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Mattarella invoca maggiore impegno per la pace ma il business della guerra continua a crescere

redazione

Mattarella invoca maggiore impegno per la pace ma il business della guerra continua a crescere

Fabrizio Giuffrida  |
venerdì 05 Gennaio 2024

Dall’Ucraina a Gaza, senza dimenticare gli altri conflitti in corso, la macchina bellica non conosce alcuna crisi

ROMA – Sono in tutto 55, secondo quanto dichiarato a inizio dello scorso dicembre da Volker Turk, alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Unhchr), i conflitti armati nel mondo, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale (1939-1945). “La situazione globale – ha affermato – è desolante perché ora viviamo in tempi bui”.

Secondo le Nazioni Unite, nei conflitti contemporanei fino al 90 per cento delle vittime sono civili, soprattutto donne e bambini. Le donne, in particolare, possono subire forme specifiche e devastanti di violenza sessuale, a volte usata sistematicamente per raggiungere obiettivi militari o politici. Inoltre, le donne continuano a essere sottorappresentate nei processi di pace formali, sebbene contribuiscano in molti modi informali alla risoluzione dei conflitti. Secondo le Nazioni Unite, attualmente ci sono dodici operazioni di peacekeeping (mantenimento della pace) in tutto il mondo, guidate dal Dipartimento per le Operazioni di pace.

La stessa pace invocata nel discorso di fine anno anche dal nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha lanciato un appello contro quella violenza che il mondo sembra essere incapace di scrollarsi di dosso: “Le devastazioni che vediamo nell’Ucraina, invasa dalla Russia, per sottometterla e annetterla. L’orribile ferocia terroristica del 7 ottobre scorso di Hamas contro centinaia di inermi bambini, donne, uomini, anziani d’Israele. Ignobile oltre ogni termine, nella sua disumanità. La reazione del Governo israeliano, con un’azione militare che provoca anche migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti. La guerra, ogni guerra, genera odio. E l’odio durerà, moltiplicato, per molto tempo, dopo la fine dei conflitti. La guerra è frutto del rifiuto di riconoscersi tra persone e popoli come uguali. Dotati di pari dignità. Per affermare, invece, con il pretesto del proprio interesse nazionale, un principio di diseguaglianza”.

“Si pretende – ha aggiunto il Capo dello Stato nel suo discorso di fine 2023 – di asservire, di sfruttare. Si cerca di giustificare questi comportamenti perché sempre avvenuti nella storia. Rifiutando il progresso della civiltà umana. Il rischio, concreto, è di abituarsi a questo orrore. Alle morti di civili, donne, bambini. Come, sempre più spesso, accade nelle guerre. Alla tragica contabilità dei soldati uccisi. Reciprocamente presentata; menandone vanto. Vite spezzate, famiglie distrutte. Una generazione perduta. E tutto questo accade vicino a noi. Nel cuore dell’Europa. Sulle rive del Mediterraneo. Macerie, non solo fisiche. Che pesano sul nostro presente. E graveranno sul futuro delle nuove generazioni. Di fronte alle quali si presentano oggi, e nel loro possibile avvenire, brutalità che pensavamo, ormai, scomparse; oltre che condannate dalla storia. La guerra non nasce da sola. Non basterebbe neppure la spinta di tante armi, che ne sono lo strumento di morte. Così diffuse. Sempre più letali. Fonte di enormi guadagni. Nasce da quel che c’è nell’animo degli uomini. Dalla mentalità che si coltiva. Dagli atteggiamenti di violenza, di sopraffazione, che si manifestano”.

Per il presidente Mattarella bisogna fare spazio alla pace

Per il Presidente Mattarella c’è un solo modo per uscire da questo tunnel di morte e distruzione: “È indispensabile fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità della pace. Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità. Sappiamo che, per porre fine alle guerre in corso, non basta invocare la pace. Occorre che venga perseguita dalla volontà dei governi. Anzitutto, di quelli che hanno scatenato i conflitti. Ma impegnarsi per la pace significa considerare queste guerre una eccezione da rimuovere; e non la regola per il prossimo futuro. Volere la pace non è neutralità; o, peggio, indifferenza, rispetto a ciò che accade: sarebbe ingiusto, e anche piuttosto spregevole. Perseguire la pace vuol dire respingere la logica di una competizione permanente tra gli Stati. Che mette a rischio le sorti dei rispettivi popoli. E mina alle basi una società fondata sul rispetto delle persone”.

