Cottarelli: Italia, finché la barca va... - QdS

Cottarelli: Italia, finché la barca va…

Cottarelli: Italia, finché la barca va…

martedì 14 Maggio 2019

Il nostro Paese, seppur fragile, continua a galleggiare su mari in tempesta. Servono riforme strutturali per semplificazione, lotta alla burocrazia ed efficienza della Pa. Analisi a tutto campo dell'economista, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica

Perché in questo clima di incertezza i mercati sono abbastanza tranquilli?
“I mercati sono fatti così. Ci sono fasi in cui se ne stanno quieti e poi si svegliano in maniera improvvisa. Adesso sono tutti in attesa di vedere cosa succederà alle Europee. L’economia Ue ha ripreso ha crescere e quella italiana si è lievemente risollevata, così come quella americana, per cui nel breve periodo c’è un modesto ottimismo. C’è da aver paura nel caso in cui si verifichi uno scossone internazionale, in quel caso questo clima di fiducia dei mercati cadrebbe noi saremmo i primi a crollare, i primi nella lista dei Paesi a rischio. Se consideriamo il livello dello Spread relativo, siamo più vicini alla Grecia che al Portogallo e alla Spagna. Lo avevo già detto quando si è raggiunto l’accordo con l’Unione europea che lo Spread sarebbe sceso: la mia previsione di crescita per quest’anno non è mai scesa sotto lo 0,4%, quindi quando l’Ocse ha parlato di -0,2% ha esagerato. Anche l’ultimo dato della Commissione europea, lo 0,1% di crescita, credo sia troppo basso”.

E se dovesse arrivare la tempesta?
“In quel caso allora cambia tutto. Il problema è che intorno a ottobre e novembre, però questo non influisce più sulla crescita di quest’anno ma su quella del prossimo anno, bisognerà fare nuovi conti e chiarire alcune questioni. Ci sarà una nuova Commissione europea e lì vedremo che cosa succederà. Peraltro, in questa situazione, i tassi d’interesse dei titoli italiani sono ancora buoni. Chi investe, in fondo, segue il pericolo e spera di saltar fuori prima che la barca affondi. Finché non c’è pericolo, si continua ad andare avanti per un po’”.

In pratica, lo sconquasso non è prevedibile…
“Un caso come quello di Lehman Brothers del 2008 non è prevedibile, così come la guerra dei dazi nessuno sa come andrà a finire. Vero, i dati sono buoni adesso, la Banca centrale europea continua a tenere tassi di interesse molto bassi, c’è molta liquidità che gira e finché non si ha la percezione che ci sia una fuga da qualche parte, le cose andranno avanti così. I mercati si comportano come le mandrie: sono tranquille, ma a un certo punto qualcosa scatta e scappano tutti. Ovviamente, ci dev’essere un evento di questa portata. Poi, se i fondamentali di un Paese sono solidi, le ‘mandrie’ non si muovono neanche quando c’è la scintilla, se le fondamenta sono deboli, come nel caso dell’Italia, allora le conseguenze non sono positive”.

Tra i fondamentali c’è anche il debito pubblico…
“C’è il debito pubblico e la bassa crescita, che poi va di pari passo con la disoccupazione. Il grosso problema però è che abbiamo avuto pochissima crescita dalla produttività. Il problema principale è questa incapacità di produrre di più per ore di lavoro, soprattutto nel settore pubblico”.

Si dice sempre che il settore privato è diverso da quello pubblico, ma in fin dei conti il sistema organizzativo prevede che ci siano dei parametri per misurare l’efficienza, e quindi la produttività, anche nella Pubblica amministrazione. Perché in Italia non si riesce a fare?
“Ci sono Paesi, come il Regno Unito, per esempio, che sono molto avanzati in questi metodi di misurazione dei risultati, però qui questa cultura di premiare i dirigenti e i dipendenti pubblici che ottengono risultati non c’è. È un fatto di cultura. Quando Renzi con la Buona scuola ha tentato di introdurre dei metodi di valutazione degli insegnanti, c’è stata una ribellione da parte di chi non voleva essere valutato, perché non si fidava del preside. C’è questa cultura della sfiducia nei confronti della premiazione del merito, perché non si crede che chi deve dare il giudizio sia in grado di essere imparziale. Siamo una società che si fida poco negli altri, basti pensare allo scarso utilizzo delle carte di credito perché la gente ha paura che vengano clonate”.

Visto che è un problema di fiducia, come si può intervenire?
“Ci vuole tempo. Bisogna creare un capitale sociale basato sulla fiducia negli altri, sul non pensare soltanto ai propri interessi. È un lavoro lungo che deve partire dalle fondamenta: le scuole e le famiglie. L’ora di educazione civica va bene, sono contento che venga reintrodotta, però dentro ci stanno mettendo di tutto, educazione alimentare, come si lavano i denti… Così non può essere sufficiente”.

I cambiamenti strutturali richiedono sempre molto tempo. Ma se fosse lei a decidere, se avesse questa responsabilità, da cosa inizierebbe?
“Se avessimo iniziato vent’anni fa, adesso avremmo risultati. Ci deve essere una volontà al livello individuale di voler cambiare le cose. Io, nel mio piccolo, faccio quasi il predicatore come professione, non perché penso di avere risultati, ma perché penso che se non facessi nulla non potrà mai cambiere nulla. Ho avuto questa idea di creare un Osservatorio sui Conti pubblici e vado in giro, nei media, cercando di diffondere quel che so. Io non sono al Governo, ma c’è la necessità di semplificare il sistema, di eliminare un numero di regole che sono inutili, che vincolano l’economia, che costano agli imprenditori. Il mio punto di partenza sarebbe una lotta massiccia a leggi e regolamenti inutili. Bisogna semplificare la macchina burocratica”.

