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L’altro volto di Palermo

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L’altro volto di Palermo

Giovanni Pizzo  |
sabato 29 Luglio 2023

Palermo non è soltanto piromani e delinquenza. Ci sono anche delle storia di umanità di raccontare. Il commento di Giovanni Pizzo.

Non c’è solo delinquenza da piromani e disperazione a Palermo. Ci sono anche storie di profonda umanità che solo a queste disgraziate latitudini si possono raccontare.

Lo scorso sabato sera, caldo africano oltre i 40°, mi reco in compagnia in un locale a bordo banchina del porticciolo dell’Arenella, borgata di pescatori impreziosita dalla Tonnara Florio, con le sue guglie liberty. Il posto è pieno come un uovo, e la massa delle persone mi fa sentire claustrofobico, anche se siamo all’aperto. C’è troppo caldo per sopportare la gente, rasento la misantropia, poi il colpo di grazia, è sabato e c’è l’apericena.

Lo dicevo che di sabato non si esce, c’è sempre troppo casino, non c’è mai posto, posteggiare manco a parlarne, e poi ti propongono l’apericena, la morte dell’aperitivo e della cena. Vabbè, però piango con un occhio, sono andato in vespone in quell’inferno caldo, dove non tira un alito di vento, nonostante sei ad un metro dall’acqua. Così almeno non impreco a cercare un impossibile posteggio. Per fortuna il servizio, per aumentare il turn over, è fulmineo. Praticamente in tre quarti d’ora é tutto finito e il desiderio, con quell’aria appiccicosa, è solo uno, tornare alla preziosa aria condizionata di casa.

Pregustando un veloce rientro al fresco, mi accingo ad accendere il motore. Non parte, l’accensione elettrica, si sta scaricando dopo diversi tentativi, metto l’aria, controllo la benzina, c’è mezzo pieno, forse l’umidità, penso, ha bagnato la candela, lo dicevo io di stare a casa di sabato.

Poi finalmente, dopo aver inzuppato la camicia di sudore per lo sforzo dell’accensione a pedale, miracolosamente parte. Una nuvola di fumo bianco riempie gli astanti in attesa di poter entrare in quel locale bollente per il loro apericena a base di pesce fritto. Il vespone parte, inizia la salitina, e poi di botto si spegne. Da sotto il motore è un fiume di benzina che scende a fiotti. Che è successo? Si è rotto il carburatore, si è bloccata la farfalla, è arrivato insieme allo scirocco la piaga delle cavallette? Lo dicevo che di sabato non si esce.

Mi implorano di non provare a riaccenderlo, perché con tutta quella benzina fuoriuscita, il caldo africano, la peste bubbonica, è un attimo che una scintilla faccia scoppiare un incendio. Desisto e rifletto. Se lascio il motore, noi palermitani chiamiamo qualunque mezzo a due ruote “motore”, in questa simpatica location, ne trovo 4 domani al mio ritorno per provvedere al suo rientro a casa. Pertanto decido come Sisifo di spingere a piedi il motore fino a casa. Otto, dicasi otto, chilometri di tragitto con circa 43° all’ombra, visto l’orario.

Il primo tratto è tutto in salita. Mentre penso che il primo che mi ripropone di uscire di sabato lo impalo, arrivo già stremato dopo un chilometro e mezzo al semaforo di fronte un’altra perla della Belle Époque, Villa Igiea. Una Smart ben accessoriata e riverniciata nuova di zecca, mi si accosta, e una giovane coppia mi chiede se ho bisogno di aiuto. Io li guardo con aria da povero Cristo sfinito, ed evidentemente gli faccio pietà. Lui prontamente accosta la macchina al marciapiede e scende. Dà un’occhiata, si fa raccontare cosa era successo, si capisce che se ne intende.

