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Digitalizzazione dei Comuni: tra servizi e app il Sud resta indietro rispetto al resto del Paese

redazione

Digitalizzazione dei Comuni: tra servizi e app il Sud resta indietro rispetto al resto del Paese

Fabrizio Giuffrida  |
giovedì 04 Aprile 2024

Lo sviluppo digitale va avanti, anche se lentamente. Preoccupa lo scarso avanzamento della cybersicurezza

ROMA – La Pubblica amministrazione nazionale diventa sempre più digitale, ma lo fa a velocità alterne e palesa grosse criticità sul fronte della cybersicurezza.

Che l’offerta di servizi diventi sempre più al passo con i tempi lo dimostrano i numeri delle realtà pubbliche pronte a garantire la gestione digitale della maggior parte delle pratiche, che diventano così alla portata di tutti. Tra i dati più recenti a fornire un quadro dedicato ci sono quelli messi a disposizione dal Centro studi Enti locali (società di consulenza e di formazione creata per fornire prodotti e servizi rivolti in modo specifico alle Pubbliche amministrazioni, alle società e aziende dalle stesse partecipate e ai rispettivi revisori, specializzandosi in particolar modo nell’aggiornamento e nella qualificazione del personale degli Enti), che ha fatto un punto sui Comuni italiani sbarcato sull’AppIO, lo strumento pensato per consentire ai cittadini di interfacciarsi con i servizi pubblici locali e nazionali, direttamente dal loro smartphone.

Quanti Comuni sono sull’app IO?

Stando a quanto emerso dall’analisi in questione sulla base dei dati di PagoPa (aggiornati al 24 marzo 2024), a oggi ben 6.854 Comuni su 7.901 sono infatti presenti sulla applicazione, circa 600 in più rispetto a due anni fa. La diffusione di questo strumento è ampia e abbastanza omogenea sul territorio nazionale: mancano all’appello soltanto 424 Enti settentrionali (circa il 10%), 138 del Centro (pari al 14%) e 485 comuni del Sud Italia, il 19% del totale. Le regioni migliori sono quelle del Nord: Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto hanno il record di presenze sull’app con ben il 99% degli Enti locali e soltanto l’1% di centri che non si avvalgono di questo strumento. Dati estremamente positivi anche per quanto riguarda l’Emilia Romagna in cui manca all’appello solo il 2% dei Comuni e la Valle d’Aosta (3%).

Come accennato, però, non è tutto oro quel che luccica e alcune regioni hanno la necessità di spingere sull’acceleratore se non vogliono far diventare i propri residenti cittadini di serie B. Sempre secondo i dati diffusi dal Centro studi Enti locali, infatti, in Umbria i Comuni non ancora sbarcati sull’AppIo rappresentano il 27% del totale, mentre sono il 24% in Abruzzo e Campania. Calabria e Sicilia seguono con rispettivamente il 19 e il 18% di Municipi che mancano all’appello in classifica compaiono poi In mezzo: Lazio (17%), Liguria, Lombardia e Sardegna (16%), Molise e Puglia (15%), Toscana (12%), Basilicata e Piemonte (11%)

Tra le città capoluogo di regione la menzione d’onore per la più attiva su questa importante piattaforma va a Roma, con 68 servizi. Sul podio anche Bologna e Potenza, rispettivamente con 56 e 55 servizi. La grande città capoluogo di regione meno attiva su questo fronte risulta essere Palermo che ha attivato, a oggi, soltanto tre servizi.

Il quadro appena descritto può anche essere ampliato citando i dati recentemente pubblicati dal Gruppo Maggioli, realtà che fornisce soluzioni per Pubblica amministrazione, liberi Professionisti e aziende. Secondo un’indagine di mercato realizzata insieme a The Innovation Group e contenuta nel volume “Digital Italy 2023-Costruire la nazione digitale” la maggior parte dei Comuni italiani ha infatti avviato almeno un progetto di digitalizzazione. Circa il 27% è molto avanzato nel processo di migrazione al cloud, mentre il 32% si trova nelle prime fasi.

La trasformazione digitale degli Enti locali italiani è in corso

“Questi risultati – si legge nel report – indicano che la trasformazione digitale degli Enti locali Italiani è in corso, anche se rimangono margini di miglioramento. La maggior parte dei Comuni si sta concentrando sull’integrazione dei servizi con Spid e Cie (91%) e sull’adozione della piattaforma PagoPa per i pagamenti (79%), in particolare per i servizi tributari (76%) e anagrafici (74%). L’integrazione dei servizi nell’AppIO è altrettanto significativa (68%)”.

