che neutralizzano il virus) e IgM (che indicano una fase acuta della malattia) presenti nel sangue. È molto più preciso, ma sicuramente più costoso in termini economici e di tempo. Ha bisogno anche di 2-3 giorni”.
C’è un protocollo standard oppure ogni laboratorio fa da sé?
“Dovrebbe essere internazionale, ma purtroppo non c’è. L’Istituto superiore di sanità sta validando circa una trentina di test, sperimentandoli sia su pazienti positivi che negativi. Un campione di circa 150 mila soggetti. Io ho fatto ritirare dalla Cina, da una ditta certificata Ce, un test che era stato pubblicato anche su una rivista internazionale. Ha un’attendibilità dell’86,4 per cento, ma al momento non abbiamo qualcosa di meglio. Alla fine speriamo di poter trarre delle conclusioni del metodo utilizzato. Lo abbiamo già sottomesso per una pubblicazione scientifica”.
Qual è l’obiettivo raggiungibile con i test sierologici? Sono sostituti del tampone?
“È utile dal punto di vista diagnostico, epidemiologico, del monitoraggio dell’infezione e per la futura terapia, ma non sono sostitutivi. Nelle fasi precoci, quando il paziente inizia ad avere dei sintomi questo test ci mette in allarme. Il secondo obiettivo è epidemiologico perché è uno screening di massa. Ci permette di valutare la famosa immunità di gregge di cui non sappiamo la situazione nel nostro Paese. Purtroppo non abbiamo molti tamponi, bisogna dirlo, e poi richiedono tempo. Abbiamo bisogno di sapere quanti sono i soggetti che possono essere ancora positivi. Lo si deve fare al più presto se vogliamo iniziare la cosiddetta fase 2 nella quale andrebbero usate a tappeto le mascherine, anche quelle chirurgiche. L’ideale sarebbe farlo a tutta la popolazione, ma è chiaro che non si può. Vanno controllati subito tutti quelli che per lavoro hanno un grosso contatto con il pubblico e prima di aprire le aziende vanno controllati tutti i dipendenti”.
Come soddisfa gli altri obiettivi?
“Per il monitoraggio, il test sierologico va ripetuto dopo qualche giorno per vedere se c’è un cambiamento dalla fase acuta a quella della difesa immunitaria. L’ultimo obiettivo guarda al futuro. Si stanno tentando delle terapie con il siero dei soggetti immunizzati per aiutare i soggetti ammalati. Un’opportunità non indifferente che accorcia i tempi. Si stanno studiando dei vaccini, ma il coronavirus può mutare e attaccarci di nuovo”.
Quanto è utile quindi? Non sarebbe meglio concentrarsi su standard di terapie?
“Dobbiamo agire a più livelli. Il vaccino è un’arma che ha determinato la completa regressione di alcune malattie come vaiolo e tetano, per questo infondono positività nella popolazione. Questo virus, però, esattamente come quelli del raffreddore o dell’influenza, è estremamente labile e modificabile. Ho qualche dubbio sul fatto che il vaccino possa debellare questa infezione, sebbene me lo auguri. Dobbiamo agire anche con altri meccanismi e il più immediato, come detto, è quello dell’utilizzo del siero di chi è già guarito. L’arma migliore, secondo me, sono i farmaci antivirali che agiscono nell’inibire la replicazione del virus portandolo a morte. Abbiamo già esperienze passate con risultati ottimi per malattie come l’Aids, l’Ebola o l’Epatite C. C’è anche un altro punto d’attacco, ovvero i farmaci anti-infiammatori. Già adesso abbiamo cominciato a migliorare le nostre terapie. Abbiamo per esempio imparato a dosare la clorochina, ma anche l’eparina che agisce sulla coagulazione, un altro degli effetti che produce il virus. Nonostante il numero dei contagiati sia ancora alto, riusciamo ad evitargli la terapia intensiva e abbiamo diminuito l’accesso negli ospedali”.
Come sta reagendo la sanità catanese e regionale secondo lei?Avete i dispositivi di sicurezza?
“Il problema delle mascherine è adesso un po’ migliorato, ma non è nella situazione ottimale. Mettere in sicurezza il personale sanitario è fondamentale. Siamo stati colti impreparati, in tutta Italia, forse anche a livello formativo, per emergenze di questo tipo. C’è anche stata troppa rapidità di diffusione, soprattutto al Nord. Noi siamo stati forse più capaci, sebbene abbiamo avuto comunque più tempo, di attuare la sicurezza”.
Qual è l’aspetto che più vi danneggia in questo momento?
“I tempi della burocrazia e la gestione della struttura sanitaria sono troppo pesanti. Anche l’Istituto superiore di sanità e l’Oms hanno fatto degli errori tanto che prima osteggiavano i test sierologici. Io li sponsorizzo perché ad oggi non abbiamo nulla di meglio. Vorrei inoltre aggiungere che bisogna fare attenzione ai sintomi dell’allergia che potrebbero essere scambiati per quelli da infezione da Covid-19. La differenza sostanziale è che l’allergia non dà febbre”.