“Ma a Brancaccio ancora oggi pochi spazi per permettere vere politiche di aggregazione” - QdS

“Ma a Brancaccio ancora oggi pochi spazi per permettere vere politiche di aggregazione”

redazione

“Ma a Brancaccio ancora oggi pochi spazi per permettere vere politiche di aggregazione”

Roberto Greco  |
venerdì 15 Settembre 2023

Interviene Don Francofonte, parroco di San Gaetano

Don Maurizio Francofonte è l’attuale parroco di San Gaetano, quella parrocchia di Brancaccio che fu di don Pino Puglisi e in cui trovò la morte. Interviene al QdS per raccontarci cos’è Brancaccio oggi e di cosa abbia voluto dire ereditare il lavoro iniziato da don Pino Puglisi.

Don Maurizio, quando è arrivato a San Gaetano?
“Ero un giovane prete, quando arrivai alla parrocchia di San Gaetano. Ero già stato nelle parrocchie di periferie, allo Zen, ma mi trovai ad affrontare una situazione completamente nuova. Di don Pino conoscevo la storia, mi era capitato di incontralo ma non avevo mai approfondito il suo operato. A San Gaetano mi ritrovai con attese da parte di altri di essere un prosecutore di quanto aveva realizzato, di dover gestire la sua eredità ma avevo la consapevolezza di non essere don Pino e che quel territorio, dopo sedici anni era diverso da com’era negli anni ’90”.

Al di là della buona volontà, è stato messo in condizione di proseguire sul solco tracciato da don Pino in quel territorio?
“La periferia è rimasta tale e i risultati, forse, non sono stati quelli auspicati. Dal punto di vista pastorale, Brancaccio è rimasto una borgata e, come tale, lavora e agisce ma non riesce a integrarsi totalmente nel tessuto urbano della città sia a causa di aspetti logistici sia a causa di una questione culturale che è molto lenta a cambiare. Oggi Brancaccio è molto diversa da quella che era quando era parroco don Pino. I giovani hanno un’ampiezza di vedute molto diversa e anche perché la stessa storia di don Pino ha dato una svolta al territorio”.

Quante presenze ha nella sua parrocchia?
“Dopo il Covid, purtroppo, la comunità cristiana è diminuita. Bisogna inoltre aggiungere che il nostro quartiere non ha a disposizione né spazi aggregativi né possibilità per i giovani di creare sul territorio il proprio futuro. I giovani che possono cercano di costruirselo al di fuori”.

La tanto propagandata zona industriale di Brancaccio che fine ha fatto? Non è in grado di alimentare prospettive per i giovani che cercano lavoro?
“Non si è mai sviluppata come tale. Oggi è principalmente una zona di supermercati. Il vero polo attrattivo che potrebbe generare sia economia sia apertura culturale è lo sviluppo della costa Sud. Siamo una città che guarda il mare ma in realtà gli da le spalle perché questa possibilità non è mai stata implementata. Contemporaneamente, inoltre, non c’è mai stata la volontà di sviluppare patrimoni esistenti come il castello di Maredolce, un edificio palermitano in stile islamico, o l’aspetto arabo-normanno presente nel territorio o ciò che rimane della ‘Conca d’oro’, ossia gli agrumeti. In un recente incontro con il sindaco si è parlato di sviluppare quella parte di territorio denominata costa Sud che, come dicevo, potrebbe diventare volano economico e culturale”.

Quali sono gli spazi che ha oggi a disposizione per dare compiutezza al mandato pastorale? Sono sufficienti?
“Si tratta, oltre al ‘Centro Padre Nostro’ fondato da don Pino, di pochi vani, sicuramente non adeguati a permettere vere politiche di aggregazione”.

Parliamo delle vocazioni. Qual è la situazione a Brancaccio?
“Io oggi ho lo stesso ruolo che, al tempo, aveva don Pino perché sono il direttore dell’ufficio diocesano Vocazioni. In questi anni ho avuto la gioia di condurre per discernere la loro strada, due ragazzi che, proprio, nel nostro quartiere hanno messo alla prova la loro vocazione. Entrambi, oggi, sono stati ordinati sacerdoti ed esercitano uno nella parrocchia di Santa Margherita vergine e martire l’altro a Bagheria. Entrambe le vocazioni di cui sto parlando sono venute a contatto con la figura di don Pino, sono il frutto dei semi da lui piantati in questo quartiere e che noi abbiamo il compito di curare”.

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