La proposta referendaria di +Europa ha raccolto oltre 500 mila firme e ora verrà vagliata dalla Consulta. La presidente del Consiglio: “L’Italia ha già un’ottima legge”. Il ministro degli Esteri però rilancia: “Cittadini dopo dieci anni di studi”
Ancora una volta la maggioranza di governo assume la forma, e la sostanza, di un castello di carte. L’ennesimo colpo di vento che potrebbe mettere in dubbio la pretesa solidità della compagine governativa è oggi rappresentata dal referendum sulla cittadinanza. L’attuale normativa in vigore in Italia stabilisce che la cittadinanza italiana possa essere concessa al cittadino straniero solo se è legalmente residente nel territorio della Repubblica da almeno 10 anni.
Quello in vigore oggi è il c.d. “ius sanguinis”
Quello in vigore oggi è il c.d. “ius sanguinis”, che prevede che la cittadinanza sia acquisita per discendenza o filiazione. In Italia, si ottiene la cittadinanza tramite questo principio, o per naturalizzazione, come prevede la Legge 91/1992 pertanto il cittadino di origine straniera, anche se nato in Italia, non acquisisce automaticamente e autonomamente la cittadinanza italiana, neanche se i suoi genitori risiedono regolarmente nel territorio da molti anni.
Lo “ius soli” e lo “ius scholae”
Da tempo si invocano modalità alternative di riconoscimento come lo “ius soli”, che prevede che la cittadinanza sia acquisita per il fatto di essere nati sul territorio dello Stato, principio secondo il quale la cittadinanza è legata al luogo di nascita. Si parla anche di “ius scholae”, un’espressione coniata negli anni scorsi per indicare la possibilità di acquisire la cittadinanza al compimento di un ciclo di studi. Di “ius scholae” si è tornato a parlare recentemente nel dibattito politico, ma già a marzo 2018 era stato presentato un testo di riforma della legge sulla cittadinanza basato su questa regola ma che si arenò nel 2022 alla Camera.
Il referendum sulla cittadinanza, raggiunto il quorum
Martedì scorso la proposta di indire un referendum sulla cittadinanza, proposto all’inizio del mese dal deputato Riccardo Magi di +Europa, cui poi si sono aggiunti diversi partiti e associazioni ha raggiunto le 500.000 firme, la soglia minima necessaria affinché il quesito venga sottoposto alla Corte Costituzionale, che si pronuncerà sulla sua ammissibilità e in caso di esito positivo approverà il referendum. La raccolta firme scade il 30 settembre e fino a pochi giorni fa avevano aderito solo poche decine di migliaia di persone ma, negli scorsi giorni, grazie ad una grande mobilitazione online centinaia di migliaia di persone hanno firmato, causando anche problemi al sito del ministero della Giustizia, che ha faticato a gestire la presenza di così tanti utenti contemporaneamente.
Il fulcro del referendum è la modifica della legge 5 febbraio 1992, n. 91 proponendo di dimezzare l’attuale termine di 10 anni, riportandolo a 5 anni, così com’era previsto dalla legislazione prima del 1992 e com’è stabilito in diversi altri Stati UE. Tale proposta si smarca dalle varie ipotesi di “ius” sopra indicate perché lo “ius soli” riguarda solo chi nasce in Italia, circa 500.000 persone all’anno, lo “ius scholae” solo chi completa un ciclo di studi di 5 anni, si tratta di circa 135.000 persone all’anno, mentre questa proposta riguarda le persone che risiedono legalmente in Italia da almeno 5 anni e i rispettivi figli minori, circa 2,5 milioni di persone.
“L’esito straordinario della mobilitazione a sostegno del referendum sulla cittadinanza promosso da un arco importante di forze, tra cui reti di nuovi cittadini, è una bellissima boccata d’ossigeno – ha dichiarato Majorino della segreteria nazionale del PD -. C’è un’Italia che ha deciso di prendere parte a questa grande battaglia di civiltà che continueremo a sostenere con convinzione. La riforma della cittadinanza non può più attendere”. Il presidente del M5s Giuseppe Conte, al momento, non ha firmato il referendum perché sul tema – viene ricordato – il M5s ha presentato una propria proposta di Legge, che prevede lo “ius scholae”, a prima firma Vittoria Baldino, la vicecapogruppo alla Camera. La stessa Baldino ha però firmato anche il referendum di +Europa, dando testimonianza di appoggio alla battaglia. “Conte non firma? Nessun imbarazzo, il referendum parla al Paese ma il Parlamento è sovrano” ha dichiarato il leader di Europa Verde Angelo Bonelli e ha aggiunto che “ci sono in questo Paese persone che di fatto sono italiane: parlano la nostra lingua, fanno le nostre università, hanno famiglia ma non hanno la cittadinanza. Questa cosa va corretta. La destra dice bugie e aumenta paura, cittadinanza significa diritti e doveri”. Tra i segretari di partito hanno aderito, firmando, Elly Schlein, Matteo Renzi, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni e Carlo Calenda ma le adesioni sono arrivate da molte personalità della cultura, dello spettacolo e dello sport, da Julio Velasco a Ghali a Zerocalcare, da La rappresentante di lista a Dargen D’Amico a moltissimi altri.
