La storia del dott. Sohani, da immigrato a medico al servizio di chi sbarca in cerca di una speranza - QdS

La storia del dott. Sohani, da immigrato a medico al servizio di chi sbarca in cerca di una speranza

La storia del dott. Sohani, da immigrato a medico al servizio di chi sbarca in cerca di una speranza

Biagio Tinghino  |
mercoledì 22 Marzo 2023

Il medico iraniano, arrivato in Italia nel 1979, per anni si è occupato di medicina dell’immigrazione presso l’Hotspot di Pozzallo: "Chi arriva qui è vulnerabile e come tale va protetto"

Sono circa 20mila i migranti arrivati sulle coste italiane nei primi tre mesi del 2023. La nostra nazione si trova nelle condizioni di dover accogliere migliaia di migranti provenienti da Paesi come la Costa d’Avorio, attraversato da tensioni politiche decennali, dalla Guinea, dal Bangladesh e dal Pakistan. Ormai si è perso il conto delle vittime del mare, ingoiate dalle onde nel tentativo disperato di attraversare il Mediterraneo a bordo di un gommone o di “carrette del mare” nelle mani di scafisti senza scrupoli, così come successo qualche giorno fa a Cutro, in Calabria. Tragedie, non quelle greche di una volta. Parliamo di gente disperata che non ha altra soluzione che rischiare la vita. Puglia, Calabria, Sicilia, Lampedusa, Pantelleria: rotte della speranza spesso trasformatesi in rotte di morte.

Alla luce di quanto successo negli ultimi giorni, abbiamo voluto intervistare il medico iraniano, Khosrow Mansour Sohani, ex immigrato che vive in Italia dal 1979. Sohani, venuto in Italia per studiare medicina, ha vissuto un anno a Perugia per studiare la lingua italiana, e poi, superato l’esame d’ammissione, ha intrapreso gli studi di medicina e chirurgia presso l’Università di Catania. Da anni vive nel ragusano, a Vittoria, dove si è sposato e ha due figli, entrambi laureati, rispettivamente in mediazione linguistica e in psicologia. Dal 2005 ha collaborato con l’Asp di Ragusa, occupandosi di medicina dell’immigrazione per il distretto di Vittoria, Acate e Santa Croce Camerina, e presso l’Hotspot di Pozzallo.

Dott. Sohani, in questi anni ha visitato migliaia di migranti appena sbarcati. Cosa l’ha spinta a vivere la quotidianità (anche nottate intere), a non mollare e continuare questa “missione”?
“Sono venuto in Italia per studiare medicina e chirurgia, un percorso che non è stato facile perché in seguito alla guerra Iran-Iraq, subentrate difficoltà economiche e politiche, ho dovuto lavorare sodo per mantenermi gli studi. Quando mi è arrivata la possibilità di lavorare nell’ambito dell’immigrazione, ho colto l’opportunità di dare il mio contributo per affrontare questo fenomeno. Da ex immigrato che conosce la cultura, la lingua, le problematiche che colpiscono chi arriva in un nuovo Paese, che spesso subisce anche delle torture, mi sono sentito coinvolto umanamente. Chi meglio di me, che provengo da un Paese in guerra, si sarebbe potuto immedesimare nelle storie di questi poveri disperati? Da 44 anni non posso ritornare in Iran per motivi politici perciò riesco a capire cosa provano queste persone”.

Lei è specializzato in psicoterapia. In che condizione mentale arrivano i migranti appena sbarcati nell’Isola?
“Chi arriva qui è vulnerabile, e come tale va protetto. Mi è capitato di trovare migranti con evidenze di focolai di malattie infettive, i controlli vengono effettuati a tappeto e siamo in grado di individuare chiunque non sia in buona salute. Purtroppo, non si può dire lo stesso per quanto riguarda la malattia mentale. Stupri, torture, omicidi visti con i propri occhi: questo è quello che, spesso, si porta dietro chi riesce ad arrivare vivo in Italia. Molti arrivano con senso di smarrimento, impauriti non sapendo ciò che li aspetta, non sanno se ci sarà qualcuno che si prenderà cura di loro. Alcuni migranti hanno parenti che li aspettano in varie parti dell’Europa, perciò, dopo qualche giorno dallo sbarco, in loro si fa viva la speranza di poterli raggiungere”.

Per chi ha una certa sensibilità, oggi si guarda alle politiche del Governo italiano verso i migranti come al male assoluto. Cosa ne pensa?
“L’Italia non può affrontare l’emergenza dell’immigrazione da sola. Serve l’Europa, in primo luogo. Serve l’Onu. Negli anni, le istituzioni si sono spesso fermate a generiche affermazioni e slogan e a provvedimenti tampone, mentre avrebbero il dovere di dotarsi di visioni e strategie politiche e di normative adeguate e coordinate con gli altri Stati europei per il governo di una migrazione ordinata, regolare e sicura. La migrazione è da tempo un fatto strutturale e deve essere affrontata come tale e non con ripetitivi ed inefficaci provvedimenti di emergenza. Ovviamente serve anche l’aiuto e la collaborazione di ogni singolo migrante. Chi viene qui ed ha la volontà di crearsi un futuro deve rispettare le regole del Paese che lo ospita, e deve impegnarsi ad inserirsi come parte integrante della società. Non è impossibile riuscire a crearsi una posizione, io ci sono riuscito con tenacia e con tanti sacrifici”.

Secondo lei esiste una distinzione tra migranti economici e profughi?
“A parte pesanti situazioni di guerra, non c’è mai un solo fattore che porta ad emigrare, ma un complesso mix che comprende: instabilità politica e militare, persecuzione politica, difficile situazione economica, reti sociali per lo più familiari già presenti nel Paese di arrivo. Alla luce di ciò è difficile scindere quella politica, quella economica e quella sociale ed etichettare le persone come profughi o migranti economici. Si tratta di fenomeni che vanno studiati per capire i veri motivi ed affrontarli”.

Come vede il lavoro praticato dalle Ong?
“Le Ong svolgono un lavoro molto importante, sicuramente un aiuto che serve ma che va regolamentato. Le navi che svolgono attività di ricerca e soccorso in mare devono possedere le autorizzazioni rilasciate dalle competenti autorità dello Stato di bandiera ed inoltre devono attenersi al regolamento del Governo del porto di sbarco”.

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