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Aborto, pillola e utero in affitto: la politica tiene in ostaggio i diritti delle donne

Ivana Zimbone

Aborto, pillola e utero in affitto: la politica tiene in ostaggio i diritti delle donne

venerdì 16 Giugno 2023

Legge 194/’78 rimasta inattuata, sull’utero in affitto è bagarre, dall’Aifa arriva lo stop alla pillola gratuita

“Oggi in Italia qualsiasi donna può richiedere l’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Dal 1978 questo intervento è regolato dalla legge n.194, ‘Norme per la tutela della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza’, che sancisce le modalità del ricorso all’aborto volontario. Ma tra obiettori di coscienza e ingerenza della classe politica, il diritto all’aborto sicuro è un percorso a ostacoli per chiunque lo scelga.
L’Aifa, che a breve rappresenterà il diretto riflesso del Governo, blocca l’iter per la gratuità del contraccettivo ormonale e adesso il dibattito politico si concentra sull’utero in affitto, che Fratelli d’Italia vuole far diventare “reato universale”. Il Belpaese sembra avere un problema con la libertà individuale delle donne, soprattutto a proposito di maternità.

Contraddizioni della Legge 194: tecniche “a singhiozzo” e obiezione di coscienza

La legge n.194, pur sancendo il diritto all’aborto per la donna, all’articolo 9 garantisce il diritto al personale sanitario di esimersi dall’espletamento degli interventi d’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) per “obiezione di coscienza”. Sostanzialmente, nonostante si tratti di regolari dipendenti pubblici, medici e ausiliari possono rifiutare la richiesta per motivi personali di carattere morale, religioso o ideologico.

Secondo Amnesty International, in Italia le donne che scelgono di abortire trovano almeno due difficoltà: soltanto il 64% degli ospedali ha reparti attrezzati; più del 70% dei medici, anestesisti e paramedici è obiettore di coscienza. Il Covid, inoltre, avrebbe peggiorato la situazione, perché molti dei reparti destinati allo scopo sarebbero stati riconvertiti per fronteggiare la pandemia.
L’articolo 15 della stessa legge, poi, stabilisce che le Regioni abbiano il compito di promuovere, d’intesa con le università e gli enti ospedalieri, le tecniche più moderne, sicure e rispettose dell’integrità fisica e psichica per l’interruzione della gravidanza.
La pillola abortiva (RU846) è certamente uno degli strumenti più utili, meno rischiosi e invasivi per l’Ivg, tanto da non richiedere ospedalizzazione, se non in casi particolari.
La sua somministrazione dura 48 ore e può avvenire precocemente, a differenza dell’aspirazione chirurgica. In Italia il suo impiego è possibile entro la nona settimana di gestazione; non richiede intervento chirurgico, né anestesia.

Per l’OMS garantire il diritto all’aborto sicuro con pillola abortiva significa assolvere a una parte essenziale dell’assistenza sanitaria e arginare il fenomeno degli aborti illegali che sarebbero almeno 25 milioni ogni anno nel mondo, causando circa 39 mila morti.
Nel 2017 – secondo il dossier del Ministero – gli aborti farmacologici in Italia sono stati soltanto il 17% del totale, contro il 97% della Finlandia. Nel 2020, invece, si è passati al 31,9% nonostante importanti variazioni interregionali.
Perché i dati sono così bassi? Non certo per la difficoltà nella gestione di un numero esoso di aborti. Come confermato dall’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore della Sanità, nel Belpaese sono state notificate 66.413 Ivg, pari a un tasso di abortività di 5,4 ogni 1000 donne tra 15 e 49 anni, uno tra i più bassi a livello globale. Rispetto al 1983, anno di massima incidenza del fenomeno (243.801 aborti), nel 2020 la percentuale si è ridotta del 71%, in flessione di circa l’8% anche rispetto all’anno precedente.

Pro Vita e Famiglia: “L’aborto farmacologico costa troppo”

Nei giorni scorsi, in audizione al Senato, l’associazione Pro Vita e Famiglia ha presentato il Rapporto sui costi e sugli effetti sulla salute della legge n.194/1978, realizzato con l’Osservatorio permanente sull’aborto.
La onlus sostiene che un terzo delle interruzioni volontarie di gravidanza avviene tramite l’uso della RU486 e il costo di applicazione della legge 194/1978 è stato di 59,6 milioni di euro nel solo 2020. “Una cifra – commenta – che, se spesa diversamente, avrebbe permesso a 100.000 italiani poveri di affrontare meglio le proprie spese sanitarie”.

L’Associazione Pro Vita ritiene che nel caso dell’aborto farmacologico le complicanze possano essere anche non immediate e quindi non registrate, che comportino una maggiore esposizione al rischio di emorragia e che, quando l’aborto chimico non va a buon fine, siano comunque necessari l’intervento chirurgico e le visite di controllo.
Tali incidenti di percorso farebbero lievitare i costi della somministrazione del farmaco, notoriamente inferiori a quelli dell’aborto tradizionale.

