Delshad Marsous: “Il governo islamico in Iran considera la donna un oggetto in mano agli uomini” - QdS

Delshad Marsous: “Il governo islamico in Iran considera la donna un oggetto in mano agli uomini”

Nicoletta Fontana

Delshad Marsous: “Il governo islamico in Iran considera la donna un oggetto in mano agli uomini”

mercoledì 29 Marzo 2023

Intervista esclusiva per il QdS all’artista e attivista originaria di Teheran che fa il punto su oppressione e diritti negati

CATANIA – “Bring our colour, bring our back, bring our culture back, bring our Iran back, bring our freedom back”. Con questo grido disperato si è aperto il convegno del 18 marzo scorso al Circolo Canottieri Jonica di Catania che ha avuto come protagonista l’artista iraniana Delshad Marsous.

Delshad vive da dieci anni in Italia e ogni settimana manifesta a Milano assieme a migliaia di persone per la liberazione dell’Iran dalla dittatura del regime islamico. Una donna tenace e senza paura, che a volto scoperto, rivendica con forza i diritti oppressi delle sue connazionali. Al termine del convegno, abbiamo avuto l’occasione di fare quattro chiacchere con l’artista per approfondire intenti e strumenti delle sue battaglie.

“Bring our colour, bring our back, bring our culture back, bring our Iran back, bring our freedom back”. Queste grida sono così forti da potersi sentire fino a Teheran?
“Sono passati 44 anni da quando la nostra identità di Iraniani ci è stata rubata, ma ho la certezza che ce la riprenderemo. In questi lunghissimi anni, a scuola, all’università e nella società ci è stato insegnato con la forza delle armi, che non siamo iraniani, siamo musulmani, anche se l’Islam non mai stato in grado di capire che non è possibile abolire la nostra millenaria cultura e i nostri costumi.
Perché ha scelto anche la città di Catania per far conoscere la condizione delle donne in Iran?
“All’inizio di questo movimento, ho detto in un’intervista televisiva: busserò a tutte le porte e porterò con me la voce di questa rivoluzione ovunque posso. Milano, Roma e Catania non sono diverse per me, la cosa più importante è la narrazione di ciò che è accaduto in passato e di quello che tutt’oggi accade al popolo iraniano. Il mio intento è che la verità venga ascoltata da tutti”.

Qual è la condizione reale delle donne iraniane nel suo paese?
“Il 68% delle donne iraniane ha un’istruzione universitaria. In tutti questi anni, con tutte le repressioni e le leggi che sono state applicate contro le donne dal governo, le donne non si sono mai, mai fermate per rivendicare i loro diritti. Le leggi hanno abbassato l’età legale per il matrimonio delle donne portandola dai 18 ai 9 anni. La ‘diya’ , ovvero la compensazione legale prevista dal diritto islamico nei casi di omicidio o grande violenza inferta a un essere umano, per la donna vale la metà che per l’uomo. La quota di eredità per le donne dopo la morte dei genitori è la metà di quella del fratello maschio. Solo gli uomini hanno il diritto di divorziare. Dopo il divorzio, l’affidamento dei figli spetta al padre, salvo alcune eccezioni, e così anche per molte altre ingiuste violazioni dei diritti umani”.

Parliamo di numeri, quante donne sono state assassinate oltre a Masha Amini dal 1979 semplicemente perché non indossavano correttamente il Ḥijāb?
“Non ci sono statistiche accurate al riguardo. Ma in tutti questi anni sono stati pubblicati e diffusi molti rapporti e immagini di violenze della polizia morale contro le donne in Iran”.

Qual è l’unico ruolo accettato per le donne dal regime islamico in Iran ?
“In tutti questi anni il regime islamico ha assegnato e propagandato che l’unico ruolo per una donna è quello di madre e moglie. Dal punto di vista del governo, una donna è completa solo quando si sposa e diventa madre e solo una donna che adempie pienamente al ruolo di moglie e madre merita di andare in paradiso”.

