Come il Covid accentua le differenze di genere, donne “maltrattate” su figli, lavoro, salario - QdS

Come il Covid accentua le differenze di genere, donne “maltrattate” su figli, lavoro, salario

Come il Covid accentua le differenze di genere, donne “maltrattate” su figli, lavoro, salario

sabato 21 Novembre 2020

Italia tra i Paesi Ue che registrano le performance peggiori d’inclusione femminile e la Sicilia è ultima tra gli ultimi, quella che fa peggio in assoluto è Caltanissetta (23,6%),maglia nera nella classifica nazionale

In Italia le differenze di genere sul tasso di occupazione e di inattività sono tra le più alte in Europa e la situazione sembra essersi ulteriormente aggravata a causa dell’emergenza sanitaria. Stando all’ultimo Rapporto Caritas, le donne che hanno chiesto aiuto da maggio a settembre – subito dopo il lockdown – sono state il 54,4%, contro il 50,5% del 2019. Così le donne si sono ritrovate a fare i conti con tutti i limiti culturalmente imposti: la cura a tempo pieno di figli e parenti non autosufficienti, la mancanza di adeguato supporto da parte dello Stato e dei servizi pubblici per l’infanzia, la disparità di salario rispetto agli uomini, la difficoltà nel ricevere un aiuto concreto nel caso di convivenza con un uomo violento, la ridotta presenza del genere femminile all’interno della classe dirigente, gli stereotipi di genere che rendono ancora più ardua la ricerca di un lavoro.

La parità tra i sessi è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Oggi si spera nel Recovery Fund e nelle futuribili politiche attive per una svolta concreta. Soprattutto in Sicilia, dove le statistiche rimangono impietose.

Il Global gender Gap Index 2020 del World Economic Forum, confrontando diversi parametri sulle differenze di genere, mette in risalto la regressione dell’Italia rispetto allo scorso anno: oggi si trova al 76esimo posto di una lista di 153 Paesi nel mondo – tra la Thailandia e il Suriname -, perdendo ben sei posizioni rispetto al 2019. Gli stati Ue che fanno peggio sono solo Grecia, Cipro e Malta.

Secondo il World Economic Forum potrebbero volerci quasi 100 anni affinché il Belpaese raggiunga la tanto agognata uguaglianza, ma almeno 257 per il raggiungimento della stessa partecipazione economica. Mentre Islanda, Norvegia, Finlandia e Svezia sarebbero già vicine al traguardo. Islanda, Novergia e Finlandia – assieme a Danimarca, Germania, Nuova Zelanda e Taiwan – sono anche Paesi guidati da leader donne e sembrano aver adottato strategie maggiormente efficaci a fronteggiare l’emergenza sanitaria in corso. A dirlo è persino il Center for Economic Policy Research.

Nel frattempo, il 25 ottobre il Cile ha deciso di sostituire la sua Costituzione – ereditata dalla dittatura di Augusto Pinochet – con la prima costituzione al mondo scritta in forma paritaria da uomini e donne. Il gentilsesso sta lottando per la parità di genere, forse perché – come affermava Herbert Marcuse – “l’emancipazione femminile è un fattore decisivo nella costruzione di una vita qualitativamente migliore”.

Nel mese di maggio 2020 Eurostat ha pubblicato un report sui progressi dell’Ue in merito ai 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Da questo si evince come le donne continuino ad avere maggiori difficoltà rispetto agli uomini nella ricerca di un’occupazione, ma anche nel conciliare gli impegni familiari con quelli lavorativi. Dalle rielaborazioni dei dati di Openpolis, l’Italia risulta tra i Paesi europei che registrano le performance peggiori: nel 2019 il divario occupazionale tra i due sessi è stato del 19,6%, peggio che in Romania (19%), in Ungheria (15,5%), in Polonia (15,4%), in Repubblica Ceca (15%) e in Slovacchia (13%).

Ma c’è di più. In Italia il tasso di occupazione femminile è aumentato di soli 8 punti percentuali in 10 anni (2009-2019) e le donne occupate – prima dell’emergenza sanitaria – risultavano essere poco più della metà (53,8%). La restante parte sembra dover sopportare principalmente il peso della responsabilità di cura dei figli o dei familiari non autosufficienti: tra la popolazione inattiva (inoccupata, ma non in cerca di lavoro), le donne risultano impedite per il loro 39,4% dagli impegni familiari, contro il solo 4% degli uomini, con un gap del 35,4%. L’Italia rimane pure il Paese Ue con più donne inattive per responsabilità di assistenza familiare (15,6%).

E quelle che riescono a trovare un lavoro non sembrano ricevere lo stesso trattamento. Secondo il Global gender Gap Index 2020, nel Belpaese uomini e donne godono di sostanziale parità solo sull’aspettativa di vita, sull’istruzione e sul tasso di alfabetizzazione. Ma a parità di competenze non corrisponde parità salariale e uguale capacità di partecipazione economica: a tal proposito, la nostra penisola si trova al 125esimo posto di una lista di 153 Stati diversi.

Le differenze sull’occupazione femminile non si evidenziano solo tra l’Italia e il resto dei Paesi europei, ma anche tra le diverse regioni e province italiane. La regione che registra la performance peggiore è la Campania con il suo 29,4%, la più virtuosa è il Trentino Alto Adige (65%). Le province con il miglior tasso di occupazione femminile sono Bologna (68,1%), la Provincia autonoma di Bolzano (67,9%) e Belluno (67,4%); quella che fa peggio in assoluto è Caltanissetta (23,6%), seguita da Crotone (23,9%) e Napoli (26,5%).

