Fisco e nota di variazione in materia di Iva - QdS

Fisco e nota di variazione in materia di Iva

Salvatore Forastieri

Fisco e nota di variazione in materia di Iva

mercoledì 26 Aprile 2023

In caso di inesattezze rilevate dopo l’emissione della fattura è obbligatorio emetterne una ad integrazione della prima. Se l’ammontare è in diminuzione, sarà possibile portare in detrazione l'imposta

ROMA – Come è noto, l’articolo 26 del Dpr 633/72 prevede che l’obbligo della fatturazione sussiste pure, in relazione al maggiore ammontare, tutte le volte in cui, dopo l’emissione della fattura e la registrazione di cui agli artt. 23 e 24, l’ammontare imponibile di un’operazione o quello della relativa imposta viene ad aumentare per qualsiasi motivo, compresa la rettifica di inesattezze della fatturazione o della registrazione. Quindi, per le variazioni dell’imponibile o dell’Iva, si emette, senza alcun limite di tempo, la nota di variazione in aumento, rendendosi così il cedente o prestatore debitore del maggiore ammontare rispetto a quello originario, fermo restando l’obbligo della rivalsa.
Evidentemente, se la fatturazione “integrativa” e la rivalsa sono obbligatorie, questo non vuol dire che ci si si salva dalle sanzioni.

Diverso il caso delle variazioni Iva in diminuzione

Il secondo comma dello stesso articolo 26, infatti, stabilisce che se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt. 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25. Quindi, al contrario della variazione in aumento, quella in diminuzione è facoltativa.

Attenzione, però, perché in base al comma 3 dell’articolo 26 la “variazione in diminuzione” è soggetta ad un termine di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi (quelli che giustificano la variazione dell’imponibile o dell’Iva) si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti, compreso il caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione dell’art. 21, comma 7.
Secondo il comma 3 bis, la variazione in diminuzione è applicabile anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale (o dalla data di omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti), e più precisamente, come precisato dal comma 3 bis, lettera a), dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento (o delle altre citate ipotesi previste dalla legge), nonché nel caso di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose.

Si ricorda che la facoltà per il contribuente che non riceve il corrispettivo a causa di procedure concorsuali è molto recente (D.L. 25 maggio 2021, n. 73, art.18). Prima, infatti, era necessario attendere il piano di riparto dal quale sarebbe dovuto emergere l’impossibilità per il creditore di recuperare imponibile ed Iva per una operazione già regolarmente effettuata, fatturata e dichiarata.

Con riferimento agli obblighi che si configurano in capo al curatore o commissario che riceve la nota di variazione (quella che aumenterebbe il debito dell’impresa fallita), l’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 12 dell’8/4/2016, ha sottolineato che ai sensi dell’ultima parte del comma 5 del medesimo art.26, a fronte della variazione in diminuzione effettuata dal creditore, non sussiste, in caso di procedura concorsuale, l’obbligo di registrazione della corrispondente variazione in aumento. Il curatore o commissario che riceve la nota di variazione, quindi, non è tenuto ad annotare la corrispondente variazione in aumento nel registro di cui all’articolo 23 o all’articolo 24 del decreto Iva e, conseguentemente, la procedura non è tenuta al versamento dell’imposta, che resta a carico dell’Erario.

C’è da dire, a questo punto, che l’Amministrazione finanziaria ha sempre affermato che il recupero dell’Iva addebitata al cessionario o committente nella fattura originaria è soggetto al termine decadenziale previsto dall’art. 19 del Dpr 633, comma 1, ultimo periodo. Deve essere esercitato, cioè, entro il termine di presentazione della dichiarazione Iva relativo all’anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione (circolare Agenzia delle Entrate 29 dicembre 2021, n. 20). La stessa Amministrazione ha pure affermato che, al pari delle normali fatture, per esercitare la detrazione occorrono due requisiti, l’avvenuto momento della “esigibilità” ed il materiale possesso della fattura/variazione (circolare n. 1 del 17/1/2018).

Prima di concludere c’è da dire pure che, sempre nel Dpr 633, esiste l’articolo 30-ter che consente il rimborso dell’Iva versata in più.
Ma nella risposta n. 269/E/2023, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che la procedura di rimborso di cui all’art. 30-ter del Dpr n. 633/1972, avendo carattere residuale ed eccezionale, come nel caso di un pagamento su accertamento eseguito in misura superiore a quando effettivamente dovuto all’Erario, non può essere attivata in caso di “variazioni” ex articolo 26.

Ma questa interpretazione non è in linea con la Corte di Cassazione (sentenza n. 28062 del 27 settembre 2022), secondo la quale la procedura di rimborso è alternativa a quella di variazione, potendo essere applicata a discrezione del contribuente, purché sia in grado di dimostrare qualunque ipotesi di evasione a causa di un illecito utilizzo di una nota di variazione.

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