Sembra che la maggioranza non sia compatta
Mentre i partiti che non compongono l’attuale maggioranza di governo sembrano, per ora, approvare questa modifica, seppur con i distinguo di una parte dei pentastellati, offrendo un comune fronte di scontro, non si può dire invece la stessa cosa per quelli che compongono il Governo. Visti i numeri delle firme raccolte sino ad ora, non c’è dubbio che si assisterà a una vera e propria “chiamata alle armi” da parte di quei partiti che sembrano irremovibili per evitare che il voto referendario si trasformi in una débâcle per il governo. Ma da qualche settimana sembra che la maggioranza non goda di un vero e proprio fronte compatto, che sembra formato da FdI e Lega, perché da Forza Italia sono arrivati messaggi diversi. “Presenteremo – ha detto martedì il ministro degli Esteri Antonio Tajani, parlando con i giornalisti a margine dei lavori dell’Assemblea generale dell’Onu – una nostra proposta di legge sulla cittadinanza, i nostri gruppi parlamentari si riuniranno nei prossimi giorni per discuterla e poi la presenteremo innanzitutto ai nostri alleati e poi in Parlamento” e ha aggiunto che “non ci prestiamo a giochini e operazioni politiche” che “sfruttino” il tema della cittadinanza per “cercare di dividere la maggioranza” e fonti parlamentari azzurre rivelano che Forza Italia sta accelerando sullo “ius scholae”. Un tema che rientrerebbe nel “pacchetto” di quei diritti civili rispetto ai quali Marina Berlusconi, la figlia maggiore del fu Cavaliere, ha detto di sentirsi più vicina alla sinistra e che, da quella ormai arcinota intervista, sembrerebbe siano passati in cima all’agenda delle priorità forziste.
Rientrato in Italia il ministro Tajani, a margine del suo intervento di ieri alla convention del Ppe in corso a Napoli, ha dichiarato che “Bisogna aver maturato la coscienza e l’italianità, ma allo stesso tempo bisogna avere anche criteri un po’ più stretti per concedere la cittadinanza per ‘ius sanguinis’” e che “il tema è assolutamente sentito perché è una cosa giusta, non condivido i contenuti perché cinque anni è una proposta che non va bene, cinque anni significa la fine delle elementari, non si è cittadini italiani dopo cinque anni di studi. Dopo dieci anni, sì”. Tajani, nel precisare che proporrà la proposta prima agli alleati e, solo in alternativa, qualora non volessero condividerla, la avanzerà come Forza Italia, ha ricordato che nel programma della coalizione “c’è scritto che il centrodestra si batterà per l’integrazione economica e sociale dei migranti regolari, e io credo che la proposta di riforma della cittadinanza vada assolutamente nella direzione di ciò che abbiamo proposto ai nostri concittadini”
L’appuntamento di FI su quello che è diventato uno spinoso tema è per oggi nella Sala Colletti di Montecitorio alle 14.30 quando si terrà la riunione dei gruppi congiunti di Camera e Senato per mettere a punto la pdl sulla riforma della cittadinanza che prevede “ius scholae” ma anche la riforma per l’accesso allo “ius sanguinis”.
