Un bilancio in chiaroscuro in vista della Giornata mondiale dell’Aids del primo dicembre. Palermo prima città del Sud a firmare la “Paris declaration”: obiettivo zero casi entro il 2030
ROMA – Il virus Hiv non è ancora sconfitto: a 36 anni dalla sua scoperta disponiamo oggi di più potenti terapie ed il traguardo di un vaccino si sta avvicinando, ma il ‘mostro’ Aids continua a colpire e l’allarme torna alto soprattutto tra i giovani. A pochi giorni dalla Giornata mondiale dell’Aids del primo dicembre, il bilancio è infatti in chiaroscuro: il 2018 mostra una complessiva riduzione dei casi, ma non tra i 20-30enni. Tutti sono dunque chiamati ad agire e questa volta in prima linea ci sono le città, italiane ed estere, in corsa con il progetto ‘Fast-track cities’. Obiettivo: azzerare i casi di Aids entro il 2030.
Gli ultimi dati dell’Istituto superiore di sanità segnalano dunque come ‘l’arretramento’ del virus non coinvolga però i più giovani: nel 2018 le nuove infezioni da Hiv in Italia sono state 2.847 (4,7/100.000 residenti), con una riduzione dei casi in tutte le regioni dopo il picco di incidenza nel 2017 tra i giovani sotto i 25 anni. I nuovi casi di Aids sempre nel 2018 sono invece stati 661, in lieve diminuzione. Ma tra i giovani la riduzione è molto più limitata: l’incidenza è cioè più alta tra i 25-29 anni (11,8 nuovi casi) e 30-39 anni (10,9 nuovi casi). La causa è anche un calo dell’attenzione ed una sottovalutazione dei rischi.
La maggioranza delle nuove infezioni è infatti dovuta a rapporti sessuali non protetti (80,2%). Ed i numeri sono particolarmente impietosi per i bambini: nel 2018, rileva l’Unicef, circa 320 bambini sono morti ogni giorno per cause legate all’Aids, 13 bambini ogni ora. L’accesso delle madri alle terapie antiretrovirali per prevenire la trasmissione del virus ai loro figli è aumentato a livello globale, raggiungendo l’82%, ma persistono disparità fra le regioni, con l’Africa e l’Asia in svantaggio. Insomma, un quadro generale che conferma come sia urgente mettere in campo contromisure efficaci.
Una sfida colta dalle città: il primo dicembre 2018 il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha firmato la ‘Paris Declaration’, con cui Milano, prima in Italia, si è impegnata a ridurre al massimo, fino a zero, i nuovi casi di infezione nel 2030, puntando a diventare una ‘Fast Track City’ (‘città apripista’) attraverso una serie di azioni che il Comune, con l’ausilio della Fondazione The Bridge, vorrà intraprendere per ridurre le nuove infezioni. Pochi mesi dopo Milano, anche Bergamo ha firmato il protocollo internazionale di Parigi, rendendo la Lombardia capofila in questa sfida. Ora è il turno di Palermo, prima città del Sud Italia ad intraprendere questo percorso.
Nei giorni scorsi, a Palazzo delle Aquile, in contemporanea con il XVIII Congresso di Simit (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), anche il sindaco di Palermo Leoluca Orlando ha firmato la dichiarazione parigina, prendendo dunque l’impegno intermedio di ridurre del 90-95% le nuove infezioni sino al 2022 e poi, come detto, azzerarle in dieci anni. I prossimi ad aderire saranno Firenze e Brescia.
