Intervista a Luca Bianchi, direttore generale della Svimez - QdS

Intervista a Luca Bianchi, direttore generale della Svimez

redazione

Intervista a Luca Bianchi, direttore generale della Svimez

Gabriele D'Amico  |
giovedì 09 Marzo 2023

“Fondamentale aprire i cantieri nel Mezzogiorno per mantenere i posti e creare valore aggiunto”

Direttore, il rapporto Pendolaria fotografa un divario tra Nord e Sud per quanto riguarda l’infrastruttura ferroviaria. Da cosa deriva questo gap e come può essere colmato?
“Questo divario rilevantissimo è frutto di decenni di disinvestimento sui trasporti, in particolare quelli ferroviari, nel Mezzogiorno. Nel corso degli ultimi vent’anni, addirittura, abbiamo avuto un progressivo peggioramento dell’offerta di servizi di trasporto. Un peggioramento determinato da scelte di investimento nazionali che hanno concentrato gli interventi sull’infrastruttura di lungo raggio, prevalentemente sull’alta velocità, esclusivamente sull’asse Nord garantendo così il collegamento sostanzialmente fino a Salerno. In questo modo il Mezzogiorno è stato completamente tagliato fuori dalle grandi infrastrutture. È stata una precisa scelta politica. Allo stesso tempo c’è stata una carenza di investimenti sul collegamento di breve raggio. Il Sud, dunque, è stato doppiamente penalizzato: sia negli investimenti sul lungo raggio essendo, praticamente, escluso dall’alta velocità, sia scontando la riduzione delle risorse per l’ammodernamento delle reti interne. Ne emerge un doppio divario, che riguarda tanto la velocità di collegamento sull’asse Sud- Nord, quanto l’offerta di servizi al cittadino per il pendolarismo di breve raggio. Da questo punto di vista la situazione della Sicilia, ad esempio, è assolutamente drammatica”.

Secondo i dati del rapporto il numero di corse giornaliere in Sicilia sono 506, praticamente nulla rispetto alle 2173 della Lombardia. Questi numeri sono la conseguenza della lentezza di intervento per il miglioramento delle infrastrutture. Si pensi alla Palermo – Trapani via Milo o la Corato – Andria ferme, rispettivamente, dal 2013 e dal 2016. Qual è lo scotto economico di questa lentezza di intervento?
“L’impatto economico è pesante, perché riducendo le possibilità di collegamento interno si riduce la possibilità di creare dei poli di sviluppo nel Meridione. La ‘disconnessione interna’ dei territori meridionali è un grande tema, perché deprime le possibilità di sviluppo, soprattutto nei centri industriali e del terziario. Più sono scollegati meno crescono, e lo dimostra anche la letteratura economica. Intorno all’asse collegato dall’alta velocità, tra Roma e Milano, si sono formati dei poli di aggregazione e sviluppo, resi possibili proprio da questi collegamenti. La responsabilità di queste scelte nazionali emerge soprattutto in contrapposizione con quanto è stato fatto nel resto d’Europa. Pensiamo al caso della Spagna, dove la prima linea di alta velocità è stata quella che ha collegato l’Andalucia – cioè un’area arretrata per sviluppo come il nostro Mezzogiorno – con Barcellona e Madrid. L’investimento ferroviario è stato utilizzato per favorire e per riattivare potenzialità di sviluppo delle aree deboli. In Italia, invece, si è investito dove lo sviluppo già c’era”.

Attualmente Rfi prevede una serie di lavori imponenti in Sicilia, con investimenti per svariati miliardi a valere anche sul Pnrr. Tra i tanti interventi in programma c’è quello dell’anello Messina – Palermo, che dovrebbe avvicinare i treni all’alta velocità anche se, effettivamente, è più corretto parlare di alta capacità. Ritiene che tutti i lavori previsti al 2026 ed oltre questa data potranno permettere di colmare il gap infrastrutturale Sud – Nord? Quali altri interventi servirebbero altrimenti?
“I fondi messi a disposizione dal Pnrr sono una grande occasione, questi interventi possono contribuire senz’altro a ridurre il divario. Il problema sta nei tempi di realizzazione, perché le tratte ferroviarie finanziate con il Pnrr erano già presenti – da decenni – in diversi piani d’investimento. Opere che poi non sono mai state realizzate, per cui esiste anche un problema circa la capacità di iniziativa degli interventi. Per completare l’offerta infrastrutturale, e su questo il Rapporto Pendolaria ci aiuta molto, vanno associati agli interventi sulle tratte principali innanzitutto i collegamenti con le tratte minori per garantire la reticolarità degli interventi. Senza dimenticare, poi, la qualità del servizio e cioè il numero di corse. Spesso al Sud non si vanno investimenti sulle ferrovie perché – si dice – c’è poca gente che prende il treno. Il ragionamento va ribaltato, cioè capire che i cittadini non prendono il treno perché impiega tempi biblici. Si deve lavorare non sulla domanda attuale ma su quella potenziale”.

L’economia siciliana vive, adesso più che in altri periodi, una fase di stasi. Una stasi determinata anche dal blocco del Superbonus e della cessione dei crediti. Quanto potrebbe essere importante, per l’infrastruttura ferroviaria, per l’economia e in termini di posti di lavoro, riprendere gli investimenti adottando– come suggeriva poc’anzi – una visione diversa?
“Difficile quantificarlo, ma è fondamentale perché questo volume di investimenti permette di migliorare il servizio e, inoltre, attiva appalti e quindi posti di lavoro. L’apertura di cantieri nel Mezzogiorno è fondamentale per mantenere i posti di lavoro e per creare un po’ di valore aggiunto in questa fase, dopo il calo dell’edilizia seguito a due anni di sviluppo. Credo che ci sia un grande potenziale di crescita attivabile, in particolare in Sicilia, nei prossimi anni. Questo è dovuto anche ai processi di transizione digitale e sostenibile. Rispetto a quest’ultima in particolare possiamo prendere Catania come esempio, con il grande investimento sui pannelli solari. La Sicilia, quindi, può giocare un ruolo fondamentale nello sviluppo economico. Da questo punto di vista voglio ricordare che sulla portualità si potrebbero attivare investimenti per circa un miliardo. Sono tutte occasioni che non si possono perdere”.

Il dibattito sulla costruzione del Ponte sullo stretto di Messina è più attuale che mai. Il rapporto Pendolaria sottolinea che esistono altre priorità. Qual è la sua opinione su questo tema? Le pessime infrastrutture siciliane sono un freno al Ponte?
“Non credo al ragionamento del prima e del dopo, perché rischia di bloccare entrambi i fronti. Il tema è che anche il Ponte va collocato nell’ambito di un intervento strategico molto più ampio. Si pensi alla stessa linea ferroviaria Salerno – Reggio Calabria, ancora molto distante dall’essere completata. Va bene il ponte se interpretato come un lotto di un intervento che collega Berlino a Palermo e Catania. Se diventa un’opera esclusivamente di immagine, senza risolvere i problemi complessivi di mobilità nel Mezzogiorno, rischia di essere un dibattito che serve a poco. Va bene se è all’interno di una strategia più ampia. Al momento non mi sembra che ci sia una certezza sul completamento degli interventi, ad esempio sulla Salerno – Reggio Calabria. Se l’opera resta scollegata da un intervento integrato, rischia di essere un’opera per la cui realizzazione serviranno molti anni, più di immagine che di sostanza”.

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