Imprese femminili, in Sicilia sono soltanto il 23%, appena l’8% del totale nazionale - QdS

Imprese femminili, in Sicilia sono soltanto il 23%, appena l’8% del totale nazionale

redazione

Imprese femminili, in Sicilia sono soltanto il 23%, appena l’8% del totale nazionale

venerdì 24 Marzo 2023

Indagine Crif: sono per lo più a conduzione familiare e questo influenza il valore della produzione. Mercato del lavoro ostile alle donne, il superamento del gender gap vale 110 mld aggiuntivi di Pil

PALERMO – Il mondo imprenditoriale siciliano chiude le porte alle donne: sono poche, pochissime, le imprese femminili nell’Isola. La quota sul totale di quelle presenti in tutta Italia è ferma all’8%. I dati sono stati forniti da Crif, un’azienda globale specializzata in sistemi di informazioni creditizie e soluzioni avanzate in ambito digitale per lo sviluppo del business e l’open banking.

Secondo quanto descritto da Crif, la Sicilia si trova al quarto posto tra le regioni, in linea con la media nazionale. Prima della Sicilia, solo la Lombardia, al 14,18%, la Campania, al 10,01%, e il Lazio, al 9,56%. L’isola si mantiene comunque in linea con la media nazionale. Al contrario, se si analizza la presenza percentuale delle imprese femminile sul totale delle imprese per singola regione, emerge come siano al contrario il Molise, la Basilicata e l’Abruzzo a occupare i primi 3 posti della classifica, in virtù dei settori economici che caratterizzano il tessuto imprenditoriale regionale.

In questo secondo elenco, la Sicilia si mantiene comunque in alto nella classifica, quinta al 23% sul totale regionale. Se guardiamo alle dimensioni, le imprese femminili sono principalmente di piccole dimensioni, ben il 93% ha meno di 5 dipendenti; ne consegue che la variabile di genere sia spesso legata anche a una un po’ più complessa crescita aziendale. Le piccole dimensioni influenzano anche il valore della produzione, che non riesce a decollare e le imprese femminili restano attività a gestione spesso familiare. La quasi totalità delle imprese (97%) non supera, infatti, il milione di fatturato, 3 punti percentuali in più rispetto alla situazione italiana (94%). Se invece si guarda al dato storico, i numeri suggeriscono che le imprese femminili sono di recente costituzione: più del 54% del totale ha meno di 15 anni di vita, rispetto al 48% delle imprese italiane. Si tratta di un dato in qualche modo positivo e fa ben sperare sugli sviluppi futuri dell’imprenditoria femminile e su un tessuto culturale in trasformazione per quanto riguarda le barriere all’entrata.

La condizione delle donne nel mondo del lavoro è, infatti, evidentemente deficitaria in un ambito in cui il genere femminile stenta a prendere il comando. Anche per questo motivo, le imprese donna dimostrano di essere più attente alla solidità commerciale e finanziaria. La distribuzione del rischio commerciale indica, infatti, che queste imprese sono meno rischiose rispetto alla media italiana: più della metà (52%) presenta un rischio di fallimento minimo o inferiore alla media.

Un punto di partenza per una presenza femminile che necessita di crescere, per lo sviluppo economico dell’intera società e non solo. La necessità che le donne riescano a trovare il proprio spazio è propugnata dal ministro della Famiglia, natalità e pari opportunità, Eugenia Roccella, che ha propugnato l’approvazione del nuovo codice deontologico delle imprese, che favorisca il reinserimento delle donne in seguito all’assenza per maternità, e a ridurre il fenomeno delle dimissioni, ancora troppo frequente. Secondo infatti i dati dell’ispettorato nazionale del lavoro, infatti, l’85% delle dimissioni femminili in tutti i posti di lavoro in Italia sono legate alla maternità.

Il codice si basa su tre punti cardine: la necessità di favorire la continuità della carriera delle lavoratrici madri, la previsione di iniziative di prevenzione e cura dei bisogni di salute e l’adattamento dei tempi e dei modi di lavoro. Si mirerà alla promozione di tutto ciò che favorisce la continuità di carriera, come ad esempio il diritto ad una continua informazione sull’evoluzione dell’impresa e dell’area professionale durante i periodi di astensione dal lavoro. Inoltre, si spingerà per l’utilizzo più consapevole e mirato di congedi, aspettative, flessibilità di orario, smart working, lavoro part time.

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