Draghi keynesiano spinge il Pil a +3,4% - QdS

Draghi keynesiano spinge il Pil a +3,4%

Carlo Alberto Tregua

Draghi keynesiano spinge il Pil a +3,4%

giovedì 04 Agosto 2022

Ma prossima la recessione

Con un certo trionfalismo, l’Istat ha certificato un secondo semestre da sballo perché il Pil è aumentato del 4,6 per cento, con la conseguenza che quello annuale acquisito viaggerà intorno al 3,4 per cento. Un risultato eccellente poiché, hanno sbandierato giornali e televisioni, così l’Italia ha superato la locomotiva tedesca.

Ma il dato non dice tutta la verità perché in effetti se l’economia italiana fosse in salute come viene dichiarato, lo spread dovrebbe diminuire. Invece si mantiene fra i 220 e i 250 punti. Ricordiamo che lo spread è la differenza tra i bund tedeschi ed i titoli di Stato italiani a dieci anni, per cui 250 punti sono uguali al 2,5 per cento in più di interessi.

La ragione di questo exploit del Pil deriva anche dai provvedimenti keynesiani del Governo Conte due, quando venne approvato il famoso 110 per cento. Tuttavia questo era pieno di difetti, fra cui i prezzi altissimi e fuori mercato di prestazioni e forniture di beni, nonché della distribuzione a pioggia di decine e decine di miliardi.

Ora, se l’indebitamento pubblico è indirizzato a spese per investimenti, significa che è stata seguita la teoria keynesiana. Ma quando le risorse pubbliche provenienti dalle imposte pagate dai cittadini e cittadine vengono distribuite senza alcun criterio, se non quello demagogico di venire incontro ai poveri – anche non qualificati come tali – allora la distribuzione di risorse non produce il sospirato effetto crescita.

Per altro, quando c’è crescita bisognerebbe che l’occupazione aumentasse; invece la disoccupazione continua a rimanere all’8,1 per cento, contro il tre per cento degli Stati Uniti, alcuni punti in più della media europea.

I fattori spread e disoccupazione indicano che la discesa comincerà in autunno e verosimilmente sboccherà nella recessione, come è già accaduto negli Stati Uniti. è a tutti noto che quando comincia la recessione nel Paese nord americano, essa si trasferisce, come fa il vento, all’Europa e agli altri Paesi in successione di qualche semestre o trimestre.

Ora Draghi non ha più molte armi per spingere la crescita e bloccare la recessione. Vediamo perché.
Innanzitutto, perché egli è in carica per gli affari correnti, per cui non può fare piani strutturali di medio periodo; in secondo luogo, perché i suoi provvedimenti corti hanno lo scopo di massimizzare il risultato nei prossimi sessanta/novanta giorni, pur vedendo con chiarezza che dopo tale termine comincerà il precipizio della recessione, che però sarà affrontata dal nuovo Governo, di cui lo stesso Draghi non avrà alcuna responsabilità, perché verosimilmente promanerà dalla coalizione FdI, Lega, FI ed alcuni cespugli.

Dunque, la responsabilità di affrontare la caduta del 2023 sarà del nuovo Governo, il quale dovrà tenere conto delle ammonizioni dell’Ue, la quale ha aperto procedure di infrazione contro l’alto debito e l’alto rapporto fra debito e Pil, rapporto che probabilmente supererà il 150 per cento, mentre il debito veleggerà per i 2800 miliardi.
Vi è qualche modo per prevenire la caduta, ossia la recessione? Certamente, se i manovratori saranno molto competenti.

Noi ci auguriamo che il prossimo o la prossima Presidente del Consiglio scelga grandi personalità per gestire Economia, Transizione ecologica, Energia, Scuola e lotta alla corruzione ed evasione. Personalità, anche al di fuori della cerchia dominante.
Chi ha a cuore le sorti del nostro Paese deve scegliere i migliori, non perché definiti da qualcuno, ma perché hanno dato prova delle loro capacità professionali e delle loro doti morali, che li hanno portati ad atti di equità e di rispetto nei confronti di cittadini e cittadine.

I sondaggi danno vincente la coalizione sopracitata, non tanto per le percentuali dei votanti, quanto per la capacità di ottenere maggioranze al Senato ed alla Camera dei parlamentari eletti, sfruttando al massimo il gioco dei collegi uninominali e plurinominali.
Comunque vadano le elezioni, il Popolo ha sempre ragione. Ma chi non va a votare – ripetiamo – ha torto marcio. Sempre!

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