Fisco e contribuente sullo stesso piano, a piccoli passi verso “la compliance” - QdS

Fisco e contribuente sullo stesso piano, a piccoli passi verso “la compliance”

Forastieri Salvatore

Fisco e contribuente sullo stesso piano, a piccoli passi verso “la compliance”

Salvatore Forastieri  |
mercoledì 24 Agosto 2022

Riforma giustizia tributaria modifica l’art. 7 del Dlgs n. 546-’92 su poteri delle commissioni. La pretesa fiscale deve essere provata dall’Amministrazione: in passato principio disatteso

ROMA – C’è una “strana” disposizione nella legge, già approvata dal Parlamento lo scorso 9 agosto, riguardante la riforma della Giustizia Tributaria (Ddl C. 3703).
Per la verità se è strana per il fatto che è la prima volta che una norma di tal genere, assolutamente di garanzia per i contribuenti, approda nel nostro Ordinamento, non lo è, invece, per il fatto che si tratta di una disposizione la quale, pur essendo un comportamento della Pubblica Amministrazione che non sarebbe mai dovuto mancare, sia per rispetto delle norme tributarie e processuali sia per quelle di ordine costituzionale, di fatto spesso non ha trovato sufficiente applicazione.

Stiamo parlando della norma del testo di riforma della Giustizia tributaria la quale, modificando l’articolo 7 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ossia la norma che riguarda i poteri delle Commissioni Tributarie (Corti di Giustizia Tributarie dal 1^ gennaio 2023), aggiungendo, dopo il comma 5, il comma 5-bis, prevede che l’Amministrazione deve provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato e che il giudice deve fondare la sua decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio, annullando l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.

Qualcuno dice: ma c’era bisogno di dirlo, c’era bisogno di stabilire per legge una cosa tanto evidente ?.
Come si diceva prima, in effetti questo è vero. Non è mai stato mai messo in dubbio, e d’altronde non era possibile farlo, che la pretesa fiscale oggetto di un accertamento doveva essere provata dall’Amministrazione Finanziaria.
Non si dimentichi che l’esigenza della “motivazione” dell’atto è affermata in tutte le disposizioni tributarie e la sua mancanza, che peraltro non può essere sanata nemmeno nel corso del processo tributario, è addirittura causa di nullità dell’avviso di accertamento notificato al contribuente, nullità sulla quale anche il Giudice è obbligato a pronunciarsi. Lo stabilisce pure l’art. 7 della Legge 212/2000 che pone espressamente la sanzione di nullità agli atti tributari non motivati, per cui ammettere l’integrazione della motivazione in udienza equivale ad eludere la norma e rendere vana la sanzione. Lo ha ricordato diverse volte anche la Corte di Cassazione e, recentemente, con Sentenza 25 gennaio 2022, n. 2032 .
C’è da dire, comunque, che, di fatto, la parte pubblica si trova in una situazione di vantaggio rispetto alla parte contribuente. Come ben sappiamo, infatti, l’accertamento può essere fondato, legittimamente, su presunzioni, su indici di redditività, su dati emergenti dai controlli bancari, su dati che emergono dai consumi effettuati dal contribuente, su norme che prevedono addirittura la presunzione di “non operatività” di società che non raggiungono alcuni obiettivi o si trovano in “perdita sistematica”.

Insomma, tante norme che, in certi casi, potrebbero anche non essere, come dice la nuova legge, coerenti con la normativa tributaria sostanziale o prive delle ragioni oggettive su cui l’Ufficio fonda la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.
Ecco, quindi, che, probabilmente, l’introduzione di una norma “cogente” (o comunque più “cogente” di prima”) potrebbe essere utile, non solo per favorire la tanto auspicata “compliance”, ma anche al fine di fare sempre emergere la verità, nell’assoluto rispetto dell’articolo 53 della Costituzione secondo il quale, come è noto, i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacitàcontributiva. Quella vera, evidentemente.

Salvatore Forastieri

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