“Per conseguire pace – ha precisato il Capo dello Stato – non è sufficiente far tacere le armi. Costruirla significa, prima di tutto, educare alla pace. Coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera. Dipende, anche, da ciascuno di noi. Pace, nel senso di vivere bene insieme. Rispettandosi, riconoscendo le ragioni dell’altro. Consapevoli che la libertà degli altri completa la nostra libertà”.

Chi vuole veramente la pace?

Ma occorre interrogarsi su chi realmente voglia questa pace. Se non ci siano, dietro a queste 55 guerre censite dall’Onu, interessi che, al contrario, alimentano l’odio, la violenza, i morti. Perché nel quadro generale che abbiamo descritto non si può dimenticare che esiste un’industria che dalle guerre si alimenta, trae sostentamento e ricchezza, che se davvero si riuscisse a raggiungere quell’armonia auspicata da Mattarella non avrebbe ragione di esistere. Stiamo parlando ovviamente del settore della produzione delle armi: stando agli ultimi dati diffusi dal Sipri (Stockholm international peace research institute) la spesa militare mondiale ha raggiunto nel 2022 la somma record di 2.240 miliardi di dollari, con un aumento del 3,7% rispetto al 2021. Un incremento, in valore assoluto, pari a 127 miliardi in un anno.

GUERRA IN UCRAINA, LA CITTA’ DI BORODYANCA, PALAZZO DISTRUTTO, CANE

In aumento le spese per la produzione di armi

Come spiega l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), la crescita maggiore in questo campo “viene evidentemente da Russia, con un bilancio della difesa appena al di sotto del 10% del Pil, e Ucraina, divenuta di fatto un’economia di guerra. Ma pure la spesa complessiva dell’insieme dei Paesi dell’Europa Occidentale e Centrale è tornata per la prima volta ai livelli del 1989, quando avevano invece iniziato a incassare il cosiddetto “dividendo della pace” (quella tendenza a devolvere a scopi sociali parte dei fondi in precedenza assegnati alla Difesa, ndr) e con una crescita del 30% rispetto al 2013, prima cioè dell’occupazione russa della Crimea”.

L’Ispi evidenzia ancora come “i dati più recenti della Nato sui propri membri confermano questa tendenza (+1% in media rispetto all’anno precedente) e non tengono peraltro ancora conto degli impegni e delle dichiarazioni degli alleati per il 2023 e il 2024, quando saranno chiamati a raggiungere il 2% del Pil, ora considerato non più come un tetto ma piuttosto come un pavimento, un requisito minimo per tutti. Per i Paesi occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti, una percentuale piccola ma significativa degli aumenti si è evidentemente tradotta in aiuti militari diretti all’Ucraina, e i Paesi europei in cui la spesa militare è aumentata in modo più marcato sono stati Finlandia, Svezia, anche in vista della loro adesione all’Alleanza, Lituania e Polonia, mentre in Turchia il bilancio della difesa (peraltro ad alti livelli da anni) ha continuato a diminuire. Fuori d’Europa, infine, i biggest spenders del 2022 sono stati India e Arabia Saudita, oltre all’Eritrea, impegnata in un sanguinoso conflitto interno nella regione del Tigray, mentre i dati sulla Cina, comunque sempre in notevole crescita, restano poco attendibili”.

Per il 2023, visti anche tutti i conflitti in corso, il trend non può che essere in crescita e per l’Ispi si fa concreta “la prospettiva di una corsa globale agli armamenti e di una conseguente spirale di conflitti”.

Citando i dati Sipri, l’Ispi sottolinea ancora come nel periodo 2018-2022 “i principali esportatori di sistemi d’arma sono stati gli Stati Uniti con il 40% del totale mondiale, seguiti a distanza da Russia con il 16%, Francia con l’11%, Cina con il 5,2%, Germania con il 4,2%, Italia con il 3,8%, Regno Unito con il 3,2%, Spagna con il 2,6%, Corea del Sud con il 2,4% e Israele con il 2,3%”.

Un’industria, dunque, che non conosce crisi e che sta vivendo una nuova primavera. Ma sulle spalle degli oltre 200 mila morti che le guerre, secondo stime che ovviamente non possono essere particolarmente precise, hanno provocato nel corso del 2022.

In tanti, compreso il già citato Presidente della Repubblica italiana, hanno lanciato un accorato appello alla pace. Ma, visti i numeri appena descritti, non possiamo che tornare alla domanda che ci siamo posti qualche rigo fa: a chi conviene davvero la pace?

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