Contribuente colpevole? Il Fisco deve provarlo - QdS

Contribuente colpevole? Il Fisco deve provarlo

Salvatore Forastieri

Contribuente colpevole? Il Fisco deve provarlo

martedì 12 Settembre 2023

Legge n. 130/’22: l’Amministrazione deve dimostrare le ragioni oggettive su cui si fonda la pretesa impositiva e la sanzione

ROMA – Come è noto, con l’articolo 6 della legge n. 130 del 31 agosto 2022, è stato introdotto dopo il quinto comma dell’articolo 7 del Decreto Legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992 (Contenzioso tributario), il comma 5 bis, secondo il quale “5-bis. L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.
Una disposizione che, anche dalla pagine di questo quotidiano, è stata considerata una sorta di conferma di una norma (o di più norme) già esistente, non solo perché prevista dalla singole leggi d’imposta, ma anche perché i principi in essa contenuti risultano già dal diritto amministrativo, dalla legge 241/1990 ed anche dalla nostra Carta Costituzionale.

È assolutamente impensabile, infatti, che l’Amministrazione Finanziaria possa avanzare una pretesa fiscale senza motivazioni o con motivazioni insufficienti, specialmente nei casi in cui l’utilizzo delle presunzioni non è espressamente prevosto dalla legge.
Comunque, i latini dicevano “quod abbundat non vitiat”, per cui se il Legislatore del 2022 ha ritenuto di inserire questa nuovo comma 5 bis all’articolo 7 del D.Leg/vo 546/92, vuol dire che ha ritenuto necessario o, quanto meno, opportuno, sottolineare l’esigenza di provare sempre, in modo concreto ed esaustivo, l’imposta evasa e la violazione commessa.

E già la Giurisprudenza comincia a conformarsi con il “nuovo” principio. La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Milano, infatti, con sentenza n. 2955 di quest’anno, ha applicato la disposizione in parola, ritenendo, in particolare, che, nel caso ad essa sottoposto, la presunzione di cui l’ufficio si era avvalso per dichiarare l’inesistenza soggettiva di alcune operazioni di acquisto non era tale da legittimare la pretesa ed il conseguente atto contestato.

Al riguardo, comunque, c’è da dire che, mentre per le operazioni considerate oggettivamente inesistenti la prova può essere più facilmente raggiunta attraverso l’esame di documenti o di altri comportamenti sospetti, per dimostrare l’inesistenza (soggettiva) delle operazioni fatturate da un soggetto che secondo l’ufficio non è quello che in effetti ha posto in essere la cessione o la prestazione, occorre dimostrare pure che il cessionario o committente era consapevole dell’illecito. Non dimostrando che il destinatario della fattura non era e non poteva sapere l’effettiva identità del suo fornitore, in pratica non dimostrando la sua connivenza e la partecipazione alla frode, almeno per lui non può essere contestato né il reato fiscale né l’indebita detrazione dell’Iva. è il soggetto che ha falsamente fatturato e colui che ha effettuato veramente l’operazione che vanno colpiti, sia penalmente che fiscalmente.
Tale concetto lo ha affermato anche la Cassazione secondo la quale, con Ordinanza n. 5005 del 15 luglio 2020, spetta all’Amministrazione Finanziaria provare non solo la fittizietà dell’operazione, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione d’imposta.

Con successiva Ordinanza, n. 23647/2022, la stessa Corte di Cassazione ha affermato pure che, “incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi”.

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