Hiv e sifilide, allarme nel catanese. L'appello del prof. Bruno Cacopardo - QdS

Hiv e sifilide, allarme nel catanese. L’appello del prof. Bruno Cacopardo

redazione

Hiv e sifilide, allarme nel catanese. L’appello del prof. Bruno Cacopardo

Giuseppe Bonaccorsi  |
martedì 27 Giugno 2023

Il direttore del Dipartimento di Malattie infettive del Garibaldi-Nesima al QdS: “In ospedale vediamo 3-4 casi di sifilide e 2 di Hiv a settimana”

CATANIA – È allarme sociale per due malattie infettive, trasmissibili per via sessuale, che ormai sembravano sparite del tutto nell’immaginario collettivo. A fissare nuovamente l’attenzione su Hiv e Sifilide è il professore di Malattie infettive dell’Università di Catania, Bruno Cacopardo, che è anche direttore del dipartimento Malattie infettive del Garibaldi Nesima, grosso ospedale nella zona nord della città etnea. Il docente è talmente allarmato dalla situazione che lancia un appello alle autorità sanitarie affinché tornino a quelle pubblicità martellanti che nei decenni passati sono riuscite a contenere soprattutto la trasmissione del virus dell’Aids. “Siamo – esordisce – in una situazione talmente allarmante che non possiamo far finta di nulla”.

Professore perché lei è così preoccupato?
“L’Hiv e la sifilide oggi hanno raggiunto livelli di diffusione, soprattutto tra i giovani e i giovanissimi, veramente allarmistici, con percentuali che non si riscontravano da moltissimi decenni. C’è una disinvoltura nei rapporti sessuali non protetti che merita un approfondimento e uno studio anche dal punto di vista dei comportamenti e delle abitudini. Noi vediamo in ospedale almeno 3-4 casi di sifilide e almeno due nuovi casi di Hiv a settimana. Siamo davanti a un grave problema di salute e di costume che non possiamo sottovalutare. Quello che desta maggiore allarme è che la maggior parte di queste nuovi infetti si riscontra prevalentemente tra i giovani e gli adolescenti. Noi non facciamo attività di prevenzione epidemiologica e trattiamo soltanto la malattia. Ma secondo me sarebbe urgente tornare a quelle vecchie pubblicità che aumentavano la percezione del rischio, perché i giovani non percepiscono i rischi che corrono. Non ci pensano neanche minimamente di tornare ad utilizzare il profilattico se non conoscono il partner o a fare più analisi per vedere se sono loro stessi dei diffusori di qualche malattia infettiva a diffusione sessuale”.

Ci sono dei sintomi iniziali che possono far destare nei giovani l’allarme?
“Soprattutto nella sifilide bisogna stare attenti se si riscontra una lesione sui genitali. Basta una piccola abrasione, una ulceretta che non guarisce per destare attenzione e farsi controllare da un medico. Per l’Hiv purtroppo non ci sono sintomi iniziali. Nella prima fase non ci sono segnali evidenti e questo comporta che spesso noi interveniamo quando i nuovi casi hanno già un deficit immunitario grave e una malattia opportunistica”.

Un’altra malattia sulla quale non abbassare la guardia è la tubercolosi…
“Abbiamo assistito progressivamente a una sequenza di eventi che hanno caratterizzato la tubercolosi. Una decina di anni fa questa malattia era essenzialmente divisa in due tronconi, con una patologia riattivata nell’anziano autoctono, un italiano che riacutizzava una vecchia infezione tubercolare contratta nel primo dopoguerra spesso per carenze immunologiche. Il secondo troncone era rappresentato dal migrante che provenendo da aree endemiche riattivava qui da noi la malattia forse per un abbassamento delle sue difese immunitarie per il lungo ed estenuante viaggio. Adesso però il quadro è radicalmente cambiato. Stanno cominciando ad apparire soggetti riconducibili a un terzo troncone di pazienti infetti che è costituito soprattutto da soggetti giovani ed autoctoni”.

Ma come se lo spiega questo nuovo fenomeno infettivo che colpisce gli italiani?
“Perché è cominciata a circolare, in effetti con tempi più lenti, una infezione da virus con una incubazione molto lunga, anche di anni. In questo caso siamo davanti a una infezione tubercolare cosiddetta latente. Questa nuova tipologia infettiva del bacillo tubercolare è causata da due fattori: o un basso tasso di prevalenza del bacillo latente nell’organismo che solo d’un tratto si riattiva, oppure tutto ciò è causato da una circolazione provocata senz’altro da fenomeni migratori di soggetti che provengono da aree da alta endemia, come i paesi del centro Africa, ma anche dell’est Europa, che poi convivono con la popolazione locale”.

Ma come è possibile che si infettino gli italiani?
“Questo è dovuto a una incubazione del bacillo tubercolare che non è breve. Al contrario del virus del Covid che quando arrivava in una comunità nell’arco di pochi giorni infettava moltissime persone, il bacillo della tubercolosi ha bisogno di tanto tempo per infettare, circola gradualmente e lentamente e il contagio avviene per contatti prolungati in soggetti che convivono nella stessa abitazione o lavorano nella stessa struttura e condividono spazi chiusi per tempi molto lunghi. Faccio un esempio: un anziano contrae il bacillo tubercolare da un badante o africano o dell’Est europa, che è infetto. Si contagia e poi molto lentamente infetta il figlio o il nipote che a loro volta potrebbero manifestare la malattia anche dopo tanti anni dall’infezione e nel frattempo infettare anche altri parenti”.

Come ci si può difendere? Esiste una profilassi che si può fare per contenere la diffusione della malattia?
“C’è uno screening che si chiama Icra che permette ai positivi che hanno contratto la malattia di recente di fare il trattamento per l’infezione latente con Isoniazide che li mette al riparo da rischi di riattivazione”.

Senta di recente nell’area catanese c’è allarme per il virus “West Nile”, meglio noto come “Febbre del Nilo”. E’ una malattia trasmessa dalle zanzare. C’è da preoccuparsi?
“Al momento la sua diffusione nel nostro territorio riguarda prevalentemente una malattia zoonosi, che colpisce gli animali. Però non possiamo escludere in futuro un suo passaggio nell’uomo. Già qualche singolo caso in Sicilia si è avuto, uno anche all’ospedale ‘San Marco’ di Catania. Per il momento non siamo a un livello di allarme alto, ma la sua presenza negli animali e nel vettore, la zanzara, è motivo di attenzione. Infatti prevediamo che in futuro la malattia possa spostarsi nell’uomo, con uno, due pazienti su 100 casi che sviluppano malattie gravi anche mortali”.

Professore sembrano ormai lontanissimi i tempi terribili della pandemia. Ma il Covid è davvero sparito?
“Assolutamente sì. Ci sono ancora casi, ma non destano alcuna preoccupazione. Possiamo dire con certezza che questo virus oggi non fa più paura”.

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