A volte sembra che queste cose si complichino di proposito. Penso alla Legge finanziaria: al 30 di aprile ci sono 91 adempimenti da adottare…
“I motivi possono essere tanti, fra cui c’è l’effetto mediatico: si fa una cosa solo per dire che la si è fatta. Oppure per una resistenza, che io trovo enorme in questo Paese, al cambiamento. Le cose sono sempre andate così e allora continuiamo a fare così. Oppure, ancora, c’è la convinzione che i politici siano semplici amministratori C’è solo un modo per poter cambiare le cose: un mandato elettore, ma qui si torna al problema di prima: un politico non chiede voti per fare queste cose, ma per mandare tutti prima in pensione. Questo vuole la gente. Continuando così, resteremo l’ultimo Paese in Europa in termini di crescita. L’allarme è che poi si abbia la tentazione di risolvere problemi seri con delle scappatoie: usciamo dall’Euro, diamo la colpa all’Europa… È più facile puntare il dito sugli altri che cercare di cambiare le cose”.

Quindi ora come ora ci si può soltanto arrendere al momento?
“Forse sì, poi vediamo dove andiamo a finire. Non vedo una maggioranza alternativa a questa in grado di fare riforme, in tutta sincerità. Il rischio è che si arrivi a una crisi, si cambino un po’ le cose e poi, passato il pericolo, si torni a fare quello che si faceva prima e via così”.

Arginare l’evasione e la corruzione intervenendo su controlli e sanzioni.
La semplificazione di cui lei ha parlato avrebbe un effetto anche su corruzione ed evasione fiscale?
“Certamente. Il nostro sistema di tassazione è estremamente complicato”.

Che altro modo si può trovare per arginale l’evasione?
“C’è un problema oggettivo: noi, rispetto ad altri Paesi, siamo più a rischio perché abbiamo tanti lavoratori autonomi e piccole e medie imprese. Poi c’è un problema di troppo contante che circola, il fatto che continuiamo a fare un condono un anno sì e un anno no, una complicazione intorno al sistema di tassazione che non aiuta. Forse bisognerebbe anche cambiare i modi in cui si fanno i controlli e probabilmente se le tasse fossero più basse ci sarebbe meno evasione, ma questo è più incerto. Infine c’è sempre la questione culturale, quella che io chiamo la debolezza del capitale sociale. Negli ultimi dieci anni non ci sono stati miglioramenti da questo punto di vista”.

Sulla corruzione, invece?
“Aver aumentato le pene intanto va bene, può servire, ma anche questo caso semplificare il sistema può essere utile. Siamo sempre lì: la questione riguarda il capitale sociale. Sono cose che richiedono tempo, però, e non bisogna scoraggiarsi”.

Un sistema di controllo esterno agli Enti potrebbe aiutare?
“C’è l’Enac, è questo il suo lavoro”.

Enac che però sembra avere un notevole sovraccarico di lavoro…
“Questo è vero, però il lavoro dell’Enac è quello del controllo. Se poi a quell’Ente dai troppe cose da fare, è chiaro che le cose non possono funzionare. Ci sono due aspetti: quello che riguarda la prevenzione del reato e quello della repressione. Io darei anche pene più severe da questo punto di vista. È il minimo della pena quello che conta dovrebbero essere quelli a subire un innalzamento”.

Ritiene che l’istituzione di Commissioni esterne anticorruzione in ogni Ente pubblico, potrebbe favorire le cose?
“Credo che, considerando quanti sono gli Enti locali italiani, sarebbe un’operazione mastodontica e di difficile attuazione”.

Quali sono le sue posizioni sul Reddito di cittadinanza?
“In linea di principio, ci si deve permettere di avere un reddito minimo garantito, nessuno deve morire di fame. Poi il modo in cui è stato fatto ha delle stranezze. La stranezza principale è che se io voglio avere cuore, perché voglio sostenere chi è in difficoltà, devo rinunciare a qualcosa, devo essere disposto a essere tassato di più. Ma se voglio avere cuore e aiutare chi è in difficoltà prendendo i soldi a prestito, è tutto molto strano. A cosa sei disposto a rinunciare se i soldi li prendi a prestito? Finanziare in deficit una misura che dovrebbe essere strutturale è sbagliato. Il secondo problema è come calibrare il sostegno: per un single che vive in una piccola città del Sud 750 euro sono tanti, per una famiglia che vive al Nord l’aumento che ne deriva risulta essere modesto, per cui la si lascia sempre in difficoltà. In questa storia qui sono i navigator gli unici che sicuramente troveranno lavoro. Gli altri non lo so”.

Ma anche questa abitudine di prendere soldi a prestito è un fatto culturale?
“Chiaramente c’è un problema di cultura, perché nei paesi del Nord Europa se un Governo finisce l’anno in surplus viene applaudito e rieletto. Da noi, invece, si dice che sta uccidendo le persone, che non le sta aiutando, che sta uccidendo il Paese con l’austerity”.

Su Quota 100, invece?
“Per quanto riguarda la creazione di posti di lavoro, non credo che questa misura riuscirà nel suo intento. Naturalmente si avrà un po’ di ricambio generazionale, ma ci saranno più persone che usciranno dal mercato del lavoro e devono essere mantenute. Chi paga? Al solito, pagano i giovani che lavorano”.

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