Migranti, naufragio bambini, due ufficiali rinviati a giudizio - QdS

Migranti, naufragio bambini, due ufficiali rinviati a giudizio

redazione

Migranti, naufragio bambini, due ufficiali rinviati a giudizio

lunedì 16 Settembre 2019

I capi delle sale operative della Guardia Costiera e della Marina accusati di aver colpevolmente ritardato l'intervento della nave Libra che avrebbe dovuto soccorrere 268 siriani in fuga dalla guerra civile a bordo di un peschereccio

Per il “naufragio dei bambini”, com’è ormai conosciuto il drammatico evento dell’11 ottobre del 2013 in cui morirono 268 persone tra cui sessanta minori, due ufficiali sono stati rinviati a giudizio dal gup di Roma.

Si tratta del responsabile della sala operativa della Guardia Costiera, Leopoldo Manna, e del comandante della sala operativa della Squadra navale della Marina, Luca Licciardi.

Ai due, i pm Sergio Colaiocco e Santina Leonetti contestano i reati di rifiuto d’atti d’ufficio e omicidio colposo.

Il processo è stato fissato al prossimo tre dicembre davanti alla seconda sezione penale del Tribunale di Roma.

Il naufragio riguardò un gruppo di migranti siriani che stavano scappando dalla guerra civile.
L’indagine fu avviata in relazione ai presunti ritardi nei soccorsi del peschereccio che li trasportava.

Il procedimento era nato a Palermo e poi inviato per competenza nella Capitale.

Dopo una prima richiesta di archiviazione rigettata dal gip, nel dicembre del 2017 i pm hanno chiesto il processo per i due ufficiali in quanto ritenuti responsabili di aver colpevolmente ritardato l’intervento della nave militare italiana Libra.

In base a quanto ricostruito dai magistrati di piazzale Clodio, le autorità maltesi, che in un primo momento si erano assunte l’onere dei soccorsi, avrebbero segnalato agli omologhi italiani, alle 16.22 di quel drammatico giorno, la necessità di un intervento della nave militare Libra in quanto più vicina al luogo in cui si trovavano i migranti siriani.

Una “extrema ratio” che cambiava “il panorama normativo” e imponeva l’immediato intervento dell’unità della Marina.

In sostanza, secondo l’accusa, ci fu un “buco” di circa 45 minuti nella decisione di intervento delle autorità italiane, così come sollecitato dai maltesi alla luce del pericolo imminente di naufragio, che potrebbe essere stato determinante per la tragedia.
Per quanto riguarda la posizione del tenente di vascello Catia Pelligrino, comandante della nave Libra, la Procura nei mesi scorsi ne ha chiesto l’archiviazione.

I superstiti, che sull’imbarcazione avevano un telefono satellitare, hanno raccontato di aver “più volte chiamato” la Guardia Costiera italiana ma i soccorsi subirono “molti ritardi anche perché le autorità italiane erano convinte che la competenza fosse maltese”.

Secondo i legali delle parti civili, “la nave militare era già quattro ore prima del naufragio a sole 27 miglia dal peschereccio in difficoltà e avrebbe potuto intervenire prestando soccorso e salvando molte vite”.

Wahid Hasa Yousef – un cardiochirurgo che nel naufragio perse quattro figlie di due, cinque, sette e dieci anni, mentre lui e la moglie si salvarono – ha parlato di un assalto subito da parte di una motovedetta libica, con raffiche di mitra sparate per fermare l’imbarcazione che ferirono tre persone e danneggiarono lo scafo facendogli imbarcare acqua.
Ma soprattutto ha spiegato che i naufraghi aspettarono “i soccorsi inutilmente dalle 12 fino alle 17.07 quando l’imbarcazione si capovolse”.

Nel processo si sono costituite parti civili due associazioni e una trentina di persone, tutti parenti delle vittime. Le associazioni sono “A buon diritto” e l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione).

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