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I fondali dello Stretto di Messina sono i più inquinati del mondo

Adriano Agatino Zuccaro

I fondali dello Stretto di Messina sono i più inquinati del mondo

domenica 07 Febbraio 2021

Tra l’Isola e la Calabria registrate le densità di rifiuti più alte mai riportate, in alcuni tratti si è arrivati a censire addirittura 1,3 milioni di articoli per chilometro quadrato

MESSINA – I rifiuti presenti sulle spiagge aumentano la consapevolezza, da parte dei cittadini, della portata dell’inquinamento; tuttavia il fondo marino (anche a breve distanze dalla riva) è fuori dalla vista della maggior parte della società. Le densità di rifiuti più alte mai riportate nei mari del pianeta è stata rinvenuta nei fondali dello Stretto di Messina, con variazioni che vanno dai 121.000 e fino addirittura a 1,3 milioni di articoli per chilometro quadrato.

Alcuni rapporti supportano l’ipotesi che il fondo marino rappresenti un ultimo pozzo per tutti i materiali persi e scartati a meno che essi non vengano intercettati dalle spiagge. 8.000 elementi di rifiuto per chilometro quadrato e 20.000 articoli per chilometro si stima siano giacenti sul fondo marino profondo del Mar Mediterraneo. I dati provengono da un nuovo report, a guida dell’Università di Barcellona, pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters che si basa fondamentalmente sui dati raccolti nel 2018 e diffusi in un meeting scientifico sul marine littering.

Un’altra ricerca, messa in evidenza da “La Repubblica” e pubblicata pochi mesi fa dall’Università di Manchester, che ha prelevato più di 1,9 milione di micropezzi al metro quadro nei fondali del Tirreno, sottolineava la grande densità di rifiuti presenti in Italia. In questo caso le attenzioni erano state rivolte a mar Tirreno, Sardegna e Corsica, dove nei sedimenti mischiati alla sabbia erano state rinvenute fibre di capi di abbigliamento, tessuti, macro e microplastiche spostate dalle correnti marine.

Rimangono vaste aree del fondo marino da mappare e molte specie devono ancora essere scoperte, si legge nel rapporto, e le cifre citate potrebbero essere ancora più grandi in altre aree, di cui non esistono dati. La valutazione dell’abbondanza, della distribuzione e degli effetti dei rifiuti presenti sul fondo dell’oceano è quindi messa in discussione dalla nostra conoscenza limitata di questo ambiente.

Un altro aspetto da considerare, precisa il report, è che le indagini con reti da traino non possono essere utilizzate in diverse aree in quanto ci sono ancora munizioni inesplose scaricate durante e dopo le guerre negli anni 1918-1980. A livello globale, si stima che circa un miliardo di tonnellate (Mt) di armi chimiche giacciono nel fondo dell’oceano e queste pongono un altro rischio sia per la vita marina che umana. Si prevede inoltre che la produzione annuale globale di rifiuti salirà da 2 miliardi di tonnellate del 2016 a circa 3,4 miliardi di tonnellate nei prossimi 30 anni, con la plastica che rappresenta il 12% di questi rifiuti. Altre previsioni variano da 20-53 a 90 Mt all’anno, a seconda degli scenari, di emissioni di plastica negli ecosistemi acquatici mondiali entro il 2030.

L’ammontare di plastica che entra nell’ambiente è quindi probabile che aumenterà in modo significativo, anche sotto ambiziosi scenari di gestione del cambiamento di sistema, scrivono gli studiosi. Negli hotspot di rifiuti sul fondo marino sono state trovate enormi quantità di plastica, reti e attrezzi da pesca, metallo, vetro, ceramica, tessuti e carta. In generale si stima che il 62% dello sporco accumulato sui fondali sia costituito da plastica, “che è relativamente leggera e facile da trasportare dalle correnti su lunghe distanze”. Inoltre gli esperti sottolineano il problema delle reti fantasma e in generale degli attrezzi da pesca abbandonata che, insieme ad altri rifiuti, contribuiscono a minacciare quasi 700 specie, il 17% delle quali è sulla lista rossa Iucn (Unione per la conservazione della natura).

Attualmente non sappiamo dove il 99% dei detriti di plastica che si sono fatti strada negli oceani si trovi dato che approssimativamente metà della plastica prodotta è più pesante dell’acqua di mare, ci si può aspettare che una grande percentuale affondi direttamente sul fondo dell’oceano.

Sarà necessario avviare nuove ricerche per “comprendere la presenza, la distribuzione e le quantità dei rifiuti al fine di fornire informazioni per misure (politiche) appropriate” scrive Georg Hanke, uno degli scienziati che ha contribuito al rapporto.

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