I mantenuti d’Italia senza diritti - QdS

I mantenuti d’Italia senza diritti

Carlo Alberto Tregua

I mantenuti d’Italia senza diritti

martedì 12 Dicembre 2023

Chiedono tutto senza dare nulla

Il nostro Paese, dopo l’esplosione economica e demografica post guerra, che durò fino al 1968, a cominciare dagli anni settanta è andato in declino.
Perché precisiamo quella data? Perché in quell’anno venne fuori un’idea balzana e cioè l’abolizione del merito, secondo il quale anche gli ignoranti dovevano ricevere il sei politico a scuola o il diciotto politico all’università, a prescindere dalla loro preparazione.
Quella mentalità negativa, via via, si è cominciata a diffondere anno dopo anno, decennio dopo decennio, per cui, superata la soglia del secolo, è entrato quello in cui stiamo vivendo. E la discesa continua.

Una discesa supportata dall’idiozia secondo cui prima vengono i diritti e poi vengono i doveri e pian piano si è formata nella mentalità anche dei e delle giovani – per fortuna non della maggioranza – l’idea secondo la quale si può vivere in una sorta di Bengodi, ricevendo senza nulla dare, godendo dei vantaggi che offre la vita senza fare sacrifici.

Cosicché, piano piano si è formata la popolazione dei mantenuti d’Italia, cioè tutti coloro che non hanno doveri, ma solo diritti, reclamati ogni giorno quasi come un mantra, senza prima porsi il problema di che cosa si fa o di che cosa si dà per ottenere quei diritti.

La conseguenza è che nel nostro Paese i “parassiti” – coloro che percepiscono compensi di ogni genere, altri che vanno in pensione senza avere versato i contributi, settori economici con prebende pubbliche ingiustificate e via enumerando – stanno facendo andare a picco l’economia italiana.
Qual è l’elemento principale che ci porta a questo scenario non catastrofico, ma preoccupante?

L’enorme debito pubblico, che – come abbiamo più volte scritto – grava per circa cinquantamila euro per ogni cittadino e cittadina (appena nati compresi), si aggira intorno ai tremila miliardi, con un onere sul bilancio annuale di quasi cento miliardi di interessi.
Di fronte a quanto scriviamo, vi sono moltissime persone di buona volontà e capacità, sia nel settore privato che in quello pubblico, le quali si sacrificano, lavorano e reggono il Paese.

Vi sono anche tanti/e giovani bravissimi/e, che studiano e lavorano, che non fanno parte di quelli/e cui prima si accennava, i quali e le quali sanno che per diventare liberi/e devono acquisire competenze, con cui otterranno un lavoro che piace loro e li soddisfi.
Noi, della generazione più avanzata, abbiamo il dovere di evidenziare questo scenario, che non è fantasioso, ma reale: basta leggere i giornali, ma soprattutto i siti. Questi ultimi spesso riportano menzogne in quantità enormi e tesi irreali e irrealistiche.

Le istituzioni del nostro Paese al livello nazionale, regionale e locale sono occupate da persone che non hanno sempre una visione prospettica, anche oltre l’orizzonte, ma che guardano al consenso, giorno per giorno, quel consenso di quella parte di popolazione che chiede senza nulla dare, con la conseguenza di constatare un’arretratezza culturale e di quei buoni sentimenti che dovrebbero essere l’amalgama di una Comunità, quell’amalgama che potrebbe consentire una crescita sociale.

In questo quadro, emerge anche di più il fenomeno inverso a quello dell’equità e cioè che la ricchezza si accumula in poche mani, facendo venir meno il principio equo della sua redistribuzione verso le fasce basse.

Tuttavia, non possiamo negare che i dati relativi ai poveri assoluti (sembra che siano 5,6 milioni) denotano falsità perché per contro – come abbia già scritto – da più parti viene statuito un volume d’affari in nero per ben centonovantadue miliardi. Quelli che lavorano in nero sono ufficialmente poveri.

Tornando ai rappresentanti delle nostre istituzioni, dobbiamo sottolineare come essi non guardino il futuro a dieci o quindici anni, per cui non mettono in atto programmi di sviluppo che governi e diverse parti politiche dovrebbero attuare a prescindere dalla loro collocazione.

In questo contesto, è drammatica la differenza socio-economica fra le regioni del Nord e quelle del Sud, falsando così l’Unità d’Italia con una separazione netta fra Nord e Sud.

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