Potenziamento delle professionalità interne

Questo processo, però, non può camminare in autonomia, ma deve essere accompagnato da un indispensabile potenziamento delle professionalità interne. Ecco perché gli Enti locali stanno investendo nella formazione del personale su argomenti come servizi online, trasformazione digitale, sicurezza e gestione dei dati. “Tuttavia – viene evidenziato ancora nel documento – la formazione su soft skill e condivisione delle informazioni rimane limitata, indicando la necessità di un approccio più olistico alla trasformazione digitale. L’indice di maturità digitale, calcolato sulla base di un’indagine, mostra che il 53% dei Comuni ha raggiunto un livello di maturità digitale medio-basso. Il 38% è a un livello medio-alto e solo il 6% è a un livello alto”.

Sebbene siano stati compiuti progressi significativi, quindi, la trasformazione digitale richiede un continuo sostegno finanziario e un cambiamento culturale per realizzare il suo pieno potenziale. In sintesi, la digitalizzazione della Pubblica amministrazione italiana è un processo in corso che deve ancora raggiungere la piena maturità, soprattutto in alcune parti del Paese e in particolare in alcune regioni del Mezzogiorno.

Istat: solo il 36% ha elaborato o modificato protocolli di difesa

Alla fine dello scorso mese di febbraio anche l’Istat ha pubblicato un punto (aggiornato al 2022) sull’attuazione del processo di digitalizzazione all’interno dei Comuni italiani. Come si legge all’interno del documento, l’86,4% delle Regioni e il 70,4% dei Comuni consente di svolgere online l’intero iter, dall’avvio alla conclusione, di almeno un servizio pubblico locale.

“È in forte aumento – hanno evidenziato dall’Istituto nazionale di statistica – dal 34,3% del 2018 al 54,2%, l’utilizzo di servizi di cloud computing da parte delle Pa locali. Il 74,0% delle Pa locali accede a Internet tramite connessioni veloci (almeno 30 Megabit per secondo), mentre raddoppia (35,8%) rispetto al 2018 (17,4%) la diffusione di quelle ultraveloci (almeno 100 Mbps). Il 5,1% delle Pa locali (l’81,8% delle Regioni) ha investito in intelligenza artificiale o analisi dei big data o ha pianificato di farlo nel triennio 2022-2024.

A questo sviluppo, però, non viene affiancata un’adeguata prevenzione, creando quindi forti dubbi sul fronte della cybersicurezza. Come evidenziato infatti dall’Istat, “per quanto riguarda la nomina del Responsabile della transizione digitale (Rtd), mentre a fine 2018 circa otto Pa locali su dieci erano senza Rtd, a fine 2022 il 72,1% lo aveva nominato al suo interno o in forma associata”.

Il Responsabile della transizione digitale

All’Rtd competono tutte le attività operative e i processi di riorganizzazione funzionali alla realizzazione di un’amministrazione digitale e aperta, all’erogazione di servizi facilmente utilizzabili e di qualità, al raggiungimento di migliori standard di efficienza, al monitoraggio della sicurezza informatica e questo ruolo richiede competenze specifiche anche tecnologiche. Il 27,8% dei Comuni che aveva nominato un Rtd a fine 2022 lo aveva fatto attribuendo questo ruolo direttamente al segretario comunale, il 23,4% a figure dirigenziali dell’area amministrazione e bilancio, mentre l’86,4% delle Regioni (il 57,0% delle Province) aveva scelto proprio un direttore dei servizi informativi (16,0% nei Comuni, 73,3% in quelli con oltre 60mila abitanti).

“Il miglioramento delle dotazioni Ict – spiegano dall’Istat – della gestione in rete e dell’offerta online pone un accento ancor maggiore sulla necessità di valutare la sicurezza informatica delle Pa locali. Il 15,1% delle Pa locali ha nominato un Responsabile per la sicurezza al proprio interno (54,5% delle Regioni) o in gestione associata; invece, il 21,9% ha affidata la sicurezza Ict all’esterno, tipicamente a un fornitore di servizi (22,7% delle Regioni). Inoltre, le Amministrazioni locali con processi codificati di gestione degli eventi di sicurezza informatica (incidenti, allarmi di sicurezza o tentativi di attacco) sono appena il 29,2% (95,5% delle Regioni)”.

Nel triennio 2020-2022 le Pa locali hanno messo in campo azioni legate alla sicurezza informatica e in particolare il 79,8% ha acquistato o aggiornato software di sicurezza, il 51,2% ha preferito affidarsi a incarichi di consulenza a esperti esterni, il 36,0% ha elaborato o modificato protocolli di difesa e/o prevenzione, il 27,2% ha investito in formazione aggiuntiva al personale sulla sicurezza informatica, il 2,7% ha potuto assumere personale dedicato alla sicurezza informatica, e un’ultima parte ha indicato il disaster recovery come ulteriore area di azione.

Di strada da fare, quindi, ce n’è ancora molta, perché un processo di digitalizzazione privo di un adeguato rafforzamento degli strumenti di sicurezza informatici mette a serio rischio sia l’efficienza della Pa che la privacy (e non solo) dei cittadini-utenti.

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