Imposte, i criteri per la definizione della territorialità fiscale

Imposte dirette, ecco i nuovi criteri per la definizione della territorialità fiscale

Imposte dirette, ecco i nuovi criteri per la definizione della territorialità fiscale

Salvatore Forastieri  |
venerdì 22 Marzo 2024

Innovazioni in materia di residenza delle persone fisiche introdotte dalla Riforma tributaria con il Dlgs 209/2023

In premessa occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 3, Tuir, per i soggetti residenti l’Irpef è applicata sul reddito complessivo, formato da tutti i redditi posseduti (al netto degli oneri deducibili). Questi redditi, compresi quelli prodotti all’estero, sono pertanto attratti nella sfera impositiva dell’ordinamento tributario italiano. Per i soggetti non residenti, invece, l’Irpef è applicata solo sui redditi prodotti in Italia. È questo il criterio della territorialità ai fini delle imposte dirette.

L’intervento del Decreto legislativo

A decorrere dal 2024, però, interviene il Decreto legislativo emanato sulla base delle linee guide della Legge delega sulla riforma tributaria. Più in particolare, l’articolo 1 del Decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209, modificando il Testo unico sulle Imposte dirette, e in particolare il comma 2 dell’articolo 2, innovando in materia di residenza delle persone fisiche (elemento importantissimo ai fini della tassazione nel nostro Paese o in altro Paese nel quale il contribuente è residente, così come evidenziato in premessa) ha stabilito, a far data dall’1 gennaio 2024, che: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente”.

La nuova norma

Per la verità, la modifica che ha subito la norma, che già prevedeva di considerare, in ogni caso, residenti nel nostro Paese i contribuenti che qui avevano la residenza o il domicilio (seguendo i criteri del Codice civile) per almeno 183 giorni dell’anno (184 negli anni bisestili), escludendo quindi l’ipotesi di residenza per frazioni di anno inferiori al periodo cui prima accennato, potrebbe apparire di poco rilievo. La nuova norma, però, estendendo l’ambito applicativo del concetto di territorialità in Italia e allineando il nostro Paese ai fini predetti (sia per evitare doppie imposizioni sia per evitare comportamenti elusivi) agli altri Paesi dell’Europa e seguendo anche i principi dettati dalla Ocse, contempla ora che, ai fini dell’individuazione del concetto di territorialità ai fini delle imposte sui redditi, per domicilio (superando il concetto meramente civilistico) si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona.
Si prevede pure, seppure salvo prova contraria, che si presumono residenti sul territorio italiano anche le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente, eliminando quindi la vecchia presunzione assoluta, contenuta nella precedente norma, della residenza in Italia per i soggetti iscritti nell’anagrafe della popolazione.

Tre criteri alternativi

Sostanzialmente, quindi, seguendo le disposizioni della legge delega, il nostro legislatore ha previsto tre criteri alternativi: uno legato al concetto di residenza previsto dal Codice civile; un altro legato al concetto di domicilio (il cui concetto si differenzia da quello previsto dal codice civile); un terzo legato alla presenza fisica del soggetto nel nostro Paese. Il tutto, per un periodo corrispondente alla maggior parte dell’anno (ossia 183 giorni o 184 per gli anni bisestili ed ora considerando pure le frazioni di giorno).
Ha sostituito inoltre la vecchia nozione di domicilio (come più volte detto, fino a ora legato al concetto meramente civilistico), con un criterio di natura sostanziale, inteso cioè come il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Spetta sempre al contribuente fornire la prova dell’assenza dei criteri che determinano la residenza in Italia, dimostrando di non avere, nel nostro Paese, né la residenza né il domicilio, e di non essere stato fisicamente presente in Italia per il periodo anzidetto.

Le critiche

Non mancano critiche, però, a queste nuove regole di territorialità, alcune basate su concetti che possono essere di non facile individuazione perché difficilmente percepibili dall’esterno, come invece lo erano quelli che erano legati a concetti civilistici o alla effettiva iscrizione negli elenchi anagrafici dei Comuni.
L’articolo 2 del citato decreto legislativo 209/23, invece, ha per oggetto la residenza dei soggetti diversi dalla persone fisiche, stabilendo in particolare, con la modifica dell’articolo 73 del testo unico delle imposte sui redditi che, “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli Enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale. Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso. Per gestione ordinaria si intende il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”.

La residenza

Sostanzialmente, quindi, anche in questo caso, ai fini della territorialità fiscale, si privilegia l’aspetto sostanziale della residenza, considerando, come in passato, tassabili in Italia le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale. L’innovazione della norma, tuttavia, sta nel fatto che, questa volta, viene precisato che si considera “sede di direzione effettiva” la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso, e “gestione ordinaria” il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso.

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