Utero in affitto verso il reato universale. Lunedì il Ddl approda alla Camera

Se si desidera un figlio, ma non si è nelle condizioni di portare a termine una gravidanza, è comunque possibile diventare genitori. Anche senza ricorrere all’adozione.
Bastano 140-200 mila euro per rivolgersi a una delle tante agenzie che si occupano di “gestazione per altri” nel mondo e per scegliere su un catalogo le possibili caratteristiche fisiche del futuro bebè. Adesso Fratelli d’Italia propone di far diventare la pratica – attualmente illegale in Italia – un “reato universale”, mentre l’opposizione sul tema si divide.

Lunedì il ddl giungerà a Montecitorio, dopo il via libera della commissione Giustizia. Qualora venisse approvato, la surrogazione della maternità diventerebbe un reato penalmente perseguibile, con l’estensione della punibilità a tutte le condotte commesse all’estero.

Che si voglia diventare “madri surrogate” – ovvero mettersi a disposizione per “ospitare”, nel proprio corpo, il figlio d’altri dietro compenso economico -, donare i propri ovuli, acquistare i gameti di terzi o ottenere “in affitto” un utero, basta semplicemente farne domanda su internet. Dopo aver inviato la propria richiesta, è poi possibile accedere “all’intero database per scegliere la donatrice”.

Il divieto della pratica in Italia, di fatto, non impedisce a nessuno di poterne usufruire all’estero, a patto che abbia un reddito esauriente. Per questo è polemica tra chi vede nella legalizzazione dell’utero in affitto nel Belpaese la possibilità di una genitorialità per tutti (single, coppie eterosessuali ed Lgbtq+) e chi, invece, ritiene che si tratti di una prassi che si inscrive nel più ampio e aberrante contesto della mercificazione dei corpi e che, per questo, vada perseguita.

Per il filosofo Massimo Cacciari – intervistato da La Verità – l’utero in affitto non sarebbe una politica di sinistra. Anzi, rappresenterebbe una diretta conseguenza del capitalismo: “Ridurre il tuo corpo a oggetto per fini produttivi è ciò che Marx chiamava alienazione”, ha detto, denunciando pure il rischio di un “mercato nero dei figli come quello degli organi” in mancanza di un regolamentazione adeguata.

Di tutt’altro avviso la segretaria del Pd, Elly Schlein, la quale vorrebbe invece che la gestazione per altri diventasse legale in Italia e che gli aspiranti “genitori designati” non fossero costretti a recarsi all’estero. Ma più di cento femministe le hanno inviato una lettera aperta per manifestare il loro “profondissimo dissenso”.

Secondo i dati del Ministero della Giustizia, infatti, nel 2021 le domande di adozione di minori italiani sono state 8.687, mentre 2.020 quelle rivolte ai minori internazionali. Tra lungaggini burocratiche e requisiti troppo stringenti, sono stati effettivamente adottati soltanto 1.487 bimbi italiani e 598 bambini nati in altri Paesi (principalmente provenienti da Colombia, India e Ungheria). Tuttavia il dibattito politico attuale non sembra preoccuparsi dei piccoli che esistono già e che, pur avendo diritto a una famiglia come stabilito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia, si ritrovano soli.

Aifa: “Anticoncezionale sarà gratuita, anzi no”

Già durante i primi mesi del 2023 si ventilava l’opportunità per le donne di ricevere la pillola anticoncezionale gratis, con la semplice ricetta “rossa” del proprio medico curante. I giochi sembravano fatti, soprattutto dopo l’ok del Comitato prezzi e rimborso dell’Agenzia italiana del farmaco, arrivato dopo ben 6 mesi dal via libera della Commissione tecnica.
Al superamento della questione economica, però, non è corrisposto il superamento della questione politica. Alle dure reazioni di una parte della classe politica, che pare voler tenere in ostaggio i diritti delle donne, il Cda dell’Aifa ha risposto con la richiesta di “ulteriori approfondimenti”, con la conseguenza di un ulteriore rinvio della decisione.

Alcune Regioni italiane si sono mosse d’anticipo, esercitando la loro facoltà di allargare i limiti di spesa destinati all’assistenza sanitaria: per esempio, la Puglia fornisce la contraccezione ormonale gratuita alle under 24 dal 2008, l’Emilia Romagna alle under 26 dal 2018. Ma anche su questo fronte, si continua a temporeggiare e di fatto si congela un dibattito, quello attorno ai diritti sacrosanti delle donne, che dovrebbe avere un ruolo centrale nell’agenda politica.

Che la politica debba occuparsi anche delle questioni sanitarie ne è convita la senatrice di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni, che ha chiesto a gran voce all’Aifa di “fare un passo indietro” rispetto alla prima valutazione sulla pillola anticoncezionale, sostenendo che le priorità siano “ben altre”, ovvero la natalità e il sostegno alla famiglia. Per il Pd, la Sinistra e l’Ordine dei medici, invece, la pillola anticoncezionale – oltre che essere sicura – dev’essere gratuita per ridurre le ineguaglianze e per rendere le donne uguali davanti al sacrosanto diritto alla salute. Questa scelta, infatti, darebbe a tutte – a prescindere dal reddito – l’opportunità di decidere in maniera responsabile se e quando diventare madri.

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