Appare inevitabile uno scontro nella maggioranza
Sul tema dunque appare inevitabile, a meno di clamorosi dietrofront, uno scontro nella maggioranza, almeno stando alle dichiarazioni degli altri due big partner. “Se ne stanno accorgendo in tutta Europa – ha dichiarato sulle sue pagine social Matteo Salvini, leader della Lega – la cittadinanza è un privilegio che va ottenuto con merito e integrazione, non è un regalo. Ius Soli? No grazie” mentre da New York la presidente del Consiglio Giorgia Meloni chiude sull’istanza che arriva dal quesito referendario dichiarando che “per quel che riguarda la proposta sulla quale sono state raccolte le 500mila firme, e che propone di dimezzare i tempi per l’ottenimento della cittadinanza, io penso che il termine dei 10 anni sia un termine congruo, penso che l’Italia abbia una ottima legge sulla cittadinanza e questo è dimostrato dal fatto che siamo tra le nazioni europee che concede il maggior numero di cittadinanza, dunque non ne ravvedo la necessità. Poi, se c’è un referendum quella è democrazia e decidono gli italiani, io ho sempre grande rispetto di quel che decidono gli italiani”. Sollecitata dai giornalisti sulla proposta di Forza Italia ha preferito non entrare nel merito dichiarando che la “proposta di Fi sulla cittadinanza non la conosco” ma “d’altronde – rimarcano fonti di Fdi – di un provvedimento di questo tipo non c’è traccia nel nostro programma”. Mai, più che in questo caso, la parola ora passa al popolo che, come indica l’art.1 della Costituzione, è sovrano. (R.G.)
Il paradosso degli stranieri di seconda generazione che insegnano italiano ma non hanno la cittadinanza
Roma – Il dibattito politico italiano, nelle ultime settimane, si è intensificato attorno a una riforma cruciale: lo Ius Scholae. Questa misura punta a garantire la cittadinanza italiana ai giovani migranti che, pur crescendo e studiando nel nostro Paese, non godono ancora dei pieni diritti civili. La proposta si inserisce in un contesto più ampio di riflessione sull’inclusione e sull’integrazione di bambini e ragazzi che, parte della società italiana di fatto, restano cittadini di un Paese che spesso conoscono poco o nulla.
Oggi lo Ius Scholae rappresenterebbe un atto necessario di uguaglianza sociale verso bambini e ragazzi che condividono la cultura, l’educazione e l’appartenenza alla società italiana, pur non avendo lo status giuridico di cittadini. In questo contesto, Vita, magazine al servizio del Terzo Settore e dell’innovazione sociale, con il supporto di numerose realtà della società civile ha sviluppato un manifesto a supporto dello Ius Scholae, perché: “la scuola è il luogo principale in cui si impara a vivere insieme, da uguali, nella diversità. Riconoscere la cittadinanza italiana a chi ha compiuto un percorso nella scuola aumenterebbe in tanti giovani il senso di appartenenza al nostro Paese”. Sono diverse le associazioni che si sono espresse a favore di questo diritto negato.
Come Quotidiano di Sicilia abbiamo voluto sentire due associazioni che operano direttamente a contatto con i migranti, che hanno espresso un forte sostegno alla riforma dello Ius Scholae, vedendola come una chiave per il futuro dell’Italia. Agostino Sella, presidente dell’Associazione Don Bosco 2000, ha commentato: “Lo Ius Scholae è un grande passo in avanti per una politica buia di questi anni di grande regressione sui diritti umani e civili. Tuttavia, sono amareggiato nel vedere la battuta d’arresto subita da questa proposta di civiltà e sviluppo sociale”. Infatti, la Don Bosco 2000, impegnata nel supporto e nell’integrazione dei migranti, sottolinea come la scuola non sia solo un luogo di istruzione, ma uno spazio fondamentale di costruzione identitaria e civica.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Eraldo Affinati, presidente della Scuola Penny Wirton. Il quale ha dichiarato: “Il tema dello Ius Scholae non dovrebbe essere strumentalizzato per ottenere consensi politici. Si tratta di una norma di buon senso tesa a legittimare la posizione di tanti ragazzi e ragazze già italiani di fatto, anche se non ancora dal punto di vista giuridico”.
La Scuola Penny Wirton, fondata da Affinati insieme alla moglie Anna Luce Lenzi, si occupa con 65 postazioni didattiche in tutta Italia di insegnare gratuitamente la lingua italiana agli immigrati. Inoltre, Affinati sottolinea “abbiamo una presenza significativa a Messina, nel quartiere Giostra, qui assistiamo a situazioni paradossali: adolescenti di seconda generazione – arabi, africani, slavi, cinesi, bengalesi – che insegnano italiano ai nuovi arrivati, pur non essendo ancora riconosciuti come cittadini italiani. Questa è la realtà che viviamo ogni giorno e che dimostra quanto sia urgente un cambiamento”.
La battuta di arresto che ha subito nelle scorse settimane lo Ius Scholae è realmente un passo indietro. “Infatti lo Ius Scholae è una questione di giustizia e di civiltà. Chi nasce o cresce qui, frequenta le nostre scuole e condivide i nostri valori, dovrebbe avere il diritto di essere cittadino italiano a tutti gli effetti. Questa riforma anche il futuro del nostro paese” ribadisce ancora Agostino Sella, di Don Bosco 2000.