Esiste il codice penale per chi uccide una donna in Iran?
“Se l’assassino è il padre della donna non c’è punizione. Se l’assassino è un altro uomo o donna c’è punizione, ma nel caso in cui fosse necessaria la testimonianza di una donna, questa viene conteggiata la metà rispetto a quella depositata da un uomo”.

La donna dopo gli studi può lavorare? Se si, quale professione è consentita e in che termini?
“Dopo la rivoluzione islamica le donne possono entrare nel mercato del lavoro, ma la quota a loro riservata è pari solo al 15,8 % del mercato del lavoro.Generalmente la priorità nella maggior parte delle posizioni lavorative è riservata esclusivamente agli uomini. La quota per le donne nei lavori governativi è vicina allo zero. Alle donne non è permesso praticare la professione di Giudice di un Tribunale, perché non è riconosciuta loro la capacità intellettiva al giudizio”.

Che differenza c’è oggi tra una donna iraniana e un “oggetto”?
“Dal punto di vista della legge nel governo islamico, si può dire che una donna è un ‘oggetto’. Per il regime è importante che la maggior parte delle donne sia sempre stata sostenuta in famiglia attraverso i padri, i fratelli e i mariti. Con il sostegno degli uomini in famiglia e le scorciatoie contro le leggi sul matrimonio e sul divorzio, sono stati fatti molti progressi per le donne al di fuori del quadro della Repubblica islamica. Liu Bolin l’artista cinese “invisibile”, conosciuto per le sue battaglie sui diritti umani ha realizzato un’opera intitolata “Freedom”, per contribuire a testimoniare la forza e il coraggio di tutte quelle donne iraniane che lottano ogni giorno per i loro diritti e per la loro libertà”.

Lei è un’artista, che voce può avere l’arte per combattere l’oppressione sulle donne iraniane causata dalla dittatura dell’Ayatollah?
“Sicuramente, uno dei lavori più belli realizzati in termini di solidarietà con le donne iraniane durante questo periodo è stato il lavoro di Liu Bolin. Secondo me, l’arte ha sempre una voce più espressiva ed efficace nell’inviare messaggi”.

Cosa l’ha spinta a smettere di tacere e diventare oggi quell’attivista che scende in piazza ogni settimana a Milano a volto scoperto?
“L’alto muro della paura è crollato, la vita del regime islamico è finita. Un regime che ogni giorno ruba la preziosa vita di un giovane con falsi pretesti, deve essere distrutto. Non ci fermeremo fino alla vittoria su questa drammatica questa situazione”.

Ha mai avuto paura?
“Forse quando ero giovane, la paura era qualcosa di assolutamente tangibile, ma oggi non c’è spazio per la paura e lo dimostra il lavoro che i ragazzi e le ragazze stanno svolgendo in Iran per raggiungere la libertà”.

Quale messaggio vuole che arrivi, attraverso le sue manifestazioni in piazza, alle donne italiane e soprattutto al nostro governo?
“Diciamo alle donne italiane e di tutti gli altri paesi di rivendicare sempre la loro uguaglianza e i loro diritti umani. E al governo italiano: ‘Scegli la parte giusta della storia, perché vincerà il popolo iraniano’. La storia ha dimostrato che nessuna dittatura è stata infinita, vorrei che il governo italiano interrompesse i suoi rapporti economici con la Repubblica islamica e avviasse i negoziati con il gruppo di coalizione dei leader iraniani per il trasferimento del potere”.

Il Covid ha in qualche modo fermato la rivoluzione in Iran?
“Certamente le condizioni create dalla pandemia nel mondo hanno portato con sé una grande possibilità per la sopravvivenza del regime degli Ayatollah. Considerando tutti i pericoli, come quello di non bloccare gli aeroporti ai voli cinesi, il regime islamico ha accolto con favore il virus del Covid, lo ha sfruttato come unico modo per controllare la nazione iraniana contro il regime islamico. E poi, annunciando il divieto di ingresso dei vaccini in Iran, ha volutamente causato la morte di milioni di persone”.

Pensa di ritornare nel suo paese?
“Negli ultimi sette mesi ho pensato al momento glorioso della danza della vittoria in piazza Azadi a Teheran e sono certa che il giorno in cui rimetterò piede nella mia Patria non è lontano”.

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