Anche lei scende, sono ben assortiti, hanno la stessa età, entrambi magri e affiatati, parlano quasi in contemporanea, completandosi. Lui smonta la calotta che copre il motore, svita la candela, apre il serbatoio e vede che è praticamente vuoto. Mi dice “venga andiamo a fare benzina che la faccio partire, a casa ci arriva”. Facciamo 5 litri trovando due bottiglie di plastica – ci sono per fortuna – al distributore automatico e riempiamo il serbatoio.

Lui comincia prima a farlo partire con l’accensione elettrica, poi a pedale. Scalcia come un mulo, tenace e testardo, finché parte. Io mi metto in sella ma dopo un secondo esce tutta la benzina da sotto il motore, come il vomito di un ubriaco. Mi fermo e rimetto la vespa sul cavalletto. Lui è in trance agonistica, mi dice che prepara auto da corsa, ha un Abarth, ripara macchine e motori, mette impianti stereo che nemmeno in discoteca si possono permettere.

Lui non mi lascia a piedi. Non ha con sé la borsa degli attrezzi, era uscito con la giovane moglie Anna, lui lo chiameremo Marco, perché la canzone mi è sempre piaciuta, senza i ferri del mestiere. Trova in auto una tenaglia e comincia a smontare la sella, poi tira fuori il serbatoio per vedere se c’è una perdita. Poi passa al motore, comincia a trafficare con il carburatore, tenta di farlo ripartire, pulendo e asciugando la candela, anche lui che è asciutto e pesa quasi la metà di me è fradicio di sudore oltre che sporco di grasso.

Ora siamo due cristi, sudati e sporchi che ispirano pietà. Si ferma un’altra macchina, é suo compare, lui la “spisa se la futte”, é panzuto e pesa il doppio. Già ride vedendoci, Anna gli dice “du signore anziano mischino è rimasto a piedi, gli stiamo dando una mano”. Anna mi spiega che si conoscono da quando avevano 15 anni, sono di via Montalbo, quartiere popolare vicino il mercato ortofrutticolo, ed hanno fatto la “fuitina” per ben tre volte, le famiglie non volevano che si frequentassero, hanno una bambina di nove anni, Sofia, e lei fa la casalinga ossessionata dal pulito.

Io già abbastanza sconfortato “dall’anziano mischino” mi sono messo in modalità zen. Come nel libro “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”. Solo che io di motori non capisco un’acca. Sono ormai le 23.30, vedo sconfortato, sotto la luce gialla del lampione il mio vespone smontato a terra, ne conto bulloni, placche, rondelle, e penso come porterò questo “meccano” a casa. Finalmente con un urlo di soddisfazione tecnica, a me sconosciuta, Marco trova la causa di tutto questo.

Il tubo che dal serbatoio entra al carburatore, nascosto dietro il motore si era staccato e pisciava quindi benzina come Benigni nel Piccolo Diavolo, senza un domani. Felice della scoperta come Archimede pitagorico, con il fuoco greco e gli specchi ustionanti, Marco rimonta tutti i pezzi sparpagliati sul marciapiede e accende la vespa. Parte! Un trionfo di capacità meccaniche da alta ingegneria! Io tento di pagarlo per la sua tenacia senza tentennamenti, per la sua perizia. Lui rifiuta ostinatamente, per quel gesto di umanità, oltre che capacità, non c’è prezzo, a Milano c’è la Mastercard ma con quella lì, all’Arenella, rimani a piedi.

Questa è Palermo. Due giovani perbene che bruciano un sabato sera ad aiutare un mischino sconosciuto, per umanità che solo nei quartieri più popolari, non certo in quelli borghesi, abbiamo. La capacità di aiutarsi a vicenda, di compenetrarsi nelle disgrazie altrui, di non essere indifferenti. Palermo non è solo piromani o impigriti nullafacenti, ma anche giovani bravi, capaci e meritevoli. C’è ancora un po’ di speranza.

Così è se vi pare.

Foto di Jan Tůma da Pixabay

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Un commento

  1. antonino Giannettino ha detto:

    Bello. È un modo diverso per dire che a Palermo il pesce puzza dalla testa..non dalla coda..

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