Il terzo settore, attraverso il manifesto, chiede al Parlamento di avviare seriamente il dibattito sull’argomento cittadinanza e scuola, visto che l’Italia è già un paese multiculturale e le scuole sono lo specchio di questa realtà. Inoltre questo riconoscimento eviterebbe disparità tra gli adolescenti. Perché come per un adolescente che sta costruendo la propria identità, la mancanza della cittadinanza italiana ha conseguenze sulla maturazione del senso di appartenenza alla comunità.
Intanto nel dibattito si inserisce anche la proposta di +Europa, che suggerisce di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza continuativa necessario per ottenere la cittadinanza italiana, attraverso un referendum che ha già raccolto le 500 mila firme necessarie per essere esaminato dalla Corte costituzionale. Obiettivo è allineare l’Italia alle norme sulla cittadinanza in atto in diversi Paesi Europei. Tale iniziativa mira a semplificare l’accesso alla cittadinanza per chi, pur vivendo stabilmente in Italia: lavorando o frequentando le scuole italiane, si trova bloccato in una lunga attesa burocratica, nonostante contribuiscano al presente e al futuro del Paese.
Il dibattito sembra destinato a crescere, soprattutto in un Paese che si trova a fare i conti con una popolazione multiculturale. La scuola, come sottolineato da queste realtà associative, potrebbe davvero rappresentare la chiave per un’integrazione autentica e per il futuro di una cittadinanza più inclusiva e giusta. (P.G.)
Resta in ballo la proposta dello Ius Scholae. “Può arginare i processi di invecchiamento”
Mettere le basi per una società più coesa, ringiovanire la popolazione e salvare dalla chiusura le scuole nelle zone più remote del Paese. Sono tre dei benefici che potrebbero derivare dallo Ius Scholae, la proposta di legge che prevede di conferire la cittadinanza italiana ai minori che, arrivati nella Penisola prima dei 12 anni, hanno completato un ciclo quinquennale di studi. A dirlo è la Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, con uno studio che fotografa l’attuale stato delle cose in fatto di composizione della popolazione scolastica primaria e traccia una previsione di ciò che potrebbe rappresentare per l’Italia varare una riforma che, immaginata dal Parlamento nel 2022, sembrava essersi arenata e che invece questa estate è tornata al centro del dibattito politico. “Lo Ius Scholae rappresenta un atto necessario di uguaglianza sociale nei confronti di bambini e ragazzi ai quali non è riconosciuto lo status giuridico di cittadini italiani pur condividendone cultura, educazione e appartenenza – si legge nello studio –. Legare l’acquisizione dei diritti di cittadinanza al completamento di un ciclo di studi potrebbe incentivare la permanenza in Italia dei giovani con background migratorio e delle loro famiglie”.
Una decisione, quella di rimanere, che al di là delle prese di posizione ideologiche da parte di alcuni partiti, potrebbe contribuire a dare solidità anche economica all’Italia. Aspetti economici che già oggi determinano la distribuzione della popolazione straniera – e di conseguenza la presenza di bambini – nelle venti regioni del Paese. “Gli ultimi dati del ministero dell’Istruzione e del Merito indicano un totale di 315.906, pari al 14 per cento degli iscritti (i dati si riferiscono alla primaria statale e non includono la Valle d’Aosta e le Province Autonome di Trento e Bolzano). Di questi, quattro su cinque provengono da un paese extracomunitario”, spiega la Svimez facendo riferimento ai dati sulle presenze nelle scuole primarie.
Guardando alla Sicilia, emerge che l’incidenza degli stranieri sulla popolazione scolastica nel primo ciclo di studi è del 4,7 per cento rispetto al totale. Un dato molto distante dal 14 per cento della media nazionale e che la Sicilia condivide con il Molise. Percentuali più basse si registrano soltanto in Puglia e in Campani,a, dove la presenza si attesta al 4,5 per cento, e in Sardegna dove l’incidenza è del 3,4 per cento. In ogni caso si tratta di numeri decisamente distanti dalle aree del centro-nord del Paese, a riprova di come le offerte occupazionali e la qualità dei servizi rivolti alle famiglie determinino anche le scelte migratorie non solo interne: in Emilia Romagna, infatti, la percentuale di bambini stranieri nelle classi della scuola primaria è del 23,2 per cento; subito dietro si trovano la Lombardia e il Veneto, rispettivamente con il 22 e il 20,4 per cento.
