Rincari, i siciliani pagano ancora il conto del 2022 - QdS

Rincari, i siciliani pagano ancora il conto del 2022

Michele Giuliano

Rincari, i siciliani pagano ancora il conto del 2022

venerdì 10 Marzo 2023

L’annus horribilis della Sicilia nei dati relativi all’indice dei prezzi al consumo pubblicati dall’Istat. Impennata dei costi per trasporti, alimenti, servizi ricettivi e di ristorazione

PALERMO – Alti, sempre più alti i prezzi in Sicilia. L’Istat ha pubblicato i dati relativi all’indice dei prezzi al consumo e la Sicilia svetta, purtroppo, con la percentuale più alta: nel 2022, rispetto al 2015, l’indice è salito del 9,7%, contro una media nazionale dell’8,1%. Il dato è ancora più allarmante, se si pensa che nel 2021 tale valore era di poco più del 2%.

L’accelerazione dell’inflazione che caratterizza il 2022 si riscontra in tutte le ripartizioni geografiche e tutte le regioni: le isole passano da +2,2% nel 2021 a +9,7%, il Nord-Est passa da +2% a +8,6%, il Sud da +2,1% a +8,2%, il Centro e il Nord-Ovest, entrambe da 1,7%, crescono rispettivamente a +7,9% e a +7,8%, rimanendo, comunque, al di sotto del dato nazionale.

A livello regionale sono undici le regioni, insieme alla Sicilia, nelle quali l’inflazione del 2022 risulta più ampia della media nazionale: Trentino Alto Adige, Sardegna, Liguria, Abruzzo, Puglia, Umbria, Veneto, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Toscana; la Calabria registra un’inflazione media annua pari al dato nazionale, mentre tale valore si attesta al di sotto la crescita dei prezzi al consumo nelle restanti regioni.

Anche tra i capoluoghi delle regioni e delle province autonome e tra i comuni non capoluoghi di regione con più di 150mila abitanti la Sicilia si pone nelle prime posizioni: l’inflazione più elevata si osserva a Catania (+14,7%), Palermo (+14,6%) e Messina (+13,9%), mentre le variazioni tendenziali più contenute si registrano a Potenza (+9,2%) e Aosta (+8,5%). L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto, in buona parte, alla crescita da un lato dei prezzi dei carburanti e dell’energia (+7,8%), dei beni alimentari lavorati (+0,8%) e degli altri beni (+0,7%), dall’altro, a causa di fattori stagionali, dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+1,4%) e dei servizi relativi ai trasporti (+1,1%).

Le divisioni di spesa i cui prezzi registrano ampie accelerazione, nel 2022, rispetto al 2021, sono infatti l’abitazione, acqua, elettricità e combustibili (da +7,0% a +35,0%) e i trasporti (da +4,9% a +9,7%) a causa per lo più della dinamica dei prezzi dei beni energetici presenti in questi due raggruppamenti; in accelerazione sono anche i prezzi dei prodotti alimentari e bevande analcoliche (da +0,6% a +9,1%), delle bevande alcoliche e tabacchi (da +0,4% a +1,3%), di abbigliamento e calzature (da +0,5% a +1,9%); ancora, i mobili, articoli e servizi per la casa crescono tanto (da +0,9% a +5,2%), così come gli spettacoli e cultura (da +0,4% a +1,5%), i servizi ricettivi e di ristorazione (da +1,8% da +6,3%).

Rallentano invece i prezzi dei servizi sanitari e spese per la salute (da +1,0% a +0,8%), mentre si accentua la flessione su base tendenziale dei prezzi delle Comunicazioni (da -2,5% a -3,1%). Gli effetti della crescita di prezzo influiscono i maniera diversa sulle famiglie, in base alla propria capacità di spesa.

L’Istat suddivide i nuclei in cinque classi, partendo dalla spesa mensile minore per giungere alla più alta: l’analisi degli andamenti in corso d’anno mostra come, per le famiglie con minori capacità di spesa, l’inflazione cresca in maniera marcata sin dal primo trimestre dell’anno, passando da +4,7% dell’ultimo trimestre 2021 a +8,3%, proseguendo con accelerazioni della crescita sia nel secondo (+9,8%) che nel terzo trimestre (+11,6%) fino a portarsi a +18,4% nel quarto trimestre dell’anno.

Poiché i beni incidono in misura maggiore sulle spese delle famiglie meno abbienti e viceversa i servizi pesano maggiormente sul bilancio di quelle più agiate, la crescita dell’inflazione, che riguarda tutti i gruppi di famiglie, è più ampia per le famiglie del primo gruppo rispetto a quelle del quinto gruppo: rispetto al 2021, il differenziale inflazionistico tra la prima e la quinta classe si amplia ed è pari a 4,9 punti percentuali.

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