Alitalia è costata agli italiani 13 miliardi - QdS

Alitalia è costata agli italiani 13 miliardi

Carlo Alberto Tregua

Alitalia è costata agli italiani 13 miliardi

martedì 19 Dicembre 2023

Si prepara il bis con Ilva

Da quel giorno sciagurato in cui Silvio Berlusconi decise di salvare la fallimentare Alitalia, per favorire i soci della stessa, quel carrozzone è costato agli/alle italiani/e più di tredici miliardi.
Da quando è in amministrazione straordinaria, a tutto il personale è stato riconosciuto l’ottanta per cento dello stipendio, continuando così a gravare sulle casse dello Stato.

Ora il Governo Meloni si trova ancora sulla schiena questo bubbone con circa duemilaseicento dipendenti in cassa integrazione; gente che non ha fatto niente per tanti anni, percependo stipendi di tre, quattro o cinquemila euro al mese: una cosa indegna. Tuttavia, siccome non possono tutti e tutte essere licenziati/e di punto in bianco, il Governo ha esteso la cassa integrazione per il 2024, seppur mettendo un limite agli stipendi di euro 2.500 al mese. Ancora, quindi, centinaia e centinaia di milioni che gravano sul bilancio dello Stato per un altro anno.

Nessuno si azzarda a scrivere tutto ciò perché sembrerebbe un attacco inappropriato al Cavaliere. Non si tratta di questo, ma semplicemente di dire la verità. Nessuno si dovrebbe lamentare di chi dice la verità, perché è la stessa che colpisce e non chi la pronunzia.

Questo comportamento scorretto e dannoso per le casse dello Stato, e di conseguenza per i/le cittadini/e che le alimentano, non fa parte dell’Etica pubblica, che dovrebbe governare le azioni e le decisioni dei/delle responsabili delle istituzioni, i/le quali non sanno forse neanche cosa essa sia.
Gli squilibri che si verificano nella gestione delle uscite sono sotto gli occhi di tutti/e e nessuno o quasi nessuno si assume l’onere di spiegare che non è più il tempo di spendere a destra e a manca.
Perché? Perché la maggiore spesa cattiva, che non produce ricchezza e non fa aumentare il Pil, graverà sulle spalle degli/delle inerti e inermi giovani, i/le quali, quando diventeranno classe dirigente, si troveranno oppressi/e da un peso finanziario che generazioni precedenti, poco coscienziose, hanno contratto per accontentare la famelicità di questa o quella parte di popolazione.

La triste esperienza di Alitalia non basta a far capire come si devono gestire le risorse pubbliche. Infatti si è già presentato un nuovo caso Alitalia, che è quello dell’ex Ilva, posseduta al sessantadue per cento dal gruppo indiano ArcelorMittal e per l’altra parte da Invitalia, società pubblica controllata dal Mef.
Maggioranza e minoranza non si mettono d’accordo sulla prospettiva e sul piano di rilancio di questa importantissima società, la quale produce acciaio, che è una componente essenziale di auto, camion e molto altro.

Il nocciolo riguarda le bonifiche ambientali degli stabilimenti e la trasformazione dei macchinari per rendere i processi produttivi meno tossici per ambiente e popolazione, eliminando l’immenso inquinamento che ha ridotto la città di Taranto in condizioni disastrose.
Questo tira e molla sul cosa fare e sul come farlo non è consono a chi deve avere chiaro il futuro del Paese.

L’industria pesante, com’è appunto quella di un’acciaieria, è un pilastro fondamentale dell’economia; se non ci fosse, tutto l’apparato produttivo successivo che utilizza tale materia prima diventerebbe succube di produzioni estere e quindi indirettamente metterebbe l’economia del nostro Paese alle dipendenze delle economie straniere, almeno per il settore.

Un Paese moderno deve avere una parte ragionevole di industria pesante, che sia funzionale, funzionante e compatibile con l’ambiente, come hanno fatto in molte nazioni altre industrie dello stesso tipo. Non si capisce perché debba permanere questa incertezza nella quale non si dà notizia compiuta e completa all’opinione pubblica.

In altri termini, noi vogliamo sapere quali siano le condizioni delle due parti, maggioranza e minoranza, affinché gli impianti si mettano in regola dal punto di vista ambientale e producano a pieno regime.
Colà lavorano diecimila persone ed è essenziale che il loro lavoro venga preservato nell’ambito di un piano industriale efficiente e rigoroso.

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