“Le differenze si ampliano considerando le 14 città metropolitane, dove lo stacco tra Nord e Sud è ancora più evidente – viene messo in luce nella relazione –. Milano registra una percentuale del 24,5 per cento, oltre sei volte maggiore della città metropolitana di Napoli che si attesta a poco più del 3,6 per cento. In generale, nessuna città metropolitana del Mezzogiorno supera la soglia del 6 per cento”.
Anche in questo caso è possibile analizzare il caso siciliano: tra le tre città metropolitane dell’isola, Messina è quella con la percentuale più alta (5,4%), seguita da Catania (3,3%) e Palermo (3%). Tuttavia la Svimez sottolinea come anche nell’estremo Sud ci siano casi che fanno eccezione, uno dei quali riguarda anche la Sicilia: “Nelle regioni meridionali, caratterizzate mediamente da una bassa presenza di bambini stranieri, fanno eccezione alcuni comuni dell’entroterra calabrese e della provincia siciliana di Ragusa”. Il dato che arriva dall’area iblea è molto probabilmente legato ai flussi migratori assorbiti dal settore agricolo e dall’impiego di manodopera straniera nella serricoltura. A riguarda va ricordato come proprio tra le serre del Ragusano esistano tante situazioni di marginalità che portano, in molti casi, i bambini a non frequentare le scuole.
La ricerca dell’associazione presieduta dall’economista Adriano Giannola si concentra anche sulle prospettive demografiche future dell’Italia, mettendole in correlazione con gli effetti che potrebbero derivare dalla riforma sullo Ius Scholae.
In tremila comuni italiani, il 38 per cento del totale, esiste una sola scuola primaria con meno di 125 alunni. La popolazione scolastica in questi casi è composta da una presenza di stranieri che varia dalla media del dieci per cento nel Centro-Nord al cinque per cento delle regioni meridionali. “Complessivamente, i bambini stranieri che frequentano l’unica piccola scuola del proprio comune sono circa 20mila, il 10,6% degli alunni residenti (nella fascia tra 6 e 10 anni, ndr)”, si legge. Il rapporto sottolinea l’importanza scaturita dalla partecipazione dei bambini stranieri alle attività scolastiche, una presenza che, con lo Ius Scholae, potrebbe essere ulteriormente incentivata. “Sulla base di queste evidenze emerge il ruolo rilevante della partecipazione dei bambini stranieri alla scuola primaria anche nei comuni a maggior rischio di degiovanimento. L’attrazione di famiglie straniere già oggi rappresenta per molte aree del Paese una leva di contrasto al calo delle iscrizioni e al conseguente rischio di chiusura dei presidi scolastici. L’adozione dello Ius Scholae potrebbe rafforzare tale tendenza”, viene specificato nel rapporto.
Ma cosa ci aspetta nel futuro?
Se lo Ius Scholae venisse approvato, i dati dicono che i bambini stranieri che vivono e studiano in Sicilia e che beneficerebbero della riforma sarebbero 1423 sui 48mila complessivi a livello nazionale. Ma cosa ci aspetta nel futuro? “Stando alle proiezioni al 2035, la popolazione di bambini di età compresa tra 5 e i 9 anni – fascia d’età che sostanzialmente corrisponde a quella dei bambini che frequentano la primaria – dovrebbe diminuire del 18,6 per cento, passando dagli attuali 2,5 a poco più di due milioni. Le variazioni saranno più marcate nel Centro e nel Mezzogiorno, con la Sardegna che potrebbe subire perdite del 34 per cento, seguita da Lazio e Abruzzo con valori rispettivamente del 24,8 e 24,4 per cento”. In Sicilia la proiezione dice che il decremento di bambini tra i 5 e i 9 anni, tra i dati registrati nel 2023 e quelli previsti tra undici anni dovrebbe essere del 18,5 per cento, quasi in linea con la media nazionale. In termini assoluti si passerebbe dagli attuali quasi 213mila bambini a meno di 174mila.
“In altre parole – si legge nel documento – lo Ius Scholae potrebbe contribuire a scongiurare la chiusura di molte piccole scuole, assicurando continuità a un presidio socio-culturale primario che, oltre a sviluppare le opportunità formative di bambini e giovani, consente di arginare i processi di spopolamento e invecchiamento. L’istruzione rappresenta un servizio essenziale la cui qualità e capillarità sono condizioni imprescindibili per uno sviluppo socialmente e territorialmente inclusivo, specialmente per le aree più deboli e remote. La granularità territoriale dell’offerta scolastica contribuisce a neutralizzare la condizione di svantaggio delle periferie, salvaguardando – conclude la Svimez – le comunità che le abitano. (S.O.)