L’occupazione “rosa” nelle province siciliane risulta sempre inferiore alle media italiana, oltre che europea: Ragusa (37%); Siracusa (32,5%), Catania (30,6%), Trapani (30%), Messina (29,6%), Palermo (29,2%), Agrigento (27,2%), Enna (26,9%), Caltanissetta (23,6%). Complice anche la disponibilità di soli 182 asili nido nell’Isola su 390 comuni, che bastano appena per 9 richiedenti su 100.

Eppure l’assessorato della Famiglia, delle Politiche sociali e del Lavoro non sembra avere alcun piano strategico ad ampio raggio in cantiere – che possa intervenire concretamente, a livello territoriale, sulle cause di tali asimmetrie – nemmeno alla vigilia del Recovery Fund. E fa sapere che “a causa della pandemia sono stati interrotti i bandi per il progetto Garanzia Giovani 2, finanziato con 205 milioni di euro, destinati ai giovani fino ai 35 anni che volessero usufruire di contributi a fondo perduto per l’autoimprenditorialità e di tirocini formativi, ma anche a imprese che volessero godere di bonus occupazionali. Si spera di farli ripartire a breve, così come di dare il via al progetto dello scorso gennaio, Donne Artigiane, che con 31 milioni di euro vuole supportare l’artigianato femminile”.

Ermelinda Gulisano, business coach, e Lidia Dimasi, presidente Anpit Sicilia, parlano dei tanti effetti collaterali del Coronavirus sull’universo femminile

Una emergenza nell’emergenza, oltre il 70 per cento di chi ha perso il lavoro a causa del Covid appartiene al gentil sesso

Tra i tanti effetti collaterali del Covid19, anche il peggioramento della condizione lavorativa delle donne. Lo conferma un’indagine condotta sulla generazione dai 18 ai 35 anni dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo (Università Cattolica) durante l’inizio della seconda ondata di contagi.

Questo perché le donne vengono occupate soprattutto nei settori più colpiti dalla pandemia (es. settore terziario, turismo) e perché rimangono ancora le uniche delegate alla cura dei componenti familiari non autosufficienti.

Durante il lockdown hanno dovuto lasciare il lavoro – quando lo smartworking non era possibile – per occuparsi a tempo pieno di figli e altri parenti, improvvisandosi pure insegnanti ed educatori sportivi. Dopo la riapertura hanno continuato a non poter usufruire dei servizi educativi per l’infanzia e oggi non possono escludere del tutto una nuova chiusura delle scuole (si pensi alle “zone rosse”, agli istituti scolastici secondari o alle singole classi con casi di positività al virus). Così il 50% delle richieste di Cassa integrazione e più del 75% delle richieste di congedo-Covid sono arrivate – senza alcuna sorpresa – proprio dal gentilsesso.

Tuttavia il genere femminile sembra aver dimostrato maggiore flessibilità e resilienza rispetto agli uomini, proprio durante l’emergenza sanitaria, tanto da limare alcuni preconcetti culturali all’interno di diverse aziende del territorio. Almeno secondo Ermelinda Gulisano, master trainer in PNL e life&business coach: “Molte donne si sono trovate in pieno lockdown a fare un bilancio della propria vita. Hanno dovuto gestire i loro bambini e, talvolta, rinunciare parzialmente o per intero al lavoro. Altre lo hanno reinventato, trasformandolo in uno più consono al loro essere. Ma hanno soprattutto rivalutato le loro priorità, in molte hanno messo in discussione il loro percorso, ridimensionando l’importanza che avevano dato alla carriera e consapevolizzando il vero valore del proprio tempo – spiega la coach -. Lo stesso hanno fatto le aziende, concedendo smartworking e part-time, riorganizzando i loro team e concedendo maggiore autonomia agli impiegati, rivalutando obiettivi e risultati”.

La flessibilità richiesta dalla situazione emergenziale sembra trovare pieno soddisfacimento nelle attitudini femminili: “Le imprese hanno capito che le donne hanno maggiore flessibilità e capacità organizzativa degli uomini, perché queste riescono da remoto addirittura a incrementare la propria produttività – continua la Gulisano -. Senza considerare le loro maggiori capacità nella digitalizzazione e nella trasformazione del lavoro che spesso si traduce in un maggiore efficienza.

Credo che l’imprenditoria si stia orientando sempre meglio, perché non importa tanto la quantità di tempo impiegato al lavoro e il luogo in cui si svolge, quanto la capacità di portare a termine i propri compiti, la professionalità e la precisione del lavoratore. Anche su questi aspetti le donne sembra sappiano cavarsela meglio”.

Lidia Dimasi, presidente dall’Anpit Sicilia che è entrata a far parte del Consiglio nazionale dell’Associazione nazionale per l’industria e il terziario, ha definito quella delle donne “un’emergenza nell’emergenza”: “È ancora bassissima la percentuale delle donne imprenditrici nei ruoli apicali – ha detto -. Il lockdown ha fatto registrare un numero altissimo di imprese al femminile travolte dalla crisi. Sono più di 200mila le donne in cerca di lavoro e tra i dati di chi il lavoro lo ha perso le donne rappresentano oltre il 70%.
Come Anpit dobbiamo supportare l’imprenditoria femminile, favorire il loro empowerment e colmare così il gap di genere che ancora oggi purtroppo pesa notevolmente sulle pari opportunità tra uomini e donne. L’Agenda 2030 impone a livello mondiale questa sfida per superare ogni disparità”.

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