Imballaggi, perché le regole Ue penalizzano l'Italia - QdS

Imballaggi, perché le regole Ue penalizzano l’Italia

Chicco Testa

Imballaggi, perché le regole Ue penalizzano l’Italia

martedì 16 Maggio 2023

L'Ue propone un nuovo Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio

Questa Commissione Europea ci ha abituati a un “ritmo” frenetico di emanazione di normative green. Solo nell’ultimo periodo il Green Deal e la tassonomia per gli investimenti verdi, lo stop ai motori a combustione interna, gli obblighi di efficientamento energetico degli edifici, solo per indicarne alcuni. A fine 2022 si è aggiunta la proposta di nuovo Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio, ora avviata alla discussione di Parlamento e Consiglio, che sta scatenando un forte dibattito, specie in Italia. Di cosa si tratta?

La proposta di Regolamento fa parte del secondo “pacchetto” di misure tese a favorire l’economia circolare su scala continentale, in attuazione del primo pacchetto del 2018 e del “Green Deal”, e punta ad una “stretta” sulla produzione e commercializzazione di imballaggi usa e getta, inutili o di piccole dimensioni. Un provvedimento che prende a modello gli schemi nord europei di “vuoto a rendere” e che oggettivamente penalizza Paesi come l’Italia che hanno fatto del riciclo il loro punto di forza industriale ed ambientale. Vero è che la legislazione europea, nella sua gerarchia sulle forme di gestione dei rifiuti, considera la “prevenzione e la riduzione” dei rifiuti, prioritaria rispetto al riciclo (per non parlare del recupero energetico). È anche vero che per decenni le istituzioni europee non sono intervenute nella fase “a monte” della produzione dei rifiuti, caldeggiando una forte centralità delle tecniche di riciclo. Ma con il Regolamento proposto la Commissione sceglie una strada dirigistica ed ideologica, che imporrebbe agli Stati membri, ma soprattutto ai cittadini e alle imprese, la adozione di comportamenti (e di costi), sproporzionati con i benefici attesi. Per non parlare del danno di competitività che produce su alcuni Paesi come l’Italia.

Vediamo perché. Il Regolamento introduce un obiettivo di riduzione dei rifiuti da imballaggi del 15% al 2040 per ogni singolo Stato membro, rispetto al valore del 2018. Secondo le stime UE così si ridurrebbero i rifiuti da imballaggio del 37 % rispetto ad un flusso altrimenti (senza Regolamento) atteso in forte crescita (+19% entro il 2030 e +46% entro il 2040, previsione forse un po’ esagerata). Un obiettivo “ambizioso” perseguito grazie a tre misure previste dal Regolamento: l’obbligo per le imprese di offrire ai consumatori una “certa percentuale” di imballaggi riusabili (non a perdere), la proibizione di alcuni imballaggi ritenuti particolarmente “non necessari” (monouso per frutta e verdura, piccoli contenitori nei ristoranti, bar e hotel), l’obbligo di adozione del “vuoto a rendere” per contenitori fino a tre litri (entro il 2028) e di imballaggi compostabili. Misure della serie “complicazioni affari semplici” per un Paese come l’Italia che ormai raccoglie la stragrande maggioranza degli imballaggi e li ricicla, esiste una industria del riciclo fiorente ed i cittadini sono ormai abituati a gettare gli imballaggi nei contenitori della raccolta differenziata. A volte il meglio è nemico del bene, specie se, come indica lo Studio di Impatto allegato alla proposta di Regolamento, i vantaggi ambientali (emissioni) ed economici dell’operazione sono modesti e probabilmente sovrastimati dalla Commissione.

Il Regolamento, va detto, contiene anche misure tese ad incentivare il riciclo degli imballaggi, anzi punta ad obiettivo di contenitori completamente riciclabili entro il 2030. Per questo prevede nuove misure per il design e l’etichettatura, introduce maggiori obblighi di uso di materia riciclata nei nuovi prodotti. Uno specifico simbolo unificato a scala europea caratterizzerà ogni imballaggio e dovremmo trovarlo leggibile su tutti i cassonetti europei di raccolta differenziata. Ma niente si dice su come promuovere il riciclo di imballaggi oggi non riciclabili (come una parte delle plastiche).

Assoambiente, pur plaudendo all’introduzione di obiettivi minimi di contenuto riciclato nelle nuove produzioni a garanzia della “circolarità” del settore, ha sottolineato comunque il margine di incertezza delle disposizioni richiamate nella proposta di regolamento: troppi rinvii legati ai futuri atti delegati che, senza la possibilità di essere definiti attraverso future consultazioni, potranno anche rivedere gli stessi obiettivi di riciclo senza un preciso criterio. La proposta di Regolamento comunque non è piaciuta né all’industria Italiana né al Governo. Confindustria ha dichiarato che la misura “avrebbe un impatto devastante su tutte le imprese italiane delle filiere del riciclo”. Il Governo, con il suo Ministro dell’Ambiente, ha annunciato il suo voto contrario. Le critiche sono di metodo e di merito.

Sul Piano procedurale il Regolamento avrebbe una immediata applicazione in tutti gli Stati membri, senza possibilità di “recepimento” dei singoli Paesi: un provvedimento dirigistico che non tiene conto delle diversità organizzative e gestionali dei vari membri della Ue. Più utile sarebbe un provvedimento flessibile, che lasciasse ampio margine di manovra ai singoli Stati nello scegliere il mix ottimale fra prevenzione e riciclo. Sul Piano della sostanza le industrie ritengono che obblighi di riduzione cosi impositivi e stringenti finiscano per penalizzare gli ottimi risultati di riciclo ottenuti in Italia, smontando un sistema che funziona senza la garanzia che il nuovo meccanismo sia migliore, più sostenibile ed efficiente. Le aziende cartarie hanno pubblicato una propria analisi economica che sottolinea i maggiori costi e le maggiori emissioni dello scenario derivante dalla applicazione del Regolamento.

Una discussione che si sposta adesso nelle sedi della diplomazia europea: Parlamento e Consiglio. Lì vedremo se l’Italia ha alleati o no nella sua linea di contrarietà al provvedimento. La Commissione conferma ogni giorno di più il proprio approccio “etico” ed ideologico alle politiche ambientali, teso ad entrare in modo pesante negli stili di vita e di consumo dei cittadini europei (come muoversi, cosa mangiare, come consumare, in che casa abitare) e nei processi produttivi delle imprese, nel nome della sostenibilità e dell’ambiente. Un carattere tipico di questa maggioranza europea che sostiene la attuale Commissione, ma fra poco si vota per il nuovo Parlamento Europeo.

Chicco Testa
Presidente Assoambiente

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