Chiesa, beato il giudice Livatino, la soddisfazione della famiglia - QdS

Chiesa, beato il giudice Livatino, la soddisfazione della famiglia

redazione web

Chiesa, beato il giudice Livatino, la soddisfazione della famiglia

martedì 22 Dicembre 2020

Il cugino Salvatore Insenga, l'unico parente del "giudice ragazzino" ancora in vita, "i genitori di Rosario che hanno atteso questo momento per tanti, tantissimi anni, staranno gioendo insieme in paradiso"

Sarà beato Rosario Livatino, il “giudice ragazzino” ucciso “in odio alla fede” il 21 settembre del 1990 dalla mafia nell’Agrigentino.

E’ stato Papa Francesco ad autorizzare la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto che ne riconosce il martirio.

Si tratta del primo magistrato beato nella storia della Chiesa.

Nel tempo, sono stati raccolti documenti e testimonianze per circa quattromila pagine per sostenere il processo di canonizzazione del giudice Livatino. Tra i testimoni, c’è anche uno dei killer del ‘giudice ragazzino’, Gaetano Puzzangaro, che sconta l’ergastolo. ‘Sub tutela Dei’ (sotto la tutela di Dio) il motto di Livatino, la sigla con cui chiudeva le annotazioni in agenda.

“Sono commosso – ha detto Salvatore Insenga, cugino del giudice Rosario Livatino, unico parente in vita del magistrato – sto pensando in questo momento a mio zio e mia zia, i genitori di Rosario che hanno atteso questo momento per tanti, tantissimi anni. Penso che in questo momento staranno gioendo insieme in paradiso”.

“Il cardinale di Agrigento Francesco Montenegro – ha aggiunto Insenga – mi aveva accennato che poteva succedere oggi. Nella commozione del momento sto pensando soprattutto a mio zio Vincenzo e a mia zia Rosalia. I suoi genitori erano molto legati a Rosario”.

Il papà del giudice era fratello della mamma di Salvatore Insenga.

“Saranno insieme in quell’angolo di paradiso dove Dio li ha accolti, oggi lì ci sarà una particolare gioia”. Ma Insenga pensa anche “a tutte le vittime di mafia”.

“Spesso faccio iniziative con Libera, sono con loro ogni 21 marzo e so quante tragedie ha fatto la mafia – ha detto il cugino del giudice assassinato – Rosario oltre a essere un martire è anche soprattutto una vittima della mafia e io penso a tutte le vittime della mafia”.

Salvatore Insenga aveva vent’anni quando è stato ucciso il cugino Rosario mentre andava al lavoro, al Tribunale di Agrigento. E ricorda con affetto il ‘giudice ragazzino’. “Non c’era differenza tra il ruolo di giudice e quello del cugino, era una persona seria e precisa, sia nel lavoro che nella vita affettiva e con i suoi genitori e i parenti era un uomo buono e accogliente“.

“Era sempre pronto a mettere la buona parola – dice – mai una parola di divisione e ra un uomo di pace- ricorda ancora il cugino – io ero molto più giovane ma parlavamo spesso e si discuteva di certi argomenti e lui era sempre accogliente”.

Poi Salvatore Insenga ricorda ancora che il cugino era “talmente legato” ai suoi genitori che quando “vinse il concorso in magistratura aveva ottenuto un voto altissimo e poteva scegliere qualsiasi sede ma lui scelse Caltanissetta così poteva stare vicino ai genitori“. “E poi andò ad Agrigento”, dove fu ucciso il 21 settembre di 30 anni fa da Cosa nostra.

Insegna è l’unico parente prossimo ancora in vita del giudice canicattinese, ucciso dalla mafia. “Troppo spesso”, aveva affermato Insenga, “ho sentito in tv e ho letto sui giornali affermazioni sulla vita di Rosario molto di frequente prive di fondamento e pronunciate da persone che non hanno alcuna parentela con mio cugino o che millantano di aver avuto un rapporto confidenziale con lui”.

Felice della notizia l’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli. 

“Voglio ricordare la frase più celebre di Rosario Livatino, quella che tutti conoscono e che tutti ricollegano a lui. Livatino diceva ‘non importa essere credenti, importa soprattutto essere credibili’. E la sua credibilità che ne ha fatto un credente meritevole addirittura della beatificazione. La sua credibilità, il suo coraggio, tutta la sua vita professionale, ma rivendicando una fede che però lui interpretava affermando, ripeto, che non importa tanto essere credenti ma essere credibili, e lui è stato credibile e quindi ha reso la sua fede, il fatto di essere credente, meritevole di questo riconoscimento”.

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