“Siamo orgogliosi di essere la prima città del Sud e del Mediterraneo ad aderire, per un progetto che vuole sfidare l’egoismo individuale e mettere al centro la persona. La nostra missione è che singolarmente siamo persone e che insieme siamo una comunità – ha dichiarato il sindaco Orlando, membro del Global Parliament Major – Noi chiediamo che il progetto delle Fast Track Cities serva a rendere visibili coloro che hanno l’Hiv. A Palermo vogliamo rendere visibili tutti, perché chi è invisibile non ha diritti,e cerchiamo di mettere a disposizione risorse e strutture, competenze con piani di prevenzione e screening. Bisogna avere cura, del diverso e della malattia, e non averne paura. Palermo, quindi, sottoscrive con convinzione questa conferma di un cammino. Mi farò latore di poter allargare questa firma a tutti i 390 comuni dell’Isola di cui Palermo è capofila”.
Misure ad hoc, dunque, a partire, afferma il presidente della Simit, Marcello Tavio, da “una maggiore collaborazione tra specialisti e medici di famiglia, poiché i medici di base potrebbero, con poche domande mirate sul comportamento sessuale del singolo, favorire delle diagnosi precoci e individuare il virus con un semplice test”. Intanto, è ai nastri di partenza un’iniziativa del Centro studi delle Professioni Sanitarie per la Giustizia che coinvolgerà varie scuole superiori in tutta Italia, dove sarà proiettato un cortometraggio per sensibilizzare i giovani contro il virus Hiv. Si intitola ‘Io&Frieddie. Una specie di magia’: un giovane universitario è diviso tra l’odio verso gli omosessuali e l’amore per Chiara, dalle frequentazioni promiscue. A fare da sfondo l’incredibile fantasma di Freddie Mercury, che guiderà il giovane verso l’amara scoperta della positività all’Hiv.
La Sicilia, grazie alla sua rete infettivologica, in questi ultimi anni è riuscita con successo a far fronte all’arrivo di migliaia di migranti in gran parte provenienti da paesi dall’Africa Sub-Sahariana, paesi ad alta endemia di infezione tubercolare e da HIV. Migranti talvolta affetti da patologie tropicali che hanno trovato assistenza, competenza e cure appropriate nelle UOC di infettivologia dell’isola.
In Sicilia aumentati i casi negli ultimi anni
PALERMO – In Sicilia, nel 2017, sono stati registrati 278 casi di nuove infezioni da Hiv, contro i 187 casi notificati nel 2012. Secondo l’Osservatorio Epidemiologico dell’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana (Dasoe), in particolare, al 2017 la trasmissione con rapporti eterosessuali costituisce il 91% dei casi fra le donne italiane e il 97% fra quelle straniere. Nel caso degli uomini vi è una notevole differenza: fra gli italiani la modalità principale è quella legata ai rapporti omosessuali (68%) ed i rapporti eterosessuali sono responsabili del 27% dei casi, mentre fra gli stranieri i rapporti eterosessuali costituiscono il 68% dei casi e il 19% delle trasmissioni è legato ai rapporti omosessuali. Il 67,5% di tutti i casi siciliani relativi al periodo 2009-2017 sono stati diagnosticati negli ospedali delle province di Palermo e Catania, seguiti da Siracusa, Messina, Trapani, Ragusa e Caltanissetta.
“La patologia correlata all’infezione da Hiv – spiega Antonio Cascio, uoc di malattie Infettive e del Centro Regionale di Riferimento Aids – Aou Policlinico “P. Giaccone”, Palermo – costituisce un’importante causa di ricovero ospedaliero: dal 2013 al luglio 2018 si sono avuti in Sicilia 2445 ricoveri. Il rapporto fra non italiani e italiani si è mantenuto negli anni intorno al 15%. Fra i non italiani gli africani rappresentano l’81%, gli europei il 11,6%, gli asiatici l’1,3%. La maggior parte degli africani provenivano dal Ghana (26%) e dalla Nigeria (24%). Fra gli italiani il sesso maschile rappresentava il 75% delle osservazioni, nei non italiani il 48%. L’età media degli Italiani era di 48 anni, quella dei non italiani di Italiani di 36,2. Il maggior numero di ricoveri si è avuto presso il Centro di Riferimento regionale Aids con sede al Policlinico di Palermo”.