Bruno Contrada, confermata riparazione per ingiusta detenzione

Caso Bruno Contrada, parla l’avvocato: “Ecco chi erano i suoi nemici”

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Caso Bruno Contrada, parla l’avvocato: “Ecco chi erano i suoi nemici”

Roberto Greco  |
domenica 11 Giugno 2023

Intervista del QdS all'avvocato Stefano Giordano, legale di Bruno Contrada nella lunga battaglia che ha portato alla conferma della riparazione per ingiusta detenzione.

La IV° sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione nell”udienza del 06 giugno 2023 ha rigettato i ricorsi della Procura Generale di Palermo e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, confermando così la riparazione per ingiusta detenzione nei confronti del dottor Bruno Contrada, così come statuito dalla I° sezione della Corte di Appello di Palermo.

Ora il Ministero dell’Economia e delle Finanze dovrà corrispondergli la somma di complessivi 285.342,2 euro. QdS ha intervistato l’avvocato Stefano Giordano, legale del dottor Bruno Contrada che ha condotto questa lunga battaglia per l’ottenimento dei diritti che la CEDU ha ritenuto violati.

Il caso di Bruno Contrada, l’intervista all’avvocato Stefano Giordano

Avvocato, nel suo caso non si è trattato tanto di difendere un cliente da accuse che gli venivano mosse ma, e soprattutto, di condurre una battaglia per ottenere il rispetto di diritti civili…
“È necessario chiarire un paio di aspetti. Il primo è il compito del giudice italiano, che in questo caso pensavo, in astratto, fosse relativamente semplice. Si trattava di dare esecuzione al giudicato della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; in particolare a due sentenze, la n. 2/2014 e la n. 3/2015 Contrada conto Italia, che accertavano quest’ultima la violazione del principio di legalità di cui all’art. 7 della CEDU (su cui tornerò più oltre) e la prima la violazione dell’art.3 della CEDU per “trattamenti inumani e degradanti”. Il ‘pericoloso’ Predetto Bruno Contrada, infatti, è stato tenuto recluso (prima a S. Maria Capua Vetere e poi a Palermo, nel carcere militare riaperto esclusivamente per lui, senza consentirgli di trascorrere la custodia cautelare perlomeno agli arresti domiciliari, sebbene quella in carcere fosse una forma di detenzione incompatibile con i suoi problemi di salute, come attestato da diverse perizie. Peraltro la condanna dell’Italia per la violazione dell’art.3 non trova attuazione nella riparazione per ingiusta detenzione oggi definitivamente riconosciuta, perché da questa riparazione resta escluso non solo il periodo della fase cautelare, ma anche il risarcimento del danno morale, esistenziale e biologico. È ovvio che ci porremo in seguito il problema concernente il mantenimento della custodia cautelare in carcere malgrado i problemi di salute”.

Soddisfazione parziale, quindi?
“La cosa più importante è stata l’esecuzione integrale che ha avuto la sentenza n.3. Mi spiego meglio. L’Italia è stata condannata due volte dalla Corte Europea per la violazione di articoli inderogabili della Convenzione: ossia il divieto di trattamenti inumani e degradanti e il principio di legalità, cardini su cui si basano tutti i sistemi occidentali, ma forse non quello italiano. Secondo la sentenza n. 3/2015 della Corte Europea, il dottor Contrada non poteva essere processato e quindi nemmeno condannato. Ogni atto processuale compiuto contro di lui era illegittimo. E non ci venga raccontato, come sostenne il dottor Caselli, che quello convenzionale è un ‘diritto straniero’: evidentemente il dottor Caselli non ha particolare dimestichezza con il sistema convenzionale e neppure ricorda che la Convenzione europea appartiene all’ordinamento italiano, dal momento che è stata ratificata da un’apposita legge. Possiamo ritenere che il suo comportamento, e quello del suo ufficio, è stato illegittimo ai sensi della Convenzione dei Diritti dell’Uomo: questo lo scrive la sentenza della Corte Europea. La violazione del principio di legalità è una delle violazioni più gravi che esiste in uno Stato di diritto. Non è compito della Procura della Repubblica né del Giudice penale valutare i comportamenti eventualmente rilevanti sul piano disciplinare o su quello etico che avrebbe tenuto il dottor Contrada. Il compito del Giudice penale è esclusivamente quello di individuare condotte penalmente rilevanti, non di riscrivere la storia (e qui penso anche al cosiddetto ‘processo trattativa’). Questo è compito appunto degli storici, sperando che non siano di parte o politicamente orientati”.

Reazioni della stampa e dei media?
“Ancora una volta alcune testate non hanno dato la notizia e ci aspettiamo, da loro e da parte dei diversi sedicenti programmi informativi, la solita iniezione di veleno. Voglio ricordare che, nel tempo, proprio loro hanno continuamente depistato; faccio riferimento, ad esempio, alla presenza del dottor Contrada nel luogo della strage di via d’Amelio, presenza smentita dagli accertamenti giudiziari. Cui prodest? A chi è servito come capro espiatorio Contrada? Cosa è stato nascosto? Chi ha manovrato coloro che l’hanno posizionato in via d’Amelio? Per chi lavorano, visto che non lavorano sicuramente per la ricerca della verità? Che senso ha ricordare Falcone e Borsellino con manifestazioni che sembrano operazioni di merchandising e non operazioni che mirino alla ricerca storica della verità? Non basta il pregevole lavoro di lotta culturale all’illegalità della Fondazione Falcone quando poi si sembra poco interessati alla verità sulle stragi”.

Ritiene che sia convenuto a qualcuno l’arresto del dottor Contrada?
“Quando incontrai, per la prima volta, il dottor Contrada non ero esperto di questioni mafiologiche. Devo dire che gli anni del maxi processo presieduto da mio padre, che vissi indirettamente, mi avevano generato una sorta di repulsione. Accettai, quindi, il compito di far eseguire le sentenze della Corte Europea. In realtà pensavo si trattasse di un’operazione più semplice, ma ho avuto contezza che spesso i giudici non sono propensi ad eseguire il giudicato europeo. Di fatto è, o meglio avrebbe dovuto essere, molto semplice: se sei condannato vai in carcere e sei dichiarato innocente devi essere liberato. Si è confusa l’esecuzione del giudicato con una critica alla sentenza, che deve essere eseguita anche se non la si condivide. Devo dire che, inizialmente, avevo alcuni dubbi ma, nel tempo, dopo aver studiato le carte e approfondito la vicenda, posso ritenermi sicuro della innocenza del mio assistito. Il 24 dicembre 1992 il dottor Contrada fu arrestato sulla base di una richiesta della Procura della Repubblica. Primo elemento oggettivo è la data, la vigilia di Natale, giornata come minimo irrituale. Secondo elemento è il magistrato che era di turno quel giorno, il dottor Sergio La Commare che ha avuto l’impudicizia di copiare integralmente la richiesta di custodia cautelare, tanto che si legge ‘questo ufficio ha condotto le indagini’, facendo riferimento in realtà all’ufficio del pubblico ministero. Questo evidenzia la mancanza di terzietà del Gip”.

L’ordinanza, però, fu sopportata da accuse che furono mosse nei confronti di Contrada…
“Questo è l’ulteriore elemento critico, gli accusatori del dottor Contrada. Si trattava di mafiosi che Contrada aveva arrestato, a partire da Gaspare Mutolo e finendo a Buscetta, che Contrada aveva arrestato agli inizi degli anni ’70 con il capitano Basile. Senza dubbio Contrada aveva molti nemici tra i mafiosi e, probabilmente, anche tra i magistrati. Sicuramente la sua capacità investigativa, la sua profonda conoscenza del fenomeno e della fenomenologia mafiosa, il suo spregiudicato modus operandi l’hanno reso inviso a molti e averlo fuori dai giochi durante la fase investigativa sulle stragi, ha forse favorito le suggestioni che il dottor Caselli e il dottor Scarpinato hanno poi dispensato da quel momento e negli anni a venire, ossia che lo Stato era colluso con la mafia. Si badi bene, non che rappresentanti dello Stato fossero singolarmente collusi ma che lo Stato nel suo insieme fosse colluso; dimenticando, innanzitutto, la grande lezione di Falcone che sosteneva che non esisteva il ‘terzo livello’, quindi lo Stato colluso in toto. Questi i pilastri su cui si è retta l’operazione socio-politica della Procura di Palermo. Penso al processo Andreotti, a quello relativo alla mancata perquisizione del covo, che covo non era, di Totò Riina. In realtà abbiamo vissuto una stagione in cui i nostri migliori investigatori, e parlo di Contrada, Subranni, Mori e De Donno, sono stati processati e regolarmente assolti. Quanto tempo abbiamo perso? Chi ne ha tratto giovamento? Questo è il servizio che alcuni magistrati, fortunatamente oggi non più in ruolo, in nome di suggestioni e non prove, hanno reso allo Stato italiano e hanno punito quanti, invece, a testa bassa lavoravano per la